Cockshott e Cottrell: un nuovo modello di socialismo. L’informatica al servizio dell’economia di piano

Paul Cockshott

Paul Cockshott e Allin F. Cottrell pubblicarono all’inizio degli anni ’90 un libro, in netta antitesi rispetto al senso comune allora dominante, dal titolo Towards a New Socialism. I due autori mettono subito in chiaro che la loro idea di socialismo è diversa sia da quella sostenuta dai riformisti che dai cosiddetti marxisti idealisti. Davanti al collasso del socialismo reale, i primi possono sostenere che non è una questione legata alle sorti della socialdemocrazia, avendo da tempo rifiutato il marxismo. I secondi, invece, possono cavarsela prendendo le distanze da esperimenti sociali come l’URSS, affermando che furono dei tradimenti del pensiero marxista. Cockshott e Cottrell difendono la natura socialista di queste esperienze politiche, sostenendo che il modello sovietico fosse socialista ma condizionato dal contesto storico in cui i bolscevichi furono costretti ad operare. Per sostenere questa tesi sono costretti a definire cos’è il socialismo.

  1. Una definizione di socialismo

La socialdemocrazia dipende dalle risorse estratte dal settore capitalista, senza le quali non è possibile mantenere quegli elementi di socialismo che è riuscita ad introdurre. La società continua ad essere organizzata intorno alla merce e al salario. Non possiede una definizione dei principi del funzionamento del settore socialista in un’economia mista e perciò diventa difficile difendere questo modello. Cockshott e Cottrell differenziano le società in base al modo in cui viene estratto il plusprodotto dai produttori diretti. Bisogna distinguere il plusprodotto dalle risorse necessarie al mantenimento e alla riproduzione della forza lavoro. Infatti nasce dal lavoro dei produttori diretti che producono più del necessario per la propria sopravvivenza. Con queste risorse vengono mantenuti i membri non produttori della società, come i pensionati o i soldati, e viene garantita l’espansione dello stock dei mezzi di produzione. Per Cockshott e Cottrell in URSS l’estrazione del plusprodotto avveniva in forme non capitaliste anche se oscurate dal pagamento del salario in rubli e dall’utilizzo del denaro come unità di conto che avevano un contenuto sociale nuovo.

“Nella pianificazione sovietica, la divisione tra la parte necessaria e quella eccedente del prodotto sociale era il risultato di decisioni politiche. Per la maggior parte, i beni e il lavoro venivano fisicamente assegnati alle imprese dalle autorità di pianificazione, che avrebbero sempre assicurato che le imprese avessero denaro sufficiente per “pagare” i beni reali loro assegnati. Se un’impresa subiva “perdite” monetarie, e quindi doveva integrare i suoi saldi monetari con “sussidi”, non aveva importanza. D’altra parte, il possesso della moneta in quanto tale non era garanzia di poter entrare in possesso di beni reali. Allo stesso modo, le risorse destinate alla produzione di beni di consumo venivano allocate a livello centrale. Supponiamo che i lavoratori ottengano salari più alti in rubli: di per sé ciò non porterebbe a nulla, poiché il flusso di produzione dei beni di consumo non risponde all’importo monetario della spesa dei consumatori. Salari più alti significherebbero semplicemente prezzi più alti o carenze nei negozi. Il tasso di produzione del surplus veniva fissato quando i pianificatori assegnavano le risorse rispettivamente agli investimenti nell’industria pesante e alla produzione di beni di consumo.

In termini molto generali, questo passaggio a un sistema pianificato, in cui la divisione del prodotto necessario e del surplus è il risultato di una decisione sociale deliberata, è del tutto in linea con ciò che Marx aveva sperato. Solo che Marx aveva immaginato questa “decisione sociale” come radicalmente democratica, in modo che la produzione del surplus avesse una legittimità intrinseca”1.

Il crollo di questo sistema è da imputare ai metodi non democratici utilizzati e all’evidente limite nei processi di pianificazione che sono rimasti pressoché immutati dagli anni ’30 e hanno perso vitalità rispetto al capitalismo. Gli autori lamentano la scarsa presenza di elementi su cui basare la strutturazione di un’economia di piano nei classici del pensiero marxista e lo ritengono un limite ormai non più accettabile se vogliamo proporre una diversa organizzazione della società.

