- Introduzione teorica
Il libro di Henrique Tahan Novaes Mondo del lavoro associato ed embrioni di educazione per andare oltre il capitale è pesantemente influenzato dal pensiero di György Lukács e del suo allievo István Mészáros. Dal primo riprende il concetto di lavoro come fondamento dell’essere umano e base della comunità umana. Il lavoro è ciò che consente il passaggio dall’essere organico all’essere sociale. Seguendo Marx, ciò che distingue l’uomo dagli animali è la capacità di svolgere in maniera cosciente l’attività vitale e di orientarla verso un fine. Inoltre è l’unico essere vivente a poter produrre anche libero dal bisogno fisico ma nel capitalismo assume la forma di un lavoro forzato, obbligatorio, che diventa una sofferenza e una tortura. Non è svolto come soddisfazione di un bisogno ma come mezzo per soddisfare dei bisogni esterni. È semplicemente un modo per sopravvivere senza significato sociale ma questa tipologia di lavoro è solo una delle sue forme storiche e Marx ci ha insegnato che gli esseri umani possono costruire un modo di produzione alternativo, chiamato comunismo, dove il lavoro servirà allo sviluppo integrale dell’uomo e alla soddisfazione dei bisogni attraverso una società di produttori liberamente associati.
Il superamento del lavoro alienante avviene, seguendo Mészáros, in un lungo e complesso processo di lotte per modificare il lavoro dentro un cambiamento rivoluzionario dove giocano un ruolo decisivo organismi come i consigli dei lavoratori che hanno un forte potenziale emancipatorio perché capaci di risolvere molti problemi esistenziali vitali per i lavoratori. Sono spazi in cui il proletariato si auto-educa a nuovi rapporti sociali. Lungo questo percorso possono essere ricondotte le esperienze delle imprese recuperate dove si cerca di superare la distinzione tra chi pensa e chi esegue, tra chi lavora e chi controlla i mezzi di produzione. Sono messe in campo azioni volte ad acquisire una maggiore conoscenza del processo produttivo socializzandolo e rompendo la dipendenza dagli esperti. Novaes deve molto a Mészáros e alla rielaborazione del concetto di transizione socialista che punta al superamento del metabolismo sociale del capitale attraverso un socialismo post-capitale. Questo termine deriva da una distinzione molto importate che il filosofo ungherese opera tra capitalismo e capitale che è indispensabile per criticare le esperienze fallimentari del socialismo reale che non hanno favorito il controllo del metabolismo sociale da parte dei lavoratori liberamente associati.
Il metabolismo sociale del capitale si regge su un tripode formato da Stato, capitale e lavoro alienato che vanno superati per andare effettivamente oltre il capitale. Per questa teoria è centrale il concetto di lavoro alienato che Mészáros legge come una perdita di controllo superabile tramite un intervento consapevole dei lavoratori. L’alienazione tende ad universalizzarsi ma questo non significa che non esistano delle controtendenze. Una di queste è il cooperativismo. Secondo Marx la costituzione di cooperative operaie era la dimostrazione concreta della possibilità di gestire la società senza avere bisogno dei capitalisti. In questo senso dobbiamo leggere la lotta per l’autogestione, ovvero come un ritorno del potere dei lavoratori. Nei momenti più acuti della lotta di classe sono emerse forme di autogestione embrionali delle fabbriche come con la Comune di Parigi, i soviet nel 1905 e nel 1917 in Russia, i consigli operai a Torino durante il Biennio Rosso, durante la rivoluzione ungherese o spagnola. Un secondo ciclo di lotte per l’autogestione si aprirà nel 1956 in Polonia ed Ungheria e si chiuderà nel 1975 in Portogallo con la sua estensione oltre le fabbriche, coinvolgendo scuole, ospedali, cantieri navali e edilizia abitativa.
Per István Mészáros i consigli dei lavoratori devono essere mediatori materiali tra il vecchio ordine e quello socialista, creando un metabolismo sociale alternativo e ricercando una pianificazione economica autentica. In questo modo tutte le funzioni di controllo del metabolismo sociale vengono appropriate dai lavoratori associati che gestiranno la produzione e la distribuzione rompendo con il comando del capitale su di esse.
