James O’ Connor alla ricerca della seconda contraddizione del capitalismo

Le riflessioni di James O’ Connor sul rapporto tra marxismo e ambientalismo nel saggio Capitalismo, natura, socialismo: introduzione a una teoria, contenute nel libro La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia, partono dal capolavoro di Karl Polanyi La grande trasformazione che mette in risalto le modalità con cui lo sviluppo del mercato capitalistico distrugge le sue condizioni sociali e ambientali. Queste dinamiche sono collegate al capitale e al modo in cui finisce per produrre scarsità, ovvero le proprie barriere generate dalle forme autodistruttive di proletarizzazione della natura, di capitalizzazione della natura esterna e di appropriazione del lavoro. Questo problema non è stato affrontato in profondità da Marx perché non si è soffermato a sufficienza sui modi in cui il capitale limita se stesso, colpendo la possibilità dei padroni di fare profitti perché fa aumentare i costi e le spese. O’ Connor sostiene che non abbia parlato delle conseguenze delle lotte sociali sulle condizioni di produzione e sul rapporto tra dimensione sociale e materiale della produzione, con l’eccezione della sua analisi della rendita fondiaria. Tuttavia l’autore difende tre conclusioni importanti a cui è giunto Marx. La prima è il legame tra le carenze nelle condizioni di produzione e la crisi economica. La seconda è l’esistenza di barriere alla produzione esterne al modo di produzione capitalistico che finiscono per assumere la forma della crisi economica. Infine, l’agricoltura capitalista danneggia la qualità del suolo. A questo punto O’ Connor si spinge ad evidenziare una mancanza di Marx, ovvero non aver compreso che questo sfruttamento del suolo possa far aumentare il costo degli elementi del capitale, producendo una crisi di sottoproduzione del capitale ed è la base per formulare una teoria ecologica della crisi e della trasformazione sociale.

Il punto di partenza per una teoria ecomarxista della crisi e della transizione non è la contraddizione tra rapporti di produzione e forze produttive ma tra i rapporti capitalistici di produzione, le forze produttive da un lato e le condizioni di produzione dall’altro. Parliamo della forza lavoro e degli elementi naturali che entrano nel capitale variabile e costante. A queste dobbiamo aggiungere le condizioni comunitarie e generali della produzione sociale. O’Connor spiega questi concetti collegandoli al benessere fisico e mentale della forza lavoro e alla salute degli ecosistemi.
Infine viene introdotto lo spazio urbano che diventa lo sfondo su cui si muovono i nuovi movimenti sociali e dove nascono le lotte intorno alle condizioni di produzione, le quali assumono un ruolo centrale nella crisi secondo gli ecomarxisti perché il capitale le ristruttura per renderle socialmente più trasparenti. Nel marxismo tradizionale la crisi riguarda lo stesso processo ma per le forze produttive e i rapporti di produzione.

“A parità delle altre condizioni, qualsiasi ammontare dato di plusvalore prodotto e/o qualsiasi saggio dato di sfruttamento avranno l’effetto di creare una carenza specifica di domanda di merci ai prezzi di mercato. Rovesciando il ragionamento, ogni specifica carenza di domanda di merci presuppone un certo ammontare di plusvalore prodotto e/o un dato saggio di sfruttamento”1.

Questo meccanismo produce delle difficoltà nella realizzazione del plusvalore sul mercato che spinge a cercare una domanda aggiuntiva di merci attraverso il debito pubblico, il credito al consumo oppure il consumo della classe capitalista. Questi nuovi investimenti crescono più velocemente della domanda di consumo, favorendo le crisi da realizzazione. Inoltre il consumo a debito può sfociare in crisi da sottoproduzione, crisi fiscale dello Stato o crisi di liquidità.

Nel marxismo tradizionale la crisi serve al capitale per riorganizzarsi con lo scopo di continuare a sfruttare il lavoro. Per superare la crisi, avviene una trasformazione delle forze produttive o dei rapporti di produzione. Queste due alternative richiedono nuove forme di cooperazione dentro e tra i capitali che annunciano la possibilità di poter realizzare il socialismo. Le trasformazione nelle forze produttive generano un abbassamento del costo della riproduzione della forza lavoro ed espande la disponibilità delle materie prime.
Tutto ciò ha lo scopo di difendere o restaurare i profitti. Nei rapporti di produzione questo si traduce in cambiamenti nei rapporti tra capitali, nello Stato e tra quest’ultimo e i capitali che portano ad un maggiore controllo sulla produzione e i mercati.