2. Il problema delle diseguaglianze e i certificati di lavoro

Il pensiero economico dominante sostiene l’inevitabilità delle diseguaglianze perché sarebbero un forte incentivo al lavoro per i poveri, altrimenti subirebbero una maggiore povertà, mentre i ricchi sarebbero invogliati a lavorare grazie alla riduzione delle tasse e la promessa di guadagnare ancora più soldi. Per Cockshott e Cottrell le diseguaglianze non sono accettabili e nascono da cause ben precise: lo sfruttamento, l’eredità, la disoccupazione, la vecchiaia, la subordinazione delle donne all’uomo e la disabilità.

Lo sfruttamento esiste nel momento in cui il salario ricevuto è inferiore al valore del prodotto del proprio lavoro. In assenza di questo meccanismo per gli autori sarebbe possibile, ad esempio, scambiare 40 ore del proprio lavoro settimanale con 40 ore di un altro lavoro per soddisfare un proprio bisogno. Sostengono che non sarebbe complicato calcolare il lavoro contenuto in ogni merce. Ciò non accade nel capitalismo, dove il lavoro salariato si basa su un accordo formalmente volontario ma di fatto dipendente dai rapporti di forza tra lavoro e capitale. A dimostrazione di ciò affermano che:

“Per ciascun settore dell’economia esaminiamo come il valore aggiunto attraverso il lavoro è distribuito tra salari e profitti. Per valore aggiunto intendiamo la differenza tra le vendite totali di un’azienda e i costi dei suoi input non lavorativi nel processo produttivo: carburante, materie prime, ammortamento dei macchinari, ecc.

Queste cifre derivano dal Libro blu delle entrate e delle spese nazionali del 1983 pubblicato dall’Ufficio centrale di statistica. Le due colonne mostrano i salari e i profitti totali per vari settori dell’economia. Il valore aggiunto totale è la somma dei salari e dei profitti. Possiamo vedere che la quota di valore aggiunto destinata ai salari varia sostanzialmente da un settore all’altro. Nel 1982 la quota di valore aggiunto spettante ai lavoratori del settore energetico ammontava solo al 27%. Ciò equivale a lavoratori del settore energetico che lavorano 16 minuti ogni ora per se stessi e 44 minuti all’ora per il profitto dei loro datori di lavoro.

In altri settori il tasso di sfruttamento è inferiore. Nel settore manifatturiero, ad esempio, circa il 75% del valore aggiunto è destinato ai salari. Per arrivare a una stima del livello medio di sfruttamento dei dipendenti per l’economia nel suo insieme, iniziamo sommando salari e profitti per i vari settori capitalisti dell’economia. Se guardiamo il totale dei salari e dei redditi da proprietà scopriamo che solo il 60% circa di tutto il valore aggiunto è andato ai lavoratori che lo hanno creato”.

Cockshott e Cottrell affermano che nei settori capitalista di un’economia mista i lavoratori recuperano in media solo il 53% del valore aggiunto da loro prodotto. Un’altra fonte di diseguaglianze risiede nei guadagni garantiti ai padroni da parte del capitale finanziario che è legato alle condizioni salariali a cui sono sottoposti i lavoratori. Infatti esse permettono di recuperare risorse sottoforma di dividendi, pagamenti di interessi o accumulo di capitale in azienda.

Per quanto riguarda la disoccupazione, Cockshott e Cottrell sostengono che serve unicamente per regolare lo sfruttamento dei lavoratori, comprimendo i salari o utilizzando i disoccupati come crumiri e arma di ricatto in caso di sciopero. La disoccupazione è mantenuta in vita artificialmente perché le soluzioni per abbatterla sono le stesse degli anni ’40. Non vengono applicate perché aumenterebbero i salari, comprimendo i profitti aziendali. Infatti, quando vennero promosse queste politiche durante il Trentennio Glorioso, i lavoratori ne approfittarono per ridurre il proprio sfruttamento ma per mantenere alti i propri profitti le imprese generarono l’inflazione. A seguito di tutto ciò queste politiche furono archiviate sia da sinistra che da destra.