Queste esperienze possono però essere assorbite dal capitale, cambiandone totalmente di segno come avviene con le tecniche di integrazione dei lavoratori nel processo produttivo tipiche del toyotismo. Pensiamo solamente ai Circoli di Controllo Qualità (CCQ) che puntano ad un coinvolgimento attivo del lavoratore toccando solo i sintomi del lavoro alienato e non le sue cause.
“L’autogestione, invece, non nasce da questa ‘visione’ della partecipazione, ma dalle lotte storiche della classe operaia nel XIX e XX secolo per ottenere la democrazia nella produzione, superare lo Stato capitalista e costruire una società orientata alla soddisfazione dei bisogni umani. In questo senso ampio, autogestione significa riprendere il controllo del processo di lavoro, del prodotto del lavoro, di se stessi e della civiltà umana”1.
2. Alcuni cenni storici sul movimento operaio brasiliano
La classe operaia brasiliana si inizia a formare a partire dagli anni ’50 del XIX secolo a seguito di alcuni importanti eventi storici che hanno sconvolto il Brasile. In primo luogo abbiamo la dichiarazione d’indipendenza dal Portogallo nel 1822. Secondariamente abbiamo il divieto di traffico di schiavi africani promosso dall’Inghilterra e infine lo sviluppo delle piantagioni di caffè. Tutto ciò spinge la borghesia brasiliana a ricercare manodopera libera e per questo motivo iniziò un flusso migratorio di italiani, ungheresi, giapponesi, portoghesi, polacchi, spagnoli e lavoratori di altre nazionalità che contribuirono alla formazione della classe operaia brasiliana. Con loro portavano anche le idee politiche sviluppatesi in Europa e la capacità di organizzarsi in associazioni di mutuo soccorso per resistere allo sfruttamento del padrone. Anche in Brasile assistiamo allo scontro di diverse tendenze politiche all’interno del proletariato che sarà influenzato dalla rivoluzione del 1917 in Russia, contribuendo alla formazione del Partito Comunista Brasiliano il quale, almeno inizialmente, si fece portavoce di una linea politica totalmente estranea alla realtà del capitalismo dipendente brasiliano, ovvero quella della “classe contro classe” frutto dell’idea di uno stretto legame tra crescita numerica della classe operaia e sviluppo industriale che ha come conseguenza finale la sua trasformazione in classe egemone nel paese.
Questo è anche il decennio dove, assieme alle federazioni operaie, nascono i comitati di fabbrica o di rappresentanza sindacale come risposta ad un bisogno di organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Gli operai brasiliani sono fortemente influenzati dall’esperienza italiana dei consigli operai del Biennio Rosso che li spingono a riflettere sulle possibilità di lottare per controllare il processo produttivo e la stessa fabbrica.
“Con la creazione di comitati di fabbrica, si può sperimentare e immaginare un nuovo modo di organizzare la produzione: ogni comitato invia un rappresentate al consiglio industriale, che a sua volta genera un comitato esecutivo a livello cittadino o regionale, con comitati di quartiere che operano nei quartieri. Si tratta, in linea di massima, di un’anticipazione di ciò che sarebbe stato utilizzato su larga scala nella Spagna repubblicana nel 1936-39. In termini di organizzazione, tutti i rappresentanti avrebbero avuto un mandato obbligatorio, con la possibilità di revocarlo in qualsiasi momento”2.
La prima esperienza di questo tipo si ebbe nel 1907 ma solamente con l’ondata di scioperi del 1919 assumono una nuova forza, importanza e significato anche grazie ai collegamenti con le forme associative degli operai realizzate fuori dalla fabbrica e l’istituzione di un Consiglio generale dei lavoratori per coordinare la loro lotta. Gli scioperi vennero repressi brutalmente anche tramite l’espulsione dei lavoratori migranti coinvolti nelle proteste. Contemporaneamente il movimento operaio veniva egemonizzato dai comunisti che si sostituirono agli anarcosindacalisti.
