L’agile pamphlet di Elia Zaru Antonio Negri. Costituzione, Impero, Moltitudine, Democrazia, Comunismo punta a ricostruire il pensiero di Negri con particolare attenzione allo sviluppo delle sue teorie alla fine del XX secolo che gli hanno permesso di intrattenere un proficuo dialogo con il movimento no global. L’obiettivo di tutta la sua parabola teorica è partire da Marx, dalle sue categorie, per andare oltre Marx. Questo lavoro, sottolinea Zaru, è fondato su un forte legame tra teoria e prassi politica.
“Questa unione, tuttavia, non si traduce mai in gerarchia. Nel caso di Negri, non si tratta di subordinare la teoria alla prassi (sacrificando così la distanza e la temporalità lenta di cui necessita la prima in favore della prossimità e prontezza della seconda), né di avanzare una pretesa teorica sulla prassi (con il rischio di inficiare la possibilità della pratica stessa). Si tratta, piuttosto, di verificare la validità di entrambe in un movimento di azione reciproca, vale a dire nel contesto di un pensiero materialista in cui comprensione del mondo e sua trasformazione procedono di pari passo”1.
Il lavoro di ricostruzione procede analizzando cinque temi centrali nel pensiero negriano: Costituzione, Impero, Moltitudine, Democrazia e Comunismo.
1. Costituzione. Si tratta di un concetto legato al rapporto tra forma e materia. Viene indagato da Negri già negli anni ‘60, studiando il formalismo kantiano che prova a trovare una soluzione al problema del rapporto tra ragione e storia. Il formalismo, oscurando le opposizione reali nella società in un’unità logica, per Negri deve essere corretto con un’opera dialettica sul diritto. Questa idea è già considerata un’illusione nel 1964. Nel 1970, curando il volume Scienze politiche 1 (Stato e politica) dell’enciclopedia Fisher, tratta lo Stato, dal punto di vista operaio, come una realtà di dominio da scomporre per analizzare come si produce e riproduce per dissolverlo. Per Negri il costituzionalismo è l’ideologia che sostiene la mediazione tra gruppi sociali mentre la costituzione è la forza politica e normativa di questa operazione. Il costituzionalismo entra in crisi quando gli equilibri della società borghese non riescono ad assorbire la classe operaia e, di conseguenza, non c’è possibilità di una conformità tra costituzione formale e materiale. La tensione in quest’ultima genera, attraverso il conflitto tra capitale e lavoro, una crisi nella seconda che deve sempre inseguire la prima. L’esempio è la Costituzione italiana del 1948 che ha funzionato nella sua costituzionalizzazione del lavoro per lo sviluppo capitalistico fino alle rivolte degli anni ‘70. Il lavoro astratto unisce costituzione formale e materiale e ha come corrispettivo, come forma-Stato, lo Stato-piano che estende il modello della fabbrica a tutta la società. Con il passaggio da lavoro astratto a lavoro concreto questa forma-Stato non riesce a superare l’antagonismo del rapporto capitalistico e lo estende a tutta la società.
“La costituzione materiale, attraversata da tale antagonismo, si pone ‘dentro e contro’ la costituzione formale”2.
Negli anni ‘70 il lavoro respinge il ruolo affidatogli dalla Costituzione del ‘48 di ponte tra costituzione materiale e formale, diventando l’elemento che manda in crisi lo Stato-piano. Si passa, così, allo Stato-crisi che risponde al lavoro, diventato potere costituente, trasformandosi in organizzatore collettivo dello sfruttamento. Negri, facendo riferimento ai Grundrisse di Marx, sostiene che il processo di costituzionalizzazione del lavoro corrisponde alla sussunzione formale del lavoro al capitale. In questa fase viene riconosciuta la capacità del lavoro di produrre ricchezza e la sua esteriorità rispetto al capitale. Nella fase della sussunzione reale il capitale respinge l’esteriorità del lavoro. Viene preso atto del fallimento della costituzionalizzazione del lavoro e della mediazione tra lavoro e capitale. Il risultato è l’ascesa del neoliberismo e lo smantellamento del welfare state. Diversamente dalla maggior parte dei pensatori marxisti:
“Negri orienta l’analisi dello Stato a partire della produzione, cioè dall’antagonismo insito nei rapporti sociali capitalistici. Si tratta di un gesto marxiano: una ripresa del Marx che pensa lo Stato come effetto della società e dei diversi poteri che qui si contrappongono, come un’architettura gotica che dipende dagli esiti della lotta di classe”3.
2. Impero. Il concetto viene utilizzato da Negri e Hardt nell’omonimo libro del 2000 per rendere conto della crisi, dopo il 1989, dell’ordine westafliano che lascia il passo alla globalizzazione, cioè processi globali che vanno oltre le capacità di controllo dello Stato nazione. Impero non è il termine utilizzato per descrivere un mondo governato da una sola superpotenza, gli USA, ma una nuova forma di sovranità che serve per collegare la nuova costituzione materiale a quella formale. Questo processo non è determinato unicamente dal capitale ma anche dalle lotte dei movimenti di liberazione nazionale nel Terzo Mondo e del movimento operaio. La globalizzazione, quindi, è anche lo scenario globale in cui ora si confrontano lavoro e capitale. Il modello è la Costituzione americana, prodotta dalla molteplicità, dalla moltitudine, e non dalla sua espulsione.
