Come la Neolingua del celeberrimo romanzo di Orwell 1984, oggi si utilizzano particolari espedienti per raggiungere uno scopo determinato dall’interlocutore.
Primo fra tutti, l’utilizzo di parole non comprensibili ai più, e il cui significato non è chiaro, un esempio lampante è l’utilizzo di una lingua straniera, specialmente l’inglese. Infatti, se il jobs act si fosse chiamato «Riforma del Lavoro», probabilmente avrebbe destato molte più polemiche sull’effettiva eliminazione dei diritti dei lavoratori, cosa che viene evitata con un affascinante ed esotico termine tecnico, che evoca al contempo un’ipotetica estraneità della mano creatrice di questa decurtazione, nella filosofia del «ce lo chiede l’Europa», e scaricando le colpe della borghesia nazionale sull’élite di padroni della finanza europea.
In secondo luogo si trova l’utilizzo delle sigle. Una sigla o un’abbreviazione, difatti, non rende gli attimi di consapevolezza di quel che si dice, siccome è una nuova parola con il significato leggermente distorto rispetto all’originale. Questa è la cosa più strana e tipica della Neolingua, riflessa in italiano anche dalla progressiva eliminazione degli articoli, delle preposizioni e dei verbi, riducendo la comunicazione ad una frase nominale, curiosamente come la teoria linguistica del futurismo. Dall’esempio che dà Orwell di Internazionale Comunista in Comintern, ai più moderni Miur da Ministero dell’istruzione, università e ricerca abbreviato nella stessa intenzione dell’Oceania con Minipax, Miniabb, Miniver, Miniamor in un acronimo autoritario e acritico. È infatti la volontà che «la parola sgorghi direttamente dalla laringe», senza pensare a quel che si dice, o almeno avendo una percezione alienata di ciò.
Da ultimo di questa analisi c’è la scrittura. Sia la forma del font, lo spessore, i colori che le soluzioni grafiche sono parecchio importanti per la riuscita o meno dell’agitprop, o agitazione propagandistica, in quanto richiamano alla mente precise sensazioni o umori che condizionano la psicologia delle folle attirandone l’attenzione, sia in senso positivo che negativo, ossia dando un nemico comune come causa dei mali.
Ne è un esempio celebre la campagna elettorale di Barack Obama, studiata dal Massachusets Institute, in cui il suo staff ha allestito un vero e proprio apparato di culto della personalità di questo avvocato di Chicago, dapprima stilizzando e diffondendo il suo viso con un’efficientissima resa grafica, e poi il motto «Yes, We Can» con un font al contempo autorevole e calmo, come il presidente ideale. Dunque la propaganda attuata da Obama nel 2008 fu essenzialmente fondata sulla presidenza ideale, come a compensare il primo presidente nero, in una concezione segregazionista che pervade la società statunitense tutt’ora.
Il linguaggio politico è designato per far sembrare rispettabili le menzogne e accettabile l’omicidio.
— Compagno Emanuele
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