Gli anni ’30 del XX secolo sono quelli della rivoluzione di Getulio Vargas e dell’avvio dell’industrializzazione del paese che porta con sé la costituzione di industrie di Stato, l’alfabetizzazione dei lavoratori e la difesa di alcuni loro diritti. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, nascono il Ministero del Lavoro, il Tribunale del Lavoro e vennero approvate le Leggi sul Lavoro. L’obiettivo era la conciliazione di capitale e lavoro nella cornice dell’Estado Novo dalla forte ispirazione fascista che mostrava tutta la sua forza brutale nella repressione del movimento operaio brasiliano e delle sue organizzazioni influenzate dai comunisti. Si apre una fase storica, conclusasi negli anni ’80, in cui il Brasile smette di essere una colonia da esportazione per adottare un proprio piano di sviluppo nazionale.
Tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50 ripresero con forza gli scioperi operai e con loro l’esperienza dei comitati di fabbrica. Nel 1953 viene realizzato lo “sciopero dei 300.000” durante il quale il movimento operaio sfidò le strutture burocratiche dei sindacati rifiutando di rientrare a lavoro a seguito di un accordo al tribunale del lavoro e costituì, in una lotta durata quasi un mese, le Commissioni di sciopero per superare l’inerzia dei sindacati e coordinare la mobilitazione tramite assemblee di massa e la creazione di una Commissione di sciopero intersindacale costituita dalle Commissioni di sciopero di ogni categoria. La lotta autonoma dei lavoratori brasiliani, nonostante la sconfitta a seguito di una brutale repressione, aveva sfidato la legislazione corporativista del regime di Vargas.
Nel 1964, dopo la parentesi riformista della presidenza Goulart, gli USA, la componente reazionaria della Chiesa cattolica, i proprietari terrieri e la borghesia nazionale si fanno promotori di un golpe che inaugura la dittatura civico-militare. Il regime durerà fino al 1985 e secondo Novaes ha delle responsabilità enormi nell’aver bloccato un processo storico di crescita delle lotte operaie e di sviluppo intellettuale del Brasile. Con il ’68 la repressione dei militari nei confronti della sinistra e delle organizzazioni operaie si inasprisce, segnaliamo in particolare gli attacchi subiti dagli operai della Cobrasama di Osasco e della Braseixos di Contagem, costringendo i militanti di sinistra e i lavoratori ad un lavoro di organizzazione sotterraneo che inizia nei luoghi di vita e piano piano si fa strada nelle fabbriche in attesa della possibilità di avere maggiore agibilità politica. Gli anni ’70 portano una nuova ondata di scioperi. In particolare dobbiamo ricordare le mobilitazioni del 1978 che iniziano nell’ABC Paulista e sono preparate da un lavoro di organizzazione molto lento condotto da gruppi composti da dissidenti comunisti e influenzati dalla componente progressista della Chiesa che in clandestinità portano avanti azioni di sabotaggio. Partendo dalle esperienze della Cobrasama e della Braseixos, i lavoratori brasiliani provano ad organizzarsi in maniera autonoma, attraverso i comitati di fabbrica, e a costruire una nuova struttura sindacale. Inizialmente queste idee circolano nei settori metallurgico e chimico per poi diffondersi nell’ABC Paulista dove sono presenti la maggior parte delle industrie automobilistiche del paese. Nel 1978, a partire dagli operai della Scania, si diffondono le interruzioni del lavoro seguite dall’occupazione della fabbrica con l’obiettivo di un aumento dei salari. Queste lotte contribuiranno alla fine della dittatura civico-militare e alla nascita di movimenti, come quello dei lavoratori rurali senza terra, che approfondiremo in seguito.
“Le commissioni costituirono l’elemento dinamico e trainante del movimento di sciopero: tennero assemblee generali all’interno delle unità produttive per decidere i passi da compiere e coinvolsero il sindacato per portare a termine i processi di negoziazione. Da un certo punto in poi, i datori di lavoro cominciarono a concentrare il loro intervento e la loro repressione sui membri delle commissioni di fabbrica, dal momento che molte di esse si erano istituzionalizzate come canale di dialogo dei lavoratori con la direzione aziendale. Il ‘nuovo sindacalismo’ emerso dall’ABC Paulista non appoggiò più la creazione di comitati di fabbrica, soprattutto perché esponevano i leader di base alla repressione dei datori di lavoro, ma iniziò a difendere i comitati sindacali di base, composti da leader sindacali che lavoravano sul posto di lavoro e che avevano la stabilità giuridica garantita ai membri delle leadership sindacali”3.