“La Costituzione americana rompe con la genealogia della sovranità moderna perché mette in atto un progetto ‘espansivo’ e non ‘espansionistico’”4.
Si produce una rottura con la sovranità moderna. Lo Stato-nazione annichilisce i poteri fuori da sé mentre la sovranità imperiale li integra. Riportando questo dibattito alla contemporaneità, significa che il capitale è capace di una continua sussunzione e di espandersi oltre i limiti dello Stato-nazione.
Per quanto riguarda l’esercizio dei poteri, Negri e Hardt fanno riferimento al modello polibiano di costituzione mista dove monarchia, democrazia e aristocrazia si esprimono in una forma di governo stabile. Nella sovranità imperiale questo modello assume la forma di una ibridazione perché priva di un centro definito. Inoltre produce quelli che Zaru chiama nuovi agglomerati di potere come le grandi corporations.
Impero ha prodotto aspri e duraturi dibattiti nel movimento comunista internazionale perché la sua struttura teorica mette in discussione un concetto centrale per i comunisti come quello di imperialismo, figlio della sovranità moderna e del rapporto tra Stato-nazione e capitale. L’autore ha affrontato in maniera dettagliata questo dibattito nel libro La postmodernità di «Empire». Antonio Negri e Michael Hardt nel dibattito internazionale (2000-2018). Nel lavoro che stiamo analizzando solleva tre punti in particolare di questa discussione. Il primo riguarda il ruolo dello Stato-nazione in Impero. I critici attaccano Negri e Hardt per aver liquidato completamente lo Stato-nazione nel libro ma in realtà, sostiene Zaru, si tratta di una loro trasformazione, citando i due autori, in “filtri della circolazione globale”. Secondariamente, i critici difendono la validità scientifica del concetto di imperialismo perché esistono ancora nazioni, come gli USA, capaci di adottare politiche imperiali e di controllare in maniera decisiva i processi di accumulazione globali. Negri e Hardt rispondono facendo riferimento a Marx, in particolare alla differenza tra la sussunzione formale e reale del lavoro al capitale.
Alla prima categoria appartiene l’imperialismo che si dispiega assorbendo ciò che è esterno al capitalismo, con un evidente riferimento agli studi di Rosa Luxemburg.
L’Impero appartiene alla seconda categoria ed emerge quando questo spazio esteriore si esaurisce. Tuttavia questa trasformazione non porta alla scomparsa della sussunzione formale, anzi, si dispiegano continuamente processi di entrambi i tipi senza portare alla produzione di uno spazio esterno al capitale.
Il terzo punto riguarda il ruolo degli USA nella politica internazionale. Con la Seconda guerra del Golfo molti critici di Negri e Hardt hanno decretato la morte del concetto di Impero ma i due autori ne difendono la capacità esplicativa perché registrano i cambiamenti avvenuti tra la stesura finale del libro, nel 1997, e questa guerra. In Moltitudine parleranno di golpe dentro l’Impero da parte degli USA che tentano di restaurare una pratica imperialista ma entrano in contrasto con le forze capitaliste favorevoli all’Impero. Alla fine della fiera, il golpe fallisce e l’attuale mondo multipolare in cui viviamo è il risultato di questo fallimento.
3. Moltitudine. Il concetto viene ripreso da Negri durante i suoi studi su Spinoza, in cui trova una via ontologica alla lotta di classe, condotti in carcere dopo il Processo del 7 aprile. Analizzando il pensiero del filosofo olandese e di Hobbes, Negri sottolinea come sussista una contrapposizione tra popolo e moltitudine. In Spinoza la moltitudine, in virtù della sua mancanza di omogeneità, è la base della libertà e della democrazia. In Hobbes, invece, la moltitudine minaccia lo stato di natura e va ricondotta all’omogeneità del popolo. Negri riesce in questo modo a criticare la sovranità moderna.
“Il nesso popolo-sovranità-rappresentanza delineato nella filosofia hobbesiana viene qui considerato come manifestazione di un processo di trascendentalizzazione del potere che chiude le possibilità espresse dalla ‘potenza moltitudinaria’ nel corpo sociale”5.
Dal punto di vista della critica dell’economia politica, il popolo di Hobbes è assoggettato allo sfruttamento capitalistico mentre la moltitudine è irriducibile a questo esito. La moltitudine è il nuovo proletariato, categoria in cui Negri include tutti coloro che sono sfruttati dal comando capitalista. La classe operaia è inclusa in questa nuova categoria ma ha perso la centralità dell’epoca dell’operaio massa come conseguenza della messa a valore di tutta la vita. La moltitudine diventa l’ultima tappa di un percorso che inizia proprio negli anni ‘60 con le lotte degli operai nelle fabbriche fordiste, prosegue con l’operaio sociale che si confronta con il capitale dentro la metropoli, all’epoca della crisi del fordismo. Infine arriviamo alla moltitudine che assume la forma del contro-Impero perché capace di produrre autonomamente la vita, per citare direttamente Negri e Hardt, ma subisce ancora l’espropriazione del potere imperiale.
