Ultimamente s’intensificano le voci “sovraniste” e “antiglobaliste” nei movimenti politici, conseguendo una generale vaga idea di cosa effettivamente il sovranismo e il globalismo siano, benché sia assente una qualsiasi definizione precisa. Il Movimento 5 Stelle e la Lega, incaricati da poco più di una settimana a formare un Governo per la XVIII Legislatura della Repubblica Italiana, si fregiano con tali titoli di aver la possibilità di formare un «Governo del Cambiamento», come si legge sulla diffusa brutta copia del loro contratto di governo.
Il sovranismo, che deriva evidentemente da “sovrano”, trae probabilmente origine dalla locuzione “popolo sovrano”, tuttavia è con intenti esattamente contrari che si vede utilizzata. Quest’ideologia della sovranità, infatti, non essendo filosoficamente appurata, si presta alle più vaste interpretazioni, da chi la vuole intendere come un semplice governo forte autodeterminato a chi invece la capisce come un’esaltazione nazionalistica dell’idea di patria, intesa come sovranità estrema. In Italia per sovranismo si intende, secondo l’accezione più diffusa, una politica condotta principalmente contro l’Unione Europea, imitando le idee di Trump riguardo l’economia (dunque un protezionismo atto a difendere e promuovere il made in Italy), e dunque la si può riscontrare in linea di massima col programma leghista, che tuttavia distorce la realtà proprio proponendo un’ottica sovranista, e dunque che vede un’ipotetica Repubblica Italiana con reggenza leghista porsi sopra dei trattati internazionali, soprattutto per ciò che riguarda l’immigrazione.
Invece, il globalismo si pone concettualmente come opposto del sovranismo: sono definite globaliste tutte quelle tendenze liberali, addirittura liberiste, che vi si contrappongono affidandosi alla sacralità di organi sovranazionali come l’Unione Europea o l’ONU, dunque negando qualsiasi necessità sovranista dello Stato-Nazione inteso come ente statale sovrano. Secondo l’ottica dei sedicenti sovranisti emerge come percepiscano l’Unione Europea in particolare come un attentatore centralista contro la sovranità degli Stati nazionali europei, i quali, per i cosiddetti globalisti, sono economicamente, dunque politicamente, superati dalle confederazioni internazionali. Le più citate sono, oltre all’Unione Europea, l’ONU, gli Stati Uniti (intesi proprio in questa accezione federale, per la quale ritengono che siano divenuti la prima potenza economico-militare del mondo, e non per le ricchezze del territorio).
Ad ogni modo, che si tratti di sovranismo o di globalismo, la tendenza che va per la maggiore vede un’innata fiducia, se non fede, nelle leggi emanate da organizzazioni sopra il popolo. E non solo nelle leggi, poiché tale fiducia in qualcosa di solido, più o meno stabile temporalmente, e con precisi valori ideologici nei quali l’individuo si rifugia trovando sicurezza, è la caratteristica tipica del successo di tali organizzazioni-amministrazioni, siano esse anche dell’ordine dei partiti o dei sindacati. Questa, che va a delinearsi nella stessa funzione della fede religiosa, crea a sua volta la stessa solidità dell’organizzazione in questione, specialmente per ciò che concerne i partiti o comunque organizzazioni di tipo sociale, piuttosto che amministrativo. Tornando all’apparente antitesi tra sovranismo e globalismo, quindi in Italia, tra Stato e Unione Europea, emerge come, se si inserisce l’elemento della fiducia ideologica, siano sostanzialmente basati sullo stesso sentimento di aggregazione, e la situazione binaria di “Stato” che si crea specialmente nell’Europa Unita – ovvero la contrapposizione d’autorità tra lo Stato e l’Unione Europea – dà sfogo alle ideologie di quella che storicamente e per sua stessa affermazione è un organismo autolegittimante. L’Unione Europea, e l’accezione federalista resa come ideologia, è un concorrente spietato per la stessa legittimazione dello Stato in quanto autorità assoluta sul popolo, tanto da sovvertire l’idea che ogni Nazione costruisse un proprio Stato in base «ai propri bisogni e alle proprie ambizioni», in piena linea con un’accennata teoria di autodeterminazione dei popoli. Tale aggregazione avviene per un sentimento comune di origine divina, tra persone di diversissima estrazione sociale, ma che condividevano tra il XIX e XX secolo la razza, dunque le presunte origini storiche da popoli autofecondanti e “puri”, e tra il XX-XXI secolo, che avevano in comune una lingua, una storia, dei costumi, che tuttavia provengono da decenni di dominio dell’idea nazionalista, permeata per sua stessa formazione storica dal razzismo, la quale ha finito per condizionare la formazione stessa delle condizioni principali da cui traeva fondamento. Ad esempio, in Italia, priva fino agli anni Cinquanta di qualsiasi lingua comune, finì per adattarsi al fiorentino scelto dall’élite culturale e amministrativa, e con l’omogeneizzazione linguistica è proceduta di pari passo l’omogeneizzazione culturale delle diversissime realtà regionali d’Italia. Quel darwinismo nazionale è il nazionalismo.
D’altra parte è importante evidenziare che le leggi dello Stato non sono affatto dettami divini, ma sono frutto delle stesse dinamiche sociali e storiche che hanno messo a punto la divisione dell’umanità sostanzialmente in due classi. Il fatto che esista, e ciò è obiettivo, una classe dominante, che dall’economia proietta la sua influenza su tutta la sfera sociale, determina dunque un’inevitabile rapporto indissolubile tra classe dominante e classe politica, subordinando l’ultima alla prima, poiché soggetta ai dettami sociali ed economici retti proprio da quella stessa classe dominante. Ora, se la classe politica, che regge fisicamente lo Stato inteso come macchina di funzionari, uffici e così via, la burocrazia in una parola, è ovvio come lo Stato sia a tutti gli effetti al servizio della classe dominante, da ciò, le leggi che lo Stato emana, essendo a tutela della classe che i burocrati servono, rendono di fatto “legale” le cose più inumane nel nome dell’altare del profitto. Quindi, non esiste in termini di Stato, qualcosa di giusto e sbagliato, ma solo in termini etici, però l’accumulo di capitale, pur essendo di fatto basato su prestazioni di lavoro in cambio di una retribuzione inferiore, dunque eticamente ingiusto, poiché lede la dignità di uomo nella sua integrità e nella sua realizzazione, è legalmente accettato.
Inoltre, poiché il nazionalismo è storicamente un’ideologia atta a uniformare, e dunque a facilitare il dominio del popolo e degli oppressi in generale, dividendoli in categorie arbitrarie e dettate solo dalle circostanze storiche di un periodo e dalla volontà umana di re, presidenti e imperatori avidi di territorio e potere, si vede nettamente un grave stridio col Socialismo e con la massima presa di coscienza dell’universalità degli oppressi, a prescindere dalle bandiere e dalle divise, puri travestimenti per mascherare la realtà. Il massacro di oppressi per favorire gli interessi della classe dominante. Il socialismo in un solo paese, il socialismo nazionale, il nazionalsocialismo sono quindi delle devianze in favore della divisione arbitraria e superficialmente culturale di persone che hanno tutto in comune, e che non hanno motivi per non lottare insieme, uniti.
Proletari di tutti i Paesi, unitevi!
— Compagno Emanuele