Queste esperienze hanno una forte valenza pedagogica perché educano i lavoratori alla lotta di classe e alla creazione di organizzazioni orizzontali funzionali ad una comunità di lotta che ha lo scopo di controllare il processo dei conflitti in cui sono coinvolti e la definizione del loro scopo. Tutto viene fatto senza trasferire in queste organizzazioni le relazioni di dominio sperimentate fuori dalla fabbrica. Tuttavia, già a partire dagli anni ’80, i comitati di fabbrica sono diventati organi rappresentativi dei lavoratori all’interno dell’impresa in un’ottica orientata alla cogestione.
3. Le imprese recuperate dai lavoratori in Brasile
Nei limiti imposti dall’essere immerse in un’economia capitalista, le imprese recuperate dai lavoratori (ERT) provano a superare la gerarchia strutturale del capitale con la riunificazione dell’homo faber e dell’homo sapiens. Le principali decisioni sono prese in assemblee democratiche, i lavoratori nelle posizioni strategiche tendono a ruotare e le posizioni assegnate possono essere revocate. Questi elementi favoriscono una parziale de-alienazione attraverso la restituzione del potere ai lavoratori che è rafforzato da tutte quelle iniziative volte a socializzare le conoscenze sul processo produttivo, spezzando la dipendenza dagli esperti e dal lavoro complesso che svolgono.
Per quanto riguarda i salari, negli esperimenti più avanzati c’è il superamento del sistema salariale attraverso il principio marxiano “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. In altre fabbriche, invece, si punta ad una diversa ripartizione del surplus prodotto con la creazione di fondi utili per sostenere le lotte di altri lavoratori o consentire il loro accesso all’università. In alcune fabbriche argentine questi fondi sono serviti per sostenere i costi di mantenimento dei figli degli operai.
In Brasile, come in Argentina, le fabbriche recuperate nascono come reazione di fronte alla disoccupazione, alla sottoccupazione e alla fame che sono avanzate in America Latina negli anni ’90 a seguito di radicali riforme neoliberiste introdotte in entrambi i paesi. Le ERT hanno rappresentato un’alternativa, in una fase storica in cui era dominante l’idea dell’inesistenza di alternative al capitalismo, alla chiusura degli impianti produttivi e alla fuga dei padroni.
In Brasile le prime esperienze isolate di questo tipo sono emerse negli anni ’80 e hanno coinvolto, nella maggioranza dei casi, imprese a conduzione familiare in crisi. Gli anni ’90 hanno rappresentato un periodo di crescita del fenomeno che si è andato a stabilizzare negli anni 2000 con l’ascesa dei governi del PT di Lula. Al momento della scrittura del libro in Brasile sono attive 67 ERT che impiegano poco più di 10000 lavoratori.
Un’inchiesta di Novaes, Henriques e Faria del 2012 ha scoperto che la maggior parte delle ERT in America Latina è concentrata tra Brasile e Argentina. Esse hanno caratteristiche simili e affrontano gli stessi problemi per quanto riguarda la ripresa della produzione e la commercializzazione dei loro prodotti e servizi. A cambiare è il contesto storico ed economico che condiziona le strategie di recupero e l’articolazione delle loro proposte politiche, in particolare il loro rapporto con i movimenti sociali a livello nazionale e locale da cui dipende una buona fetta della legittimità della lotta condotta dai lavoratori.
Le ERT brasiliane si concentrano nel Sud e nel Sud-Est del paese che sono le aree maggiormente industrializzate del Brasile. Sono attive principalmente nei settori tessile, calzaturiero, metallurgico e alimentare a cui dobbiamo aggiungere i servizi e l’estrazione dei minerali. Questi tutte queste imprese sono nate dal recupero di aziende a conduzione familiare fallite o in stato di pre-fallimento. Spesso queste situazioni sono frutto di una successione familiare fallita. In molti casi i lavoratori hanno preso possesso di imprese fondate all’inizio del XX secolo con macchinari vecchi di oltre 50 anni. Infine queste imprese avevano in pancia, di norma, molti debiti dovuti al mancato pagamento degli stipendi ai lavoratori che in alcuni casi si è protratto per mesi.
