Mi viene accusato di citare Marx come se i suoi testi fossero una liturgia salmodiata in gregoriano quando le ovazioni iconografiche solitamente sono competenza di questi signori, ed io non mi voglio affatto macchiare di far concorrenza illecita al vostro mercato esclusivo (ed escludente). Vorrei prontamente ricordare a tali esimi dottori che Marx fu un critico sistematico della realtà totale, che mai volle, in seno anche al metodo dialettico fondato sul «dynamein on», proporre un programma politico dogmatico, “prescrivere ricette per l’osteria dell’avvenire”. Il programma rivoluzionario per Marx, il positivo nella coscienza pratica era un argomento da procrastinare fino a quando, nel meccanismo della negazione assoluta, il momento critico della dialettica non fosse stato completato. Infatti solo definendo i limiti d’azione dati da un sistema concreto, si può definire la totalizzazione della prassi rivoluzionaria.
Quando parlate di “mie concezioni storiche”, non mi sorprendo più di tanto che usiate termini non inerenti a campi semantici relativi a discipline come l’economia o la biopolitica: un modo per esprimere inconsciamente che dell’analisi marxista potete fare a meno, favorendo lo studio su libri di storici per lor signori rivoluzionari, per me puramente specialisti che vogliono provare il brivido d’esser filosofi o economisti della domenica (non avendo nemmeno una formazione materialistico-storica nell’analisi dei fatti, e sia benedetto Althusser per averlo detto!). Mi fa quasi compassione il tentativo di collegare una critica di questi gentiluomini (ovvero il tentativo di indicarmi come “mantenitore di un determinato metodo di analisi per loro “desueto”) con l’ennesima asserzione – ennesimo slogan – in cui si usano i termini dialettica e scienza paventando solamente la necessità di avere qualcosa su cui aggrapparsi per finire una discussione: mi piacerebbe sapere cos’è, per questi gruppi, la dialettica e vorrei una definizione molto più chiara di quella “immortale scienza” tanto millantata da costoro.
Se solo si sapesse almeno di cosa si sta parlando, non straripando di significati senza significante (perciò, già vacui per loro essenza) usati come sostanze placebo per l’affermazione degli interlocutori in quanto esseri senzienti in un qualsiasi confronto. Lor ragionamenti sembrano tipici di coloro che amano quella finitezza anamnesica per cui il reale è razionale ed il razionale è reale, metodo giustificativo entro cui il razionale si realizza nell’URSS come ente geolocalizzato nell’Eurasia sino al 1991, in cui nell’ethos di alcuni popoli si racchiude qualcosa che fa ben impallidire l’Astuzia della Ragione di hegeliana memoria.
Rilievo in questi signori formulazioni che si possono dire performanti, almeno in parte, ma non di certo dialettiche: la loro antidialetticità consta nell’atteggiamento costruito ad hoc che vorrebbe mantenere l’esperienza sovietica come Hegel manteneva, alla fine della spirale che contraddistingueva la fenomenologia dello Spirito nella sua oggettivazione politica, l’esperienza politica prussiana. A questa volontà, ancora più estrema, di voler mantenere l’URSS come massima espressione di uno “spiritello”, così da estenderlo astoricamente come tesi finale di qualsiasi circolo dialettico chiuso (sintesi finale trasposta pure oltre il fattore temporale), io rispondo con la critica, il negativo, la contraddizione di tale assolutezza che ne dimostra i LIMITI. L’uso della dialettica nel rivoluzionare una data realtà ha proprio nella critica, nel momento negativo (che in Hegel è solo un rafforzativo, mentre in Marx ha lo stesso valore della tesi) il primo stadio per un vero e proprio superamento pratico. Non a caso, come ben distinse Kosik, quando si parla di PRAXIS si parla di teoria e pratica, poiché non c’è pratica senza critica e viceversa; si supera Gramsci affermando l’unità della prassi di coscienza pura e coscienza pratica.
Non a caso Marx non è un’autore dell’economia politica, ma è un critico fondamentale dei suoi assiomi: innesta categorie qualitative (alienazione) su categorie quantitative (valore di scambio), analizza leggi che non sono lineari e meccanicistiche, bensì sociali e tendenziali. La dialettica è quel metodo che non lascia nulla di intentato od incolume al suo passaggio perché comprende la critica all’irrazionalità del reale e agisce al fine di superar la propria determinazione assoluta, il primo momento della negazione assoluta che innesca lo scoppio del cambiamento così come l’essere determinato, Etwas, specifico, viene definito in virtù dell’esistenza di un’alterità, Anderes, ovvero di qualcos’altro che, denunciando i limiti, afferma il suo essere specifico (criticare vuol dire, sostanzialmente, mostrare i limiti di una determinata realtà, ciò che non è un determinato ente) e si fa cedere posto in virtù della manchevolezza de-finita da questa alterità che, nello sdoppiamento dell’essere in questo ed altro (la determinazione di qualcosa è implicitamente anche negazione di altro), produce quella tendenza alla modificazione dell’essere a qualcosa che non è ancora, oltre i limiti dell’essere determinato. Si afferma l’insufficienza del presente e del finito e, perciò, la necessità del superamento di tale condizione. Infatti la realtà data nella sua limitatezza definita deve esser superata, e tal superamento dalla sua definizione entro i limiti della sua determinatezza per tendere a quel non essere ancora che, nell’uomo in un’anticipazione cosciente del futuro, cerca con il primo ed il secondo momento negativo della prassi (analisi critica e momento pratico prima nella negazione determinata poi in quella assoluta) di stravolgere tale realtà per realizzare una crescente razionalità. Come scrive Ernst Bloch, la dialettica “aperta” di Marx è come una talpa che, scavando e ripudiando la realtà data, assurge e sorge alla luce del sole: non esiste una verità già data, l’unica verità è data dalla prassi come superamento della contrapposizione di determinazioni particolari e mediazione tra una prospettiva assoluta e metastorica ed un’altra relativista.
