Brasile: Bolsonaro vince il primo turno

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile ha segnato il trionfo di Bolsonaro, rimandando però al ballottaggio del 28 ottobre la partita finale. Bolsonaro ha ottenuto il 46% dei voti, contro il 29,3% del suo rivale Haddad, il candidato di Lula e del PT, alla guida di una coalizione in cui troviamo anche i comunisti brasiliani.

La vittoria al primo turno del PSL è stata evitata grazie al trionfo del PT nel Nordest e nel Parà, alcune tra le zone più povere del paese che hanno enormemente beneficiato nel corso degli anni in cui il paese venne governato dal PT delle politiche sociali elaborate dal partito di Lula, e nelle periferie delle città brasiliane. Bolsonaro si è aggiudicato le fondamentali San Paolo e Rio De Janeiro mentre il PT si può consolare con l’elezione al primo turno dei suoi candidati al ruolo di governatori negli stati di Cearà, Bahia e Maranhao, dove vince un candidato espressione dei comunisti. Il Congresso che si viene a formare vede l’esclusione a sorpresa di Dilma Rousseff ma ciò che ci dovrebbe inquietare è la presenza ancora più esigua dei rappresentanti degli afrodiscendenti e degli indios.

Per poter approfondire questa bozza di analisi dobbiamo prima fermarci un attimo e ricostruire la storia di Bolsonaro.
Jair Messias Bolsonaro nasce a Glicério, una città nello stato di San Paolo, e cresce in un Brasile governato dal regime dei militari, intriso di un anticomunismo viscerale. In questo ambiente si forma, diventa anch’egli un militare, per l’esattezza un capitano di artiglieria. Dopo la transizione alla democrazia abbandona la carriera militare, dopo aver polemizzato aspramente con i suoi superiori per le scarse paghe, entrando in politica.
Inizialmente si iscrive al Partito Democratico Cristiano, con il quale sarà eletto consigliere comunale di Rio De Janeiro per poi diventare deputato nel 1990. In 26 anni cambierà 8 partiti, finendo infine nell’attuale PSL (Partito Social-Liberale) di cui presto otterrà il pieno controllo trasformandolo in una corazzata che rischia di portarlo al potere.
Bolsonaro è riuscito a presentarsi come un candidato anti establishment, nemico dei corrotti e comunisti del PT.
La sua forza non risiede tanto nel programma, di cui in verità parla poco e della cui stesura, soprattutto in materia economica, ha delegato al Chicago boy neoliberista Paulo Guedes, futuro Ministro dell’Economia di Bolsonaro che promette già un bel pacchetto di privatizzazioni per abbassare il debito pubblico, ma nel suo linguaggio violento. Di uscite deliranti ne ha fatte molte nel corso degli ultimi anni, tutte indirizzate nei confronti dei suoi nemici: comunisti, neri, indios, poveri, donne e omosessuali.

Per esempio: «Meglio un figlio morto che omosessuale», «deputata lei è così brutta che non si può neanche stuprarla», «il bandito buono è il bandito morto», «i quilombolas (discendenti degli schiavi fuggiaschi) non servono neanche come riproduttori», «ho fatto quattro figli maschi e in un momento di debolezza anche una femmina», «l’errore della dittatura è stato torturare e non uccidere» ed è lui in persona a dedicare il suo voto contro la presidente Dilma Rousseff all’uomo che la torturò, il colonnello Alberto Brilhante Ustra.

Per quanto concerne i casi di corruzione che negli ultimi anni hanno sconvolto la politica brasiliana: resta fuori dal Petrolão. Entra però nel Lista de Furnas (finanziamento illecito e lavaggio di denaro di big dell’elettricità) o il caso Jbs-Carne Fraca, 200mila reais dal gigante della macellazione, ha una moglie segretaria assunta, promossa e strapagata dal congresso, generosi rimborsi a un’altra, i figli della terza tutti in politica con papà, la portaborse che non esiste ma qualcuno incassa il suo stipendio, l’inspiegabile arricchimento dopo il 2010 (immobili per milioni di reais e le due supercase di famiglia alla Barra de Tijuca, il quartiere degli straricchi di Rio).”

Il personaggio descritto, sembra un Trump brasiliano, non era inizialmente il candidato dei centri di potere brasiliani ma alla fine, con il collasso dei partiti tradizionali, sono dovuti convergere su questo nostalgico della dittatura militare. Mass media, come Globo, finanzieri, mercati, grazie al suo programma neoliberista, imprenditori, latifondisti e sette evangeliche, cosa che gli ha regalato anche voti di settori popolari, lo hanno trasformato nel proprio campione per poter sconfiggere il PT.

HADDAD ha davanti un compito arduo, recuperare l’iniziale svantaggio per salvare dalla catastrofe il Brasile, il quale rischia di vedersi ricacciato negli anni bui della dittatura, così tanto elogiata da Bolsonaro secondo cui «l’unico errore è stato quello di non aver fucilato abbastanza». Posto che molto probabilmente riceverà il sostegno degli altri candidati, soprattutto Ciro Gomes con il suo 12,47% di voti, dovrà essenzialmente concentrarsi su quelle 7 milioni di schede nulle, 3 milioni di schede bianche e quei quasi 30 milioni di astenuti. Haddad non è un leader carismatico, non è un uomo che viene dal popolo come Lula, formatosi nelle dure battaglie da sindacalista, è essenzialmente un intellettuale che un po’ per caso si è trovato in questa situazione, grazie direi all’azione di quelle forze che oggi sostengono Bolsonaro ed hanno impedito la candidatura di Lula, contro cui il loro candidato avrebbe avuto poche possibilità di vincere.
Nonostante ciò il PT, ed i suoi alleati, dovranno impegnarsi per far capire che il programma di Bolsonaro, dietro l’immancabile deriva securitaria, rappresenta la naturale evoluzione del governo Temer, ovvero attacco alla proprietà pubblica, ad ogni forma di sussidio e aiuto sociale e svendita del paese ai capitali esteri e su queste basi dovrà costruire la contronarrazione con cui provare a vincere questa sfida disperata per salvare il paese, convincendo anche quel ceto medio bianco, giovane ed istruito che in massa ha votato Bolsonaro.

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