La nascita delle ERT coincide con il momento dell’imminente chiusura della fabbrica che porta i lavoratori a rivendicare il diritto al lavoro. In questo contesto emerge l’idea di recuperare l’attività produttiva allontanando la vecchia proprietà anche al costo di rinunciare al trattamento di fine rapporto in cambio del controllo dei mezzi di produzione. Durante questa operazione spesso sono sostenuti dal sindacato che si rende disponibile per trattare con i vecchi padroni la loro fuoriuscita e si impegna a trovare i finanziamenti necessari confrontandosi con enti pubblici e privati. In alcuni casi il sindacato diventa corresponsabile della gestione dell’impresa recuperata e posta sotto il controllo dei lavoratori. Bisogna aggiungere che la strada delle ERT non ha mai assunto un ruolo centrale nelle strategie dei sindacati brasiliani da cui vengono le organizzazioni più rappresentative delle fabbriche recuperate in Brasile, ovvero ANTEAG e UNISOL. Esiste una terza posizione rappresentata dall’impresa recuperata Flaskô che si batte per la nazionalizzazione sotto il controllo operaio delle imprese.
Le ERT hanno scelto, nella maggior parte dei casi, di diventare delle cooperative in assenza di norme volte a riconoscere la natura di questo particolare fenomeno. I cambiamenti avvenuti nella gestione della fabbrica sono descritti con il termine “autogestione” che coinvolge sia il funzionamento del processo produttivo che l’affermazione della vita democratica dentro la fabbrica, regolata tramite assemblee generali.
Con il passare del tempo la maggior parte delle fabbriche recuperate ha smesso di porsi il problema del superamento del capitale, con alcune eccezioni rappresentate dall’ex Zanon FaSinPat in Argentina e la Flaskô in Brasile, finendo per accontentarsi di lottare per migliorare salari, fatturato e produzione. Di conseguenza sono scivolate verso la dimensione piccolo borghese e riformista del movimento cooperativo. In molte situazioni studiate da Novaes i lavoratori non si erano mai posti questo problema, essendo unicamente interessati a mantenere il proprio lavoro, in un contesto di crescente precarietà e aumento della disoccupazione, e ad avere un regolare stipendio a fine mese.
Questo esito è determinato dalla forza che il mercato esercita su di loro attraverso l’integrazione in catene di produzione dominante da oligopoli e monopoli che finiscono per imporre alle ERT l’utilizzo di parametri di produzione tipici del capitalismo che si traducono in strategie competitive basate sull’estensione del lavoro non retribuito o addirittura la flessibilizzazione della massa salariale in base alle fluttuazioni del mercato. In assenza delle risorse per investire sulle nuove tecnologie viene recuperato tutto l’armamentario del plusvalore assoluto per rimanere in piedi in un contesto ostile. Ci sono anche degli aspetti positivi da sottolineare. Ad esempio la riduzione, nel 70% delle ERT studiate, degli incidenti sul lavoro grazie ad un ritmo di lavoro più lento. Novaes fa un bilancio veramente impietoso delle ERT:
“In breve, le Fabbriche Recuperate tendono a degenerare nel capitalismo e questo si può vedere nell’emergere di: a) nuovi padroni, manager o tecnocrati delle cooperative e nelle associazioni, cioè la formazione di una nuova tecnocrazia che ricompone il supersfruttamento del lavoro e burocratizza le decisioni; b) l’aumento del divario salariale nelle diverse funzioni; c) la diminuzione o l’assenza di legami con altre Fabbriche Recuperate o movimenti sociali; d) la ricerca di fondi pubblici senza mettere in discussione il ruolo dello Stato capitalista nella riproduzione della società di classe; e) la ricerca di fondi pubblici per aumentare le qualifiche e le attitudini dei lavoratori necessarie per la sopravvivenza sul mercato, con l’unico obiettivo di migliorare la produttività della cooperativa o dell’associazione, proprio come qualsiasi altra azienda”4.