I comunisti, per eliminare le diseguaglianze, dovrebbero riprendere in mano le stesse proposte nate nel XIX secolo. In primo luogo chi lavora deve ricevere come salario quanto investito durante la giornata come tempo e fatica. Solo il lavoro, inoltre, dovrebbe essere considerata una legittima fonte di reddito. Questo escluderebbe altre fonti di reddito come la rendita. Cockshott e Cottrell sostengono che questo principio è alla base di un nuovo ordine giuridico, morale e sociale dove arbitrarie unità monetarie sarebbero sostituite da un sistema monetario basato sul tempo di lavoro. Di conseguenza, potremmo scambiare, per esempio, tre ore del nostro lavoro per un bene di consumo contenente le stesse ore di lavoro. Questo sistema è basato su certificati di lavoro che non sono denaro, possono essere scambiati solo con beni di consumo, sono personali, non trasferibili e annullati dopo il loro utilizzo. Inoltre avrebbero una scadenza naturale, ad esempio un anno.

“A meno che gli individui non riscattino la loro quota della produzione di quest’anno entro la sua fine, si presumerà che non la vogliano. Se i certificati di lavoro non venissero spesi, i beni che incorporavano il lavoro non verrebbero utilizzati”.

Questa idea è basata su alcuni scritti di Marx ma non ritengono sia utile proporre questa soluzione negli stessi termini oggi. I certificati di lavoro potrebbero essere sostituiti da una carta di credito che traccia il lavoro svolto dalle persone. Tolte le detrazioni per soddisfare i bisogni comuni, come la sanità e l’istruzione, le persone sarebbero pagate con dei crediti di lavoro sulle proprie carte di credito e le merci sarebbero distribuite in base al lavoro contenuto in esse. La produzione sarebbe immediatamente sociale. Per quanto riguarda la tassazione personale, nel socialismo potrebbe essere maggiore per sostenere il welfare e i beni comuni ma avrebbe un’impostazione democratica. Con la piena occupazione servirebbero meno tasse e l’allocazione del reddito nazionale per mezzo del sistema fiscale, grazie al controllo democratico, permetterebbe ai cittadini di controllare le risorse da loro prelevate.

3. Formazione, lavoro qualificato e incentivi al lavoro

Cockshott e Cottrell hanno inizialmente trattato il lavoro come omogeneo ma sappiamo tutti che non produce sempre lo stesso valore, essendo diverse la formazione, le competenze e le qualità personali che determinano l’impegno e la capacità di lavorare cooperando con gli altri. Nel capitalismo i lavoratori istruiti sono pagati di più per compensare il ritardo nell’accesso al mondo del lavoro ma gli autori contestano questa tesi. Non si tratta di una situazione di svantaggio come iniziare a lavorare in fabbrica a 16 anni. Nel socialismo, con l’istruzione a carico dello Stato, può esserci uno stipendio per gli studenti, riconoscendone il lavoro che ha come output il lavoro qualificato.

Nel capitalismo esistono branche produttive dove può esistere scarsità di forza lavoro che genera una rendita sottoforma di uno stipendio più consistente per coloro che possiedono le competenze richieste. Anche nel socialismo possono sorgere queste situazioni ma la pianificazione le può limitare ma i comunisti potrebbero essere comunque costretti a pagare questa rendita di posizione aggiungendo un extra ai certificati di lavoro. Questi problemi potrebbero generarsi anche in presenza di attività lavorative rischiose. Nel socialismo è possibile sceglie tra pagare un extra ai lavoratori per poter ovviare alla scarsità di forza lavoro oppure migliorare le condizioni lavorative anche scegliendo, in assenza di alternative, di non sviluppare determinate attività fino alla possibilità di usare tecnologie che le renderebbero meno pericolose. Questa questione ci consente di introdurre l’argomento degli incentivi. Il rischio di utilizzarli è la svalutazione dell’ora di lavoro, unità su cui si basa il sistema di Cockshott e Cottrell, danneggiando gli altri lavoratori che avrebbero il proprio reddito svalutato. Per evitare l’inflazione questi incentivi dovrebbero essere finanziati dalla tassazione generale. Tutto questo discorso è legato al tema del plusprodotto.