Ecco perché la critica al tutto è di vitale importanza sotto l’aspetto della critica delle leggi intime della dinamica storica: i signori dei CARC, accettando un modello opinabile sul solo fatto della coerenza alla critica marxiana, pongono le basi per un movimento lineare, senza contraddizione che possa attivare lo stesso movimento. Un ultimo esempio dell’importanza della critica viene riservato alla discussione tra Bogdanov, Luxemburg e Lenin sulla tectologia, ovvero sulla condizione di razionalità biopolitica massima, raggiunta teoricamente quando non ci sarà più alcuna realtà sistemica da criticare e modellare, che loro rappresentavano sin dal primo momento rivoluzionario maturo, il socialismo consolidato. Questo pensiero ha radici ben più antiche di Hegel, diretta derivazione di quel metron greco, la misura etica democritea (Marx era un attento studioso di Democrito ed Epicuro), l’armonia eraclitea (padre della logica dialettica) e il bene in sé come misura tipico del Platone del Filebo e del Timeo (il giovane Marx era particolarmente attaccato allo studio del Sofista).
Passando alle accuse d’esser reazionario rispetto la questione gnoseologica, la dottrina del Diamat (di cui sono fieri assertori i nostri amici) parte dall’assunto iniziale per cui “leggi del pensiero sono un semplice riflesso delle leggi della realtà” (Stalin), estremizzazione evidente del già difficile percorso gnoseologico della teoria leninista della conoscenza, percorso aperto da Materialismo ed Empiriocriticismo e finito sui Quaderni Filosofici. La definizione staliniana succitata deriva direttamente da una lettura volgare del Ludwig Feuerbach (pagg. 51-55) di Engels, per cui sin da Materialismo ed Empiriocriticismo, Lenin si oppose alla forzosa concezione engelsiana data sulla Teoria del Rispecchiamento. Ripercorriamo il pensiero di Lenin sulla gnoseologia per capire sia dov’è questo platonismo capovolto nel Diamat ufficiale, sia le pazzie di Ždanov, sia ciò che mancava al lavoro quasi ineccepibile del caro Ul’janov. La Wiederspielungtheorie, nata sì con Engels con forti influssi hegeliani, fu del tutto modificata da Lenin già in Materialismo ed Empiriocriticismo, per cui gli assunti iniziali della legge rimasero praticamente invariati. Il primo è quello dell’oggettività o esteriorità del reale, cioè dell’essere materiale e sensibile, il secondo è l’affermazione della piena conoscibilità del reale da parte del pensiero, il terzo è l’affermazione dell’inesauribilità del reale da parte del pensiero:
«Il reale è comprensibile dalla mente, esso tuttavia non si risolve mai interamente nel pensiero».
Da questi assunti Lenin parte per una considerazione dimenticata dagli epigoni sovietici successivi, ovvero la distinzione tra il concetto filosofico e “scientifico” di materia, in cui Lenin afferma che, in quanto materialismo filosofico, il marxismo è interessato a far valere il concetto gnoseologico; il marxismo non ha e non deve avere nulla da dire circa le proprietà scientifiche di questa materia (cioè come essa risulti strutturata all’analisi di laboratorio), dovendosi in ciò rimettere interamente alle conclusioni del ricercatore:
«L’unica proprietà della materia il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza […] In gnoseologia il concetto di materia non ha nessun altro significato all’infuori di questo: realtà obiettiva esistente indipendentemente dalla coscienza umana e rispecchiata da essa […] oltre a questo riconoscimento della realtà obiettiva che è di ordine gnoseologico e che è già implicito nella ricerca concreta dello scienziato, il marxismo non ha alcuna condizione da porre allo sperimentatore»
(V. I. Ul’janov Lenin, Materialismo ed Empiriocriticismo, pagg. 243-245).