La situazione è aggravata dalla loro tendenza, una volta riaperta l’impresa, ad isolarsi dalle altre lotte sociali della propria categoria e dagli altri movimenti. Novaes riconduce questo problema alla bassa politicizzazione dei lavoratori che finiscono per mettersi in un vicolo cieco senza iniziare una discussione interna sul loro contributo per costruire una società oltre il capitale. Viene suggerito l’utilizzo degli scioperi pedagogici per porre rimedio a questa situazione. Si tratterebbero di un’interruzione del lavoro settimanale per poter discutere insieme dei problemi riguardanti la produzione e la riproduzione della vita.
“In breve, è possibile guardare alle imprese di proprietà dei lavoratori da diverse angolazioni. La questione delle assemblee democratiche e della formazione di comitati a rotazione per gestire i problemi della fabbrica porta con sé la possibilità di creare nuove relazioni sociali nel microcosmo produttivo, relazioni che non dipendono da capitalisti, manager o tecnocrati. La questione della proprietà dei mezzi di produzione porta con sé il dibattito sull”esproprio degli espropriatori’. I nuovi modi di organizzare il lavoro, la produzione e la distribuzione del surplus ci aiutano a pensare a forme di produzione che in qualche misura superano il lavoro alienato. La riprogettazione delle macchine e delle tecniche di produzione ci aiuta a teorizzare la non neutralità della scienza e della tecnologia, mentre il ruolo dei ricercatori di estensione ci porta a riflettere sul ruolo degli intellettuali nella società di classe. Le relazioni di genere nelle Fabbriche Recuperate dai Lavoratori […] ci portano a riflettere sull’intreccio tra classe sociale e genere, spesso trascurato dal marxismo del XX secolo”5.
4. Il lavoro associato urbano in Brasile
La metropoli, come ci ricorda Toni Negri, è ormai il luogo privilegiato per fare inchiesta perché, a seguito del collasso della fabbrica fordista, al suo interno sono venuti meno i confini tra produzione, circolazione e riproduzione. Si tratta di un mutamento che inevitabilmente incide sulla forza lavoro. Novaes parte indubbiamente da una prospettiva teorica diversa da quella di Negri ma con le sue inchieste ci offre l’opportunità di indagare nuove forme con cui il lavoro metropolitano precario lotta, resiste e coopera. In questo senso si muove l’analisi dei progetti abitativi e delle cooperative di costruzione civile. Il primo esempio di simili attività viene riscontrato in Uruguay con il FUCVAM, un punto di riferimento per tutta l’America Latina che nasce nel 1970 come organizzazione sindacale di secondo livello avente come obiettivo la difesa del diritto alla casa. Per raggiungere questo scopo riunì sotto il suo ombrello le cooperative edili di muto soccorso interessate a risolvere il problema della casa per la popolazione a basso reddito. Il FUCVAM, essendo legato alla storia del movimento sindacale uruguaiano, è un’organizzazione classista che non limita il campo d’azione del cooperativismo all’edilizia ma lo estende a tutti i bisogni della classe, elaborando una sua visione del mondo. Durante la sua attività ha costruito interi quartieri per i proletari sfruttando la legge 13.728, la Legge nazionale dell’abitazione del 1968 che riprendeva le raccomandazioni contenute nel Piano nazionale di edilizia abitativa del 1962. Al momento il FUCVAM coinvolge 730 cooperative e 35000 famiglie. Tramite la Cooperazione Sud-Sud, inoltre, si impegna ad esportare in altri paesi il suo modello. In Brasile hanno provato a realizzare delle cooperative edili di mutuo soccorso, dove capisquadra, muratori e architetti sono su un piano di parità, con estrema difficoltà a causa del modo in cui i lavoratori del settore sono abituati a lavorare. Ad esempio, guadagnano in base alla produttività o gli obiettivi, i salari sono differenziati in base al lavoro da svolgere oppure il settore dove sono impiegati è contraddistinto da un potere molto forte degli appaltatori. Novaes sostiene che nonostante i fallimenti accumulati le cooperative edili di mutuo soccorso sono una sfida fondamentale per avere una coerenza tra lavoro non alienato e prodotto del lavoro, cioè, nel caso dell’edilizia, casa, asilo, città e università come valori d’uso. L’esperimento brasiliano di maggiore successo è quello di Usina, un collettivo autogestito di architetti nato nel 1990 che tramite la partecipazione dei lavoratori stessi ha costruito negli anni unità abitative, centri comunitari, scuole, asili nido in città e insediamenti rurali. Si è impegnato anche nella riqualificazione di baraccopoli come nel caso della favela situata sopra il terreno della Companhia Paulista de Trens Metropolitanos e la cui popolazione è stata sfrattata nel 2005. Usina ha cercato di difendere il diritto ad abitare costruendo assieme a loro uno spazio sociale contro-egemonico rispetto alle determinazioni sociali del capitale.