4. Il plusprodotto nel socialismo

Il plusprodotto è necessario per lo sviluppo di qualsiasi società e le modalità di estrazione variano in base al modo di produzione dominante. Nel socialismo deve essere garantita la sua estrazione dai lavoratori in condizioni accettabili per garantire la produzione di nuovi mezzi di produzione e mantenere i lavoratori marxianamente non produttivi. Nel capitalismo lo scopo è raggiunto tramite il contratto di lavoro che impone, esplicitamente o meno, un’idea di prestazione minima accettabile. Questo standard viene fatto rispettare tramite i meccanismo di controllo dell’impresa e la minaccia del licenziamento. La forza di quest’ultima dipende dai tassi di disoccupazione dell’economia. Maggiore è la disoccupazione, maggiore sarà la forza del ricatto della perdita di lavoro. Il controllo può anche essere esercitato tramite bonus, promozioni e la creazione di ambienti di lavoro apparentemente democratici, in cui è possibile il confronto con i superiori e la proposta di idee direttamente provenienti dai dipendenti. Nel socialismo, ovviamente, non esiste la minaccia della disoccupazione ma per raggiungere lo stesso scopo del capitalismo non è possibile fare leva solo sull’idea di lavorare tutti insieme per il benessere collettivo. Cockshott e Cottrell suggeriscono di assorbire le migliori strategie di gestione del lavoro prodotte dalle imprese capitaliste e legare il salario alla produttività del lavoro. Delineano tre livelli. Il primo è determinato dal lavoratore che lavora con una produttività media. Al di sopra di esso troviamo il lavoratore che ha una produttività superiore alle media, al di sotto il lavoratore che ha una produttività inferiore alla media. Questi livelli non hanno alcun legame con la qualifica ma servono alla realizzazione del piano perché sono considerati come diversi ritmi della creazione del valore. Nel breve e nel medio termine il pianificatore dovrà tenere conto delle diverse qualifiche ma questo non intacca l’uso del tempo di lavoro come unità di conto perché “a lungo termine i lavoratori possono essere riqualificati, e il presupposto “democratico” dei socialisti è che, a parte alcuni compiti estremamente impegnativi e alcuni individui disabili, quasi tutti possono fare quasi tutto. Nel contesto della pianificazione a lungo termine, ciò che conta non è l’attuale disponibilità di specifiche tipologie di manodopera qualificata, ma piuttosto il costo di produzione di tali competenze. E proprio come il valore delle macchine può essere calcolato in termini di quantità di tempo di lavoro necessario per produrle, ai fini del calcolo economico a lungo termine, lo stesso vale per le competenze umane”.

5. Il progresso tecnico

Nel sistema di pianificazione proposto da Cockshott e Cottrell il calcolo economico razionale deve essere basato su un’aritmetica del tempo individuata nel tempo di lavoro che favorirebbe giustizia sociale e progresso tecnico. Il socialismo si dimostrerebbe superiore al capitalismo nel momento in cui riesce a gestire meglio il tempo. Il capitalismo si presenta come un sistema progressista perché garantisce il progresso tecnico ma lo fa troppo lentamente per la presenza di forza lavoro artificialmente a buon mercato. La razionalità del capitalista è un gradino superiore a quella dello schiavista. Non vuole sprecare i suoi soldi quando assume un lavoratore ma lo fa a buon mercato, altrimenti non ci sarebbe alcun profitto. Questo genera il paradosso di una sua insufficiente valorizzazione perché le condizioni a buon mercato portano a sprecare la forza lavoro. Cockshott e Cottrell fanno molti esempi a sostegno di questa tesi. Le ferrovie dell’impero britannico furono costruite con quasi gli stessi strumenti che erano a disposizione anche degli schiavi dell’Antica Roma. Il lavoro di scarico delle merci nei porti era svolto nel XX secolo esattamente come nel Medioevo fino all’arrivo della piena occupazione. Da ciò possiamo trarre una regola generale: finché i salari sono bassi, i padroni non hanno alcuna motivazione per modernizzare la produzione. Questo discorso non vale solo per il lavoro manuale. Cockshott e Cottrell, ad esempio, parlano di IBM che negli anni ’50 costruì macchinari altamente automatizzati per costruire le memorie centrali dei propri computer. Con una domanda in costante crescita, le fabbriche erano sempre più automatizzate. Un manager della Kingston trovò una soluzione meno costosa. Fece svolgere lo stesso lavoro ad operai giapponesi a basso costo rispetto all’automazione della fabbrica.