“Per riassumere, la crisi costringe il capitale a ridurre i costi, ad aumentare la flessibilità e a esercitare più controllo o programmazione sulla produzione e sulla circolazione. La crisi determina nuove forme di pianificazione flessibile o di flessibilità pianificata (anche al livello della produzione organizzata dallo Stato), che accresce le tensioni tra un capitalismo più flessibile (solitamente creato dal mercato) e un capitalismo più pianificato (solitamente creato dallo Stato). La crisi necessariamente induce il capitale a confrontarsi con la sua contraddizione di fondo, che è successivamente dislocata prima nella sfera dello Stato, poi in quella del management aziendale e così via, mentre sono introdotte forme più avanzate di socializzazione delle forze produttive e dei rapporti di produzione, che si presuppongono e implicano le une con le altre, nonostante si sviluppino ognuna in modo indipendente. In questo modo, il capitale stesso crea alcune delle precondizioni tecniche e sociali per la transizione al socialismo”2.

La spiegazione ecomarxista parte dalle contraddizioni tra forze produttive, rapporti di produzione e condizioni di produzione. Il capitale tratta la forza lavoro e la natura come se fossero un prodotto del capitalismo. Tratta da merci le sue condizioni di produzione ma non sono prodotte e riprodotte dal capitale. Per questo la loro offerta deve essere regolata dallo Stato che media tra loro e il capitale, politicizzandole. Di conseguenza la loro disponibilità dipende dalla lotta dei movimenti sociali, come quello ambientalista. Lo Stato media i conflitti e l’uso delle condizioni di produzione. Il capitale finisce per scontrarsi con delle barriere esterne alla sua accumulazione che non necessariamente prendono la forma di crisi economica ma anche di lotte sociali. L’ecomarxismo spiega il capitalismo come sistema di crisi attraverso la combinazione del potere dei rapporti capitalistici e forze produttive che autodistruggono o compromettono le condizioni di produzione.

James O’Connor prende il cambiamento climatico come esempio per spiegare questa sua idea perché minaccia di distruggere città e quindi profitti. Il capitalismo può danneggiare l’ambiente, e quindi i propri profitti, anche distruggendo foreste, laghi e altre forme di vita oppure l’erosione del suolo, la produzione di rifiuti tossici e la salinizzazione delle acque superficiali. La stessa logica possiamo applicarla per analizzare la distruzione del welfare che ha un impatto negativo sulla competitività dell’economia.

Dopo queste riflessioni viene introdotta la possibilità dell’esistenza di una crisi di sottoproduzione del capitale. Infatti, contrastare il degrado dell’ambiente naturale e sociale oppure ripristinare le condizioni di produzione richiede un costo sempre maggiore. Queste dinamiche sono legate alla sottoproduzione e all’uso improduttivo del capitale. Ci sono due strade per il capitale per affrontare e risolvere una crisi. La prima possibilità è il cambiamento delle forze produttive mentre la seconda è la modifica dei rapporti sociali di riproduzione delle condizioni di produzione. Entrambe le scelte prevedono nuove forme di cooperazione tra i capitali, lo Stato e forme più socializzate di regolazione del metabolismo tra umanità e natura. Per esempio il coordinamento necessario tra gli agricoltori per debellare le malattie che colpiscono le proprie coltivazioni.

Una seconda forma di ristrutturazione sono i cambiamenti prodotti dalla crisi dei rapporti sociali di riproduzione delle condizioni di produzione per aumentare i profitti. Questo processo produce un maggiore controllo della produzione per mezzo della pianificazione che comporta anche un maggiore controllo delle condizioni di riproduzione. La crisi produce forme flessibili di pianificazione, generando uno scontro tra capitalismo pianificato e flessibile. In questo modo lo Stato e il capitale sono costretti a confrontarsi con le contraddizioni di fondo, finendo per trasferirle nella sfera politica e ideologica dove c’è una maggiore socializzazione delle condizioni di produzione, materiali e sociali.
O’Connor sostiene che il capitalismo tende a sovvertire se stesso e autodistruggersi quando le produzioni assumono forme più sociali.

“La premessa di questo ragionamento (come del ragionamento sull’interpretazione del marxismo tradizionale) è che ogni dato insieme di tecnologie delle condizioni di produzione, dei rapporti di lavoro ecc. è coerente con più di un insieme di rapporti sociali di riproduzione di queste condizioni, e che ogni dato insieme di questi rapporti sociali è coerente con più di un insieme di tecnologie delle condizioni di produzione, rapporti di lavoro ecc. La “combinazione” tra rapporti sociali e forze di riproduzione delle condizioni di produzione deve quindi essere considerata molto lasca e flessibile. Nella crisi (in cui il futuro è sconosciuto) c’è una lotta su due fronti per adattare le nuove condizioni di produzione, definite come forze produttive, e le nuove condizioni di produzione, definite come rapporti (e viceversa) in forme più sociali; tuttavia, non vi è nessuna tendenza “naturale” del capitalismo a trasformarsi in socialismo”3.