“La critica del gruppo Usina è così completa che è difficile da sintetizzare. In breve, possiamo dire che essi mettono in discussione le forze produttive capitaliste, la proprietà dei mezzi di produzione (che si tratti della casa, della fabbrica, ecc.), la città come fonte di plusvalore e il suo ruolo nella società di classe latinoamericana, la perdita di controllo del processo lavorativo, il prodotto del lavoro e il territorio sia da parte degli architetti che degli operai, la mercificazione della vita, la frammentazione dell’essere umano, il tipo di professionisti formati nell’università e il ruolo che svolgeranno nella società di classe, il mito del progresso e il ruolo degli appaltatori, oltre a una critica più ampia del modo di produzione capitalista. Pur essendo immersi nel sistema di produzione di merci, questi intellettuali stanno cercando di progettare un’attività intellettuale libera con un significato sociale. Tutti i membri di Usina si considerano, oltre che architetti o scienziati sociali, educatori popolari che insegnano e imparano dalle lotte popolari o dai movimenti sociali”6.
Un altro esempio di autorganizzazione del lavoro metropolitano precario è rappresentato dalle cooperative dei raccoglitori dei rifiuti nate in risposta a condizioni di lavoro disumane fatte di discariche, capannoni caldi, sporchi, fetidi e ritmi di lavoro intensi. I raccoglitori di rifiuti si sono organizzati tramite assemblee democratiche promuovendo nuove relazioni importante all’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, con gli intellettuali che li hanno sostenuti nei processi di alfabetizzazioni per i lavoratori nati in parallelo alle loro lotte e migliori condizioni salariali. La loro forza è tale da poter influenzare le politiche pubbliche di pulizia urbana ma allo stesso tempo, sostiene Novaes, c’è il rischio di una loro cooptazione da parte dello Stato e le grandi imprese pronte a sponsorizzare queste cooperative. Un altro elemento negativo è l’assenza di condizioni per pensare ad un lavoro alienato a causa di “ritmi intensi di lavoro, le fluttuazioni del mercato, il ruolo dell’industria dell’alluminio nel controllo della filiera produttiva, il ruolo degli intermediari nella filiera produttiva e l’assenza di un reddito minimo per questi diseredati della propria terra, diseredati che sono spinti alla miseria dalla crisi strutturale del metabolismo sociale del capitale”7.
5. Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra
Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) emerge nel corso del processo di democratizzazione del paese degli anni ’80, contribuendo, tramite l’azione diretta dei lavoratori finalizzata all’occupazione dei terreni agricoli, a rimettere al centro della contesa politica il tema della terra e della riforma agraria. La loro lotta ha prodotto insediamenti rurali per la riforma agraria indipendenti dagli interessi dell’agroindustria ma sempre soggetti alla pressione del mare capitalista in cui sono immersi. Per resistere a questa offensiva, alimentata da quella Rivoluzione Verde che abbina agricoltura con fertilizzanti sintetici, OGM e produzioni orientate all’esportazione, hanno trasformato in cooperative gli insediamenti occupati. Questa scelta è anche funzionale a dimostrare come verrebbe organizzata l’agricoltura in una società socialista. Il MST è giunto a questa conclusione quando ha superato l’iniziale influenza della Chiesta cattolica che spingeva per un’organizzazione produttiva non finalizzata alla produzione economica ma alla sussistenza. L’agricoltura era organizzata in tante unità familiari con una bassa intensità di capitale, tecnologie ad alta intensità di lavoro, basso sviluppo delle forze produttive, piccola scala di produzione e inserimento nel mercato tramite una o due linee di credito.
“L’idea era che tutti dovessero lavorare insieme, condividendo ciò che avevano e lavorando più che altro per la sussistenza. In questa dinamica sono state create piccole associazioni, non con un obiettivo economico, ma con lo scopo di costruire una comunità contadina cattolica”8.
A rimescolare le carte sul tavolo sono stati i movimenti e i conflitti in cui il MST venne coinvolto a partire dagli anni ’80 che portarono ad un ripensamento radicale della loro idea di cooperazione. Le prime esperienze di organizzazione cooperativa del lavoro furono un fallimento sia per i limiti teorici dei contadini coinvolti che per gli ostacoli posti dalla burocrazia statale. Questi elementi generarono insediamenti impoveriti che costringevano i propri membri a ricercare fonti di reddito esterno per sopravvivere. Studiando le esperienze di organizzazione del lavoro socialista nell’agricoltura provenienti dai regimi del socialismo reale, come Cina, Cuba e l’ex DDR, sono arrivati alla conclusione di dover praticare uno sfruttamento collettivo dei mezzi di produzione e di lavoro. In questo modo sono nate le Cooperative di Produzione Agricola (CPA) con l’intento di favorire l’accesso alle risorse finanziare e tecniche e a condizioni di produzione e commercializzazione favorevoli. Tutti i fattori di produzione, terra, capitale e lavoro, sono socializzati e, sulla base dell’esperienza rivoluzionaria cubana, viene proposto un sistema cooperativo nazionale per rispondere alle diverse esigenze degli agricoltori. Il miglioramento economico delle cooperative sarebbe derivato dalla possibilità di portare sul mercato i prodotti della riforma agraria. Il MST voleva raggiungere questo risultato facendo leva su quella parte della classe dominante potenzialmente interessata alla riforma agraria classica e all’inserimento dei contadini nel mercato capitalista. Alla fine degli anni ’80 viene creato il Sistema Cooperativo dei Coloni (SCA) e successivamente, nel 1992, venne creata la Confederazione nazionale delle cooperative della riforma agraria del Brasile (Concrab) che riunisce 55 cooperative di produzione e commercializzazione e 7 centri cooperativi statali. Nello stesso periodo vennero fondate 40 CPA interamente collettiviste che vengono definite delle isole di socialismo. Esse hanno una personalità giuridica, consentendogli di entrare nel mercato, e un’organizzazione autonoma che si estende anche alla produzione e alla creazione di canali diretti di commercializzazione. Tuttavia queste iniziative non furono capaci di superare la diffidenza e l’ignoranza dei contadini che portò al loro parziale disfacimento. A ciò occorre aggiungere gli ostacoli provenienti dall’azione statale.
“La mancanza di comprensione di un apparato giuridico istituzionale che rendesse praticabile l’autogestione e la collettivizzazione dei mezzi di produzione e di lavoro agì come un forte agente inibitorio”9.
La risposta a questa situazione di crisi fu, a partire dal 1994, l’istituzione, tramite la Concrab, di cooperative di servizi regionali al posto di collettivi di autogestione. Si trattava di un modello maggiormente flessibile nell’organizzare e aggregare le famiglie che nel frattempo producevano individualmente attraverso i loro appezzamenti. Contemporaneamente il MST cerca di promuovere una formazione ideologica tra i contadini necessaria per farli partecipare alle lotte delle altre categorie che non appartengono al mondo rurale.
“La concezione della cooperazione del Movimento dei Lavoratori Senza Terra ha attualmente una prospettiva che porta allo sviluppo economico e sociale sviluppando valori umanisti e socialisti”. Questo obbliga il movimento a non limitare i suoi obiettivi organizzativi, politici ed economici perché questa sua concezione della cooperazione deve “essere intesa anche come uno strumento di lotta costruito collettivamente, in modo da contribuire all’organizzazione dei lavoratori insediati nei centri di base e alla formazione pratica dei militanti (lavoratori) per la lotta politica, economica e culturale”10.
Mi chiamo Antonino Infranca e sono il traduttore del libro di Henrique Tahan Noväes. Perché il mio nome non compare nella prima nota dell’articolo insieme a tutte le altre informazioni bibliografiche riguardanti il suddetto libro? Perché non avete riconosciuto il mio lavoro?
Ci scusiamo profondamente per questa nostra mancanza. Non era nostra intenzione mancarle di rispetto o non riconoscere il suo prezioso lavoro, Abbiamo provveduto all’immediata correzione. Ci dispiace ancora.