Non è possibile confrontare il costo di due diverse tecniche in presenza dell’influenza del salario al posto del tempo di lavoro. Bisogna evitare calcoli monetari dove i costi di produzione includono la distribuzione del reddito. Per questo motivo è necessaria una misura oggettiva della quantità di lavoro usata per produrre oggetti. Le imprese capitaliste usano le informazioni del mercato per scegliere la modalità di produzione più economica ma questo comportamento tende a sprecare forza lavoro. Una fonte più obiettiva dei costi deve essere staccata dal mercato. Cockshott e Cottrell la trovano nell’informatica. Un sistema computerizzato dovrebbe fornire una stima dei costi basata sul tempo di lavoro. Per stabilire il lavoro contenuto in un bene, bisogna tenere conto anche del suo lavoro indiretto. Per esempio, la produzione di un pomodoro non è data solo dal lavoro del contadino ma anche dall’energia per mantenere in funzione la serra dove viene coltivato, la produzione delle sementi, i costi dietro la produzione dei materiali per costruire la serra ecc.

Possiamo tenere in considerazione tutto ciò grazie alla tabella input-output che regista in quale modo un output di un’industria diventi l’input di un’altra. Cockshott e Cottrell sono ovviamente consapevoli che un piccolo esempio come questo o quelli proposti a fini didattici nel libro sono nulla rispetto alla complessità di moltiplicare per milioni di volte le equazioni di questo modello per redigere un piano. Sarebbe impossibile fare una simile operazione manualmente ma non è una sfida insuperabile per i computer con cui è possibile mettere in relazione la scala dell’economia da pianificare e il tempo informatico richiesto.

6. La pianificazione

Cockshott e Cottrell introducono a questo scopo la teoria della complessità, ovvero una branca dell’informatica che si occupa dei passaggi discreti per eseguire un calcolo che equivalgono al numero di istruzioni eseguite da un programma che svolge il calcolo. La domanda finale a cui rispondere è se questo sistema, composto dalle equazioni ricavate dalla tabella input-output, è risolvibile.

“Il metodo standard per risolvere equazioni simultanee è l’eliminazione gaussiana. È equivalente al metodo dei libri di testo scolastici. Questo metodo fornisce una soluzione esatta in un tempo di esecuzione proporzionale al cubo del numero di equazioni.

Supponiamo che il numero di tipi distinti di produzione da pianificare nell’economia sia dell’ordine di un milione (106). In tal caso il metodo di eliminazione gaussiana applicato alla tabella input-output richiederebbe 106 cubi o 1018 (un milione di milioni di milioni) di iterazioni, ciascuna delle quali potrebbe contenere dieci istruzioni primitive del computer.

Supponiamo di poter eseguire il problema su un moderno supercomputer giapponese come il Fujitsu VP200 o l’Hitachi S810/20, quanto tempo ci vorrà? Queste macchine sono in grado di eseguire circa 200 milioni di operazioni aritmetiche al secondo quando lavorano su grandi volumi di dati. Quindi il tempo necessario per calcolare tutto il valore del lavoro dell’economia sarebbe dell’ordine di 50 miliardi di secondi o 16mila anni. Ovviamente, è decisamente troppo lento.

