La fortuna è stata imputata, nella Storia dell’Uomo, di essere una forza sovrumana, quasi divina, che redistribuisse i beni degli uomini.
Tra i secoli, infatti, la fortuna presenta delle caratteristiche pressoché invariate, come ad esempio la capacità di introdurre elementi di variazione nelle vicende umane al piano della volontà umana, che quindi la fa assurgere ad un livello divino, tanto che Dante, al canto vii della sua Divina Commedia, descrive la fortuna come intelligenza “mondana” che agisce secondo il volere di Dio, ponendola in un ruolo paragonabile a quello delle intelligenze angeliche. Questa interpretazione coincide con quella presente nei Carmina Burana, di circa due secoli antecedenti all’opera trecentesca di Dante: il carme più celebre, «o Fortuna» infatti, delinea la fortuna «velut luna», come la luna, che quindi varia, cresce o decresce, ma, secondo Dante, non a caso, bensì seguendo la volontà di Dio.
Se in epoca contemporanea la fortuna ha un significato positivo, nel Medioevo ha ancora una forte caratterizzazione da vox media tipica dell’accezione latina del termine, tanto che si traduce, secondo il linguaggio corrente, con “sorte”, nel senso ambivalente di fortuna e sfortuna. In Boccaccio, coerentemente coll’accezione medievale, la fortuna ha un ruolo preponderante nelle vicende umane descritte dai personaggi del Decameron: essa ribalta situazioni sfavorevoli, quasi tragiche, come il naufragio di Landolfo Rufolo, trasformandole in situazioni favorevoli, almeno col cambiamento di prospettiva del personaggio in questione: per Landolfo, una volta persa la nave e le ricchezze, la necessità è di rimanere in vita, poiché, seppur avesse invocato la morte piuttosto di tornare a casa povero, quando si rende conto di stare per morire, istintivamente si aggrappa ad una tavola fortunatamente lì vicino, pur di non morire annegato, e nello scegliere il relitto cui aggrapparsi, in modo del tutto consapevole sceglie proprio una cassa colma di ricchezze.
La fortuna influisce veramente sulle vicende dell’uomo?
Già con Machiavelli si affossa la concezione religiosa della fortuna elaborata da Dante, che l’aveva assorbita nel pantheon di forze sovrannaturali a disposizione del Dio uno e trino; l’uomo di scienza fiorentino ritiene che essa determini solo metà delle vicende umane, governate per l’altra metà dalla volontà dell’uomo.
Per Guicciardini, al contrario, essa va persino a sostituire l’onnipotenza e onnipresenza divina, svolgendo un ruolo decisivo sia sulla vita degli uomini che negli eventi storici. Ciò nonostante, col progresso delle tecniche e scoperte scientifiche, la fortuna viene presto scalzata dal trono di decisore super partes che le assegna Guicciardini e si arriva alla concezione storica materialistica a cavallo della metà del xix secolo. Con la celebre dichiarazione di Marx, «le circostanze non fanno l’uomo più di quanto l’uomo non faccia le circostanze», la fortuna viene relegata al livello di superstizione popolare che va estinguendosi; l’uomo finalmente realizza di essere padrone del proprio destino, di operare assieme alle circostanze determinate dall’azione di altri uomini, e quindi ponendo la “circostanza” come qualcosa che esiste a causa di altri uomini, si ha una trasposizione a livello collettivo, sociale, dell’operato del singolo individuo. La sorte non esiste più tra gli elementi di determinazione, ma solo il comportamento umano che influisce su altri uomini.
La stessa concezione della storia per Francesco Guicciardini – una successione lineare di eventi singoli, irripetibili, retti dalla fortuna, quindi dalla sorte – viene cancellata da Marx, per il quale il susseguirsi degli eventi storici è causato dalle classi sociali per la conquista del potere, che non decidono i fatti storici deterministicamente, bensì, con l’affievolirsi e il rafforzarsi dello scontro tra le classi, danno luogo a una serie di possibilità nell’evolversi dei fatti storici, provenienti dalle comuni condizioni socioeconomiche del momento, e attraverso le quali la volontà umana particolare “decide” dove passare. Vista a posteriori, dunque, la Storia sembra presentarsi come una catena determinata e chiara di cause-effetto, ma ogni causa non produce un solo effetto e un effetto non è realizzato da una sola causa. Questo lo si riscontra frequentemente tratti di tutta la Storia dell’uomo.
In conclusione, la fortuna, il caso e la sorte non determinano e non hanno alcun ruolo nelle vicende umane, ma hanno avuto un ruolo preponderante col dare all’uomo antico, medievale e moderno, delle spiegazioni per compensare la mancanza di ragioni evidenti nel succedersi degli eventi.
L’originale spiegazione data dagli uomini è interessante, e dà uno scorcio di come il pensiero umano si interroghi e provi a rispondere più o meno razionalmente, inoltre è esemplare come la fortuna, divinità latina, si sia integrata all’interno del panorama religioso cristiano assumendo un ruolo come emissaria della volontà di Dio in terra e tra gli uomini. L’uomo stesso è rimasto affascinato dalle coincidenze, con la cui azione ha però determinato l’esito, dando ad esse un’attribuzione sovrumana, e dunque quanto più prossima a ciò che è divino.
— Compagno Emanuele