Recependo le critiche di Virno e Balibar, i quali sostengono che non esista nessuna garanzia sull’impossibilità per la moltitudine di assumere una posizione fascista, Negri e Hardt sostengono che l’espansione del concetto di classe espresso in quello di moltitudine deve essere spinto verso quello che chiamano classe apice uno, ovvero l’organizzazione dell’eterogeneità della moltitudine per sfidare il capitalismo. Zaru sostiene che questa risposta non archivia il rischio dell’autonomia del sociale insito nell’idea che la moltitudine sia orientata alla liberazione per via della sua posizione nella produzione. C’è il rischio di rendere difficile la sua organizzazione politica rispetto alle istituzioni e i rapporti di forza nella società.
4. Democrazia. Studiare Spinoza porta Negri ad un’idea di democrazia che spazza via ogni mistificazione giuridica dello Stato per fissarla su un terreno materialista. Il filosofo olandese è stato capace, per Negri, di cogliere il legame tra produzione sociale e costituzione politica durante l’ascesa del capitalismo in Europa. Il nesso produzione-costituzione serve per criticare Hobbes per il quale il passaggio dallo stato di natura a quello civile avviene con la sottomissione della moltitudine al sovrano. In questo modo la moltitudine si trasforma in popolo e perde la sua capacità di agire e decidere perché sarà il sovrano a rappresentarlo. Negri sostiene che questa metafisica del potere e dello Stato serva per nascondere il legame tra costituzione e produzione. L’opposizione tra potestas e potentia in Spinoza serve per fondare ontologicamente la libertà e l’eterogeneità della moltitudine, facendo piazza pulita delle teorie di Hobbes.
“Negri presenta Spinoza come un autore estraneo alla tradizione giusnaturalistica […] poiché la sua filosofia politica non prevede il trasferimento dei diritti naturali nello Stato civile e impedisce in questo modo la chiusura di un processo sempre aperto, dinamico e conflittuale. […] Dal momento in cui mantiene il suo diritto alla libertà e la sua potenza ontologica, la moltitudine non solo non scompare nello Stato civile, ma rende manifesto lo scarto esistente in questo tra costituzione formale (uguaglianza dal punto di vista del diritto) e materiale (diseguaglianza dal punto di vista del potere)”6.
In questo modo Spinoza diventa per Negri parte integrante della soluzione alla crisi del marxismo. La democrazia è per la moltitudine il potere costituente che spazza via lo stato delle cose presenti. Negri traccia una storia della contrapposizione tra la potenza immanente della moltitudine e il potere trascendente dello Stato. L’attuale fase del capitalismo, mettendo la moltitudine nelle condizioni, in quanto lavoro vivo, di cooperare nella produzione in maniera sempre più autonoma dal capitale, porta a maturazione il concetto di potere costituente. La democrazia quindi, si fonda sulla produzione del comune da parte della moltitudine e sulla sua lotta per sconfiggere il capitale che lo parassita.
5. Comunismo. Per Negri il concetto di comunismo è strettamente legato a quello di democrazia e deve portare all’estinzione della sovranità. Davanti alla crisi del socialismo reale, verso cui Negri non ha mai provato alcuna simpatia, sostenendo che il socialismo fosse la forma superiore della razionalità economica dentro la cui cornice, grazie allo Stato, permane la validità della teoria del valore, procede con un ripensamento di questo concetto attraverso Marx e Lenin, in particolare rileggendo i Grundrisse e Stato e rivoluzione.
Di Lenin recupera il comunismo come problema legato al rapporto tra soggetto materiale e formazione sociale che circoscrive storicamente la strategia per giungere al comunismo e respinge ogni legge naturale dello sviluppo che porterà al comunismo. Questo consente a Negri di inserirsi nel dibattito sulla transizione al socialismo dal punto di vista della critica dell’economia politica, rivendicando la natura ossimorica dello Stato comunista. La lettura negriana del pensiero di Lenin presenta il comunismo come un’eccedenza rispetto al capitale prodotta dalla lotta di classe comunista. Nei Grundrisse di Marx, invece, trova gli strumenti per analizzare il superamento della teoria del valore grazie alla dimensione sempre più sociale della produzione.
Il lavoro fatto sul pensiero di Marx non è di tipo filologico, lo abbiamo già ribadito in altre occasioni, ma serve “per elaborare una definizione di ‘comunismo’ adeguata al contesto storico del secondo Novecento e del nuovo millennio”7 procedendo da Marx per andare oltre Marx.
Il comunismo diventa, in conclusione, una liberazione delle forze produttive accompagnata dall’emersione di un soggetto collettivo “tra le linee dello sviluppo” capace di formulare nuove regole per la produzione e lo sviluppo.