Quando ci si imbatte in un problema di scala come questo, spesso è conveniente riformulare il compito in termini diversi. In pratica è probabile che la tabella input-output di un’economia sia per lo più vuota. In realtà ogni prodotto ha in media solo poche decine o al massimo centinaia di input per la sua produzione anziché un milione. Ciò rende più economico rappresentare il sistema in termini di un vettore di liste piuttosto che di una matrice. Di conseguenza, ci sono delle scorciatoie che possono essere prese per arrivare ad un risultato. Possiamo utilizzare un altro approccio, quello dell’approssimazione successiva.

L’idea qui è che, in prima approssimazione, ignoriamo tutti gli input del processo produttivo tranne il lavoro direttamente speso. Questo ci fornisce una prima stima approssimativa del valore del lavoro di ciascun prodotto. Sarà una sottostima perché ignora gli input non lavorativi nel processo di produzione. Per arrivare alla nostra seconda approssimazione aggiungiamo gli input non lavorativi valutati sulla base dei valori del lavoro calcolati nella prima fase. Questo ci porterà un passo avanti verso i veri valori del lavoro. L’applicazione ripetuta di questo processo ci fornirà la risposta con il grado di precisione desiderato. Se circa la metà del valore di un prodotto medio deriva da input diretti di manodopera, allora ogni iterazione del nostro processo di approssimazione aggiungerà una cifra binaria di significato alla nostra risposta. Una risposta corretta con quattro cifre decimali significative (che è migliore di quanto il mercato possa ottenere) richiederebbe circa 15 iterazioni attorno al nostro processo di approssimazione.

La complessità dell’ordine temporale di questo algoritmo è proporzionale al numero di prodotti moltiplicato per il numero medio di input per prodotto e moltiplicato per la precisione desiderata del risultato in cifre. Secondo le nostre ipotesi precedenti, questo potrebbe essere calcolato su un supercomputer in pochi minuti, anziché nelle migliaia di anni necessari per l’eliminazione gaussiana”.

La pianificazione si dispiega su tre livelli.

Il primo livello è quello della pianificazione strategica che definisce quali settori sviluppare, con quali tecnologie e quali settori economici eliminare. Può essere applicata in molti ambiti come i trasporti, gli alloggi o l’energia. Ad esempio, decidere se incentivare il trasporto pubblico o privato implica ragionare sullo sviluppo della città, decidendo come organizzare le industrie, il commercio al dettaglio, le abitazioni dei lavoratori, la congestione urbana ecc. Questo ragionamento è facilmente collegabile alle vecchie tecnologie. Per le nuove il discorso si complica perché le autorità dovrebbero individuare i risultati della ricerca su cui basare le nuove industrie e le nuove tecnologie, preoccupandosi della formazione della forza lavoro e dell’ideazione dei macchinari per i nuovi processi produttivi. Il modello è criticato perché non terrebbe conto, nella formazione dei costi, delle risorse naturali non riproducibili finendo per sottostimarli. Cockshott e Cottrell rispondono a questa critica affermando che può tranquillamente essere rivolta al capitalismo e al suo uso irrazionale delle risorse naturali. Nel capitalismo si pensa al prezzo delle risorse naturali, nella teoria classica, come figlio della rendita fondiaria differenziale che rende la foresta o il pozzo di petrolio gratuiti e il costo di produzione deriverebbe dal costo di lavoro e, per i neoclassici, da capitale. Il prezzo di mercano non riconosce la natura finita di queste risorse e di conseguenza viene prodotta la loro sistematica distruzione nelle economie orientate al mercato.

“L’unica circostanza in cui un sistema di mercato porterà alla gestione della terra e ne preserverà la fertilità, è se c’è una classe di proprietari terrieri che trae le sue entrate dalla rendita fondiaria e ha un interesse acquisito nel preservare tali entrate. Tecnicamente, ciò presuppone una rendita differenziale derivante da rendimenti decrescenti al margine. Politicamente, presuppone che la classe dei proprietari terrieri sia ricca, politicamente sofisticata e sostenuta dal potere statale. Questa combinazione si verifica solo in circostanze storiche specifiche. Nella maggior parte del mondo, durante l’era capitalista, la terra è stata posseduta da contadini poveri o cacciatori-raccoglitori con scarso accesso al potere politico. Le loro risorse naturali sono state semplicemente espropriate. Inoltre, se sia razionale per i proprietari terrieri coltivare una risorsa o estrarla, distruggendo la fertilità del suolo, ecc., dipenderà dal tasso di sconto. Ad ogni tasso di sconto positivo ha senso esaurire le risorse non rinnovabili. A tassi di sconto bassi e stabili potrebbe essere economicamente fattibile realizzare investimenti che migliorino la qualità del terreno, come facevano le classi dei proprietari terrieri britannici del XVIII secolo, ma qui abbiamo a che fare con risorse lentamente rinnovabili piuttosto che con risorse non rinnovabili”.