Questo porta alla riconsiderazione dei processi di costruzione del socialismo. Le lotte al cambiamento climatico impongono forme sociali più avanzate di ricostruzione della vita sociale e materiale. Sostiene O’Connor che se il movimento operaio spinge verso forme più sociali delle forze produttive e dei rapporti di produzione, i nuovi movimenti sociali spingono lo Stato e il capitale verso le forme più sociali di riproduzione delle condizioni di produzione. Il movimento ambientalista, come il movimento operaio, assume la forma di una barriera sociale per il capitale. Il primo è prodotto dallo sfruttamento della natura da parte del capitale mentre il secondo è prodotto dallo sfruttamento del lavoro. Va ricordato che “una lotta per l’ambiente può involontariamente diventare una barriera per il capitale nel campo dell’accumulazione, pur non essendo ideologicamente anticapitalista. Il problema è come rendere consapevoli gli ambientalisti del fatto che loro stanno già socializzando la riproduzione delle condizioni di produzione”4.

Misure come le opere di bonifica dei laghi, delle foreste o dell’aria, drenano plusvalore se non riducono il costo di riproduzione della forza lavoro. I soldi necessari spostano le contraddizioni verso la sfera fiscale e finanziaria. O’Connor conclude il suo ragionamento affermando che le lotte sulle condizioni di produzione ridefiniscono e rafforzano la lotta di classe. Quando il capitalismo attacca le condizioni di produzione, minaccia non solo l’accumulazione e i profitti ma anche l’ambiente naturale e sociale. I momenti centrali di queste lotte sono due. Il primo è la lotta per la protezione delle condizioni di produzione dalla distruzione da parte del capitale che si appropria della natura come strumento della sua riproduzione. Il secondo è la lotta contro la ristrutturazione delle condizioni di produzione da parte del capitale e lo Stato per contestare il contenuto di questa trasformazione.

Riccardo Bellofiore critica questo lavoro nella rivista Marx 10155 per le sue affermazioni eccessivamente deterministe e per l’essere decisamente troppo marxista per poter intavolare un serio dialogo con i nuovi movimenti sociali e troppo ottimista sulla facilità di conciliare le lotte di quest’ultimi e del movimento dei lavoratori. L’economista italiano ritiene che oggi Marx non sia sufficiente per regalare ai movimenti una teoria scientifica all’altezza dei tempi. Occorre, infatti, arricchirlo con nuove prospettive da accompagnare con una critica dei nuovi movimenti sociali, come quello ambientalista e femminista, che separano lavoro, produzione, riproduzione e bisogni. Inoltre questo testo di O’ Connor non riesce a vedere come il capitalismo possa trovare delle soluzioni ai problemi di degrado ambientale generando profitti. Viene fatto un parallelo con la ricostruzione successiva ad una guerra. Tuttavia ci sentiamo di aggiungere che si tratta di semplici controtendenze incapaci di eliminare le dinamiche distruttive del capitalismo. Semplicemente le sue contraddizioni sono spostate ad un livello superiore, come avviene nelle controtendenze alla caduta tendenziale del saggio di profitto.
Viene fatto notare come O’Connor si muova ad un livello di astrazione eccessivamente elevato per vedere “la forza astratta e la miseria concreta” dell’argomento secondo cui la natura può porsi come barriera insuperabile del capitale. Infine emerge il legame delle sue teorie con certe tentazioni crolliste poco utili. Bellofiore sostiene che aver capito come la crisi ecologica sia la versione finale della marxiana teoria del crollo è poco utile nel momento in cui stiamo arrivando ad una soglia irreparabile di deterioramento dell’ambiente.

  1. James O’Connor, La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia, Ombre Corte, Verona 2021, pp.49-50 ↩︎
  2. Ivi, pp.54-55 ↩︎
  3. Ivi, p.69 ↩︎
  4. Ivi, p.78 ↩︎
  5. Si veda Riccardo Bellofiore, L’ecomarxismo di James O’Connor, https://www.sinistrainrete.info/teoria/15615-riccardo-bellofiore-l-ecomarxismo-di-james-o-connor.html, Palermograd ripreso da Sinistra in rete, 14/08/2019 ↩︎

1 Reply to “James O’ Connor alla ricerca della seconda contraddizione del capitalismo”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *