— Lucio
Circa un anno fa fu introdotto il lockdown nazionale ed imposta quasi “a furor di popolo”, in virtù dell’emergenza sanitaria, la DaD (in quei mesi esaltata da quegli stessi che oggi la disprezzano o la sminuiscono). L’intera classe docente dovette adeguarsi ed attrezzarsi, a spese proprie, ed in gran parte si è aggiornata a livello professionale. Oggi quel grande sforzo collettivo è stato misconosciuto e svuotato, nella misura in cui si sottintende che gli insegnanti in regime di DaD abbiano solo “perso tempo”. È un oltraggio al grande impegno collettivo profuso e alla dignità professionale di tutto il corpo docente, che da troppo tempo è svilito e mortificato dai Brunetta e Gelmini di turno. Inoltre, a me pare una mancanza di rispetto (e di tatto) oltremodo stupida e superflua, ovvero evitabile, dal momento che la DaD potrebbe rivelarsi una soluzione ancora indispensabile ed ineludibile, in vista di ulteriori, ipotetiche ed eventuali chiusure delle scuole. Un rischio imminente causato dalle nuove ondate epidemiche dovute alle cosiddette “varianti”.
Il neo-ministro insediato a capo del dicastero dell’istruzione, il prof. Bianchi, non si è ancora pronunciato apertamente, ma dalle indiscrezioni che sono trapelate in anticipo, sembra che l’ipotesi di prolungamento dell’anno scolastico fino al 30 giugno (presumibilmente solo per la scuola primaria) sarebbe motivata dall’esigenza, non di recuperare gli apprendimenti, bensì la socializzazione. È una istanza più che valida e di certo essenziale. Tuttavia, una simile giustificazione, per quanto sia comprensibile o accettabile per diverse ragioni, nel contempo è un dato culturale che tradisce la convinzione, largamente diffusa presso l’opinione pubblica, che la principale mansione degli insegnanti della scuola primaria sia quella della vigilanza e del babysitteraggio. In una simile direzione procederebbe anche l’ipotesi dei “campi estivi” per i bambini.
È assai palese questa “corrente di pensiero” in larga parte dell’opinione pubblica del nostro Paese. Non sono pochi i genitori (gli “utenti” della scuola concepita come una “azienda”) che scambiano gli insegnanti per una sorta di “baby-sitter” al loro servizio, ma non è affatto così. Il compito di sorveglianza dei minori, che pure rientra tra i doveri dei docenti, non è tale da giustificare, ad esempio, quelle attese prolungate che sovente si creano all’uscita delle scuole per consegnare i figli ai genitori ritardatari che se la prendono in maniera comoda. “Educare” non equivale a viziare, è un impegno che consiste nel guidare i propri figli affinché divengano soggetti autonomi e responsabili, e non tiranni infantili, capricciosi ed egoisti. Spesso alcuni genitori si limitano ad assecondare i figli e si ergono sul piedistallo dei “sindacalisti ad oltranza” a difesa delle loro creature, anche se hanno torto marcio. E sono pronti ad esaudire qualsiasi tipo di richiesta (anzi, pretesa) dei loro pargoli, senza nulla esigere in cambio.
Concedono tutto e subito, incondizionatamente, ma non sono capaci di renderli autonomi e responsabili, ossia di metterli in condizione di far fronte alle avversità della vita. Genitori solo in quanto hanno generato i figli, ma non li sanno educare, nella misura in cui non riescono ad opporre nemmeno il rifiuto più blando. Ancor meno sanno infliggere ai propri figli la benché minima punizione a fini educativi, non coercitivi. Non a caso, il verbo “educare” deriva dall’etimo latino e-ducere, che significa letteralmente estrarre fuori, cioè emancipare, e non castrare, né opprimere o inibire. Ricordo che “l’amore per i figli” non esige, né presuppone che bisogna proteggerli ad oltranza ed in ogni caso, persino quando sbagliano in maniera eclatante, ma implica la capacità di punirli a scopo educativo, contro il nostro stesso desiderio di cura e protezione genitoriale, che è un atto istintivo.
Tale è l’amore intelligente, che giova al bene e alla crescita psico-emotiva ed affettiva dei figli: serve a fargli comprendere che, allorché essi commettono un errore, devono imparare ad assumersi le loro responsabilità ed accettare le conseguenze dei loro atti e dei loro comportamenti. Altrimenti essi non diventeranno mai degli adulti maturi e consapevoli. Lo sforzo educativo più efficace e più intelligente, equivale a tirar fuori (e-ducere) la personalità dell’adulto che “cova”, in nuce, nel bambino. Serve educare, e non viziare oltremisura i figli.