Con questa affermazione cadono in concomitanza la necessità della strutturazione dialettica della scienza di Engels e, ancora di più, della dialettizzazione delle scienze voluta da pazzoidi come Ždanov. Infatti la volontà di porre al pubblico la dialettizzazione delle scienze è un’inversione della normale logica lineare adatta alle scienze della natura: tale istanza, caratterizzata da un apriorismo anti-empiristico tipico della filosofia idealista hegeliana per cui la natura, analizzata sotto i movimenti quantitativi e qualitativi nelle categorie della fisica, del chimismo e della biologia, era solamente l’alienazione ed allo stesso tempo l’accrescimento dell’idea in sé in idea fuori di sé. Un metodo idealista applicato ad una filosofia materialista che non poteva trovare, mediante un determinato metodo dialettico, nuove realtà (così come lo può invece fare il metodo sperimentale), relegandosi alle considerazioni meramente post festum l’esperimento. Questo particolare approccio portò ad enormi sbagli gli scienziati ed i pensatori della “dialettica della natura”: lo stesso Engels fu indotto a rifiutare, in nome della dialettica, il secondo principio della termodinamica e l’interpretazione puramente selettiva dell’evoluzione. Più tardi, in nome sempre degli stessi principi, il materialismo dialettico russo ha opposto critiche alla teoria della Relatività Generale di Einstein. Come ciliegina sulla torta compaiono gli incitamenti di Ždanov ai filosofi russi di muovere all’attacco delle “diavolerie kantiane della scuola di Copenaghen”, cioè di debellare, con le armi del materialismo dialettico e di un determinismo a causalità lineare di ferro, il principio di complementarità di N. Bohr, il principio di indeterminazione di Heisemberg e l’equazione di Schrödinger, i capisaldi dell’attuale fisica quantistica, così come vi compaiono le accuse medievali di Lysenko contro i genetisti classici.
Lenin mostra per lo più di intendere bene che il materialismo in gnoseologia non significa soltanto esteriorità dell’oggetto rispetto al pensiero ma significa, ancora di più, eterogeneità dei due per il carattere non esauriente ma approssimato e relativo, cioè sempre correggibile, delle nostre conoscenze. Al contrario di Stalin, Ždanov ed, in parte, Engels, muovono invece dal pericoloso assunto tanto da affermare che “queste due serie” (F. Engels, Ludwig Feuerbach, pag. 51) di leggi (legge dialettica della natura e legge dialettica della mente) siano “identiche nella sostanza” e differenti solo “nell’espressione” (nel mondo esterno, le leggi della dialettica operano inconsapevolmente e nel nostro pensiero, invece, in modo consapevole). Posta tale identità tra leggi della mente e della natura, la loro compenetrazione si può immaginare che sia foriera di una verità perfetta e assoluta, anziché di una teoria della conoscenza come approssimazione.
Per Lenin la Teoria del Rispecchiamento è una ripresa della teoria aristotelica della corrispondenza trasposta nel campo della conoscenza scientifica e perciò integrata (seppure insufficientemente) da una teoria della conoscenza sperimentale: egli non riesce a chiarire la differenza che vi è tra sensazione e concetto, oltre ad esserci un’assenza parziale, nel suo scritto, di una teoria dell’ipotesi e della legge scientifica propriamente detta.
L’ulteriore passo in avanti di Lenin sulla gnoseologia viene dato dai Quaderni Filosofici in cui viene fondata una teoria della conoscenza del marxismo sulla nuova scienza empirico-sperimentale (psicologia ecc.) senza cadere nelle aporie positivistiche ed empiriocriticistiche, criticando aspramente l’identità aprioristica tra leggi naturali e leggi del pensiero di Engels e Plechanov nella sezione A proposito della dialettica, ovviando ai problemi di Materialismo ed Empiriocriticismo definendo necessario per il rispecchiamento l’astrazione delle sensazioni a concetti, dando tre termini di mediazione: 1) la natura; 2) la conoscenza umana; 3) le forme di rispecchiamento. In questo modo si supera ogni rispecchiamento passivo della natura, innestando la categoria marxiana di una prassi non empirista unita indissolubilmente con il processo di conoscenza umano, che non è più inteso come bipolare ma tripolare.
Il rapporto dell’uomo con la natura è diverso da quello degli altri animali poiché è caratterizzato dall’avere un’“attività vitale cosciente”, cioè dall’essere un ente naturale e sociale che riflette su se stesso mediante il lavoro, Arbeit, come modello, Vorbild, e forma originaria, Utform, di ogni prassi (ultimo Lukács), e la prass comei conoscenza veritativa (Kosik), espressione della forma originaria di relazione emotivamente carica (“prassi impegnata” lukácsiana) che si pone alla base di ogni nostra conoscenza della realtà (Honneth) al fine di manifestare le proprie potenzialità nel cambiamento di una realtà data (Bloch). Da questa teoria deriveranno nei successivi sviluppi del materialismo dialettico sovietico, a discapito di Lenin, da quell’essenzialismo platonizzante contenuta in essa, «tanto da far valutare positivamente lo stesso idealismo oggettivo di Schelling, il cui rinnovamento della dottrina platonica delle idee egli ha considerato un materialismo misticamente capovolto».
– Elia