Cockshott e Cottrell sostengono una tesi radicale: qualsiasi decisione presa a partire dai prezzi distruggerà l’ambiente perché non riporta tutte le informazioni necessarie. Questo vale per qualsiasi meccanismo decisionale basato su una funzione obiettivo perché le informazioni coinvolte sono complesse e irriducibili ad una questione contabile. Questi problemi devono essere analizzati a partire da indagini scientifiche libere e la lotta politica deve farsi carico della loro risoluzione.

Il secondo livello è la pianificazione dettagliata che si occupa di allocare in maniera specifica le risorse, come la forza lavoro e una data quantità di beni. Quindi, mentre la pianificazione strategica si occupa dell’indirizzo generale dell’industria, la pianificazione dettagliata definisce nello specifico la sua struttura. Ad esempio, se la pianificazione strategica prevede che il 7% del reddito nazionale sarà destinato agli elettrodomestici, la pianificazione dettagliata definisce quantitativamente quali elettrodomestici produrre, stabilendo anche la quantità di componenti necessari per la loro produzione. La pianificazione utilizza indirettamente anche il marketing per ottenere le informazioni su quanto tempo di lavoro le persone sono disposte ad utilizzare per un determinato bene ed eventualmente viene deciso se interrompere la produzione e spostare altrove le risorse. Potrebbero sorgere dei problemi nella produzione dei beni richiesti a causa di vincoli esterni come le scorte di mezzi di produzione e l’offerta di lavoro carenti. Questo potrebbe portare ad una riallocazione delle risorse tra le industrie o un ripensamento del piano qualora gli obiettivi fissati fossero al momento irraggiungibili. In URSS il sistema non era basato su obiettivi di output finali ma partivano da obiettivi fissati in termini grossolani, generando un’ideologia produttivista che rende la produzione di beni intermedi come fine a sé stessa. Non c’è traccia di razionalizzazione della produzione in funzione degli obiettivi finali. I sovietici, inoltre, non avevano le tecniche computazionali e matematiche per analisi di sistemi input-output grandi. Negli anni ’80 potevano farle solo per sistemi piccoli e altamente aggregati. Infine tutto questo processo richiede un libero flusso delle informazione e l’accesso universale ai sistemi informatici.

Il terzo e ultimo livello è quello macroeconomico che stabilisce la ripartizione del lavoro totale e quanto lavoro va indirizzato ai beni consumo o ai beni sociali come la sanità. Il suo scopo è garantire l’equilibrio complessivo dell’economia rispetto all’utilizzo finale del prodotto. Per fare ciò, ha bisogno di coerenza tra i tre aspetti della macroeconomia: teoria, obiettivi politici e sistema contabile. La pianificazione macroeconomica sovietica era basata su una rozza distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo. La versione di Cockshott e Cottrell è basata sul tempo di lavoro come unità di contabile sociale e vi troviamo esplicitate alcune categorie molto importanti per chiudere il cerchio del loro modello. La prima è quella di prodotto di valore lordo. In un’economia socialista è dato dal contenuto di beni e servizi prodotti in un dato periodo di tempo. Può essere suddiviso in due componenti in base alla fonte di lavoro. Quella maggiore è il lavoro corrente, cioè svolto durante un determinato periodo di tempo contabile. Poi troviamo il lavoro passato, cioè trasferito da beni prodotti nel passato e che prendono la forma di scorte o mezzi di produzione durevoli tendenti all’usura oppure all’obsolescenza.

Il prodotto di valore netto è dato dal lavoro aggiunto per compensare il deterioramento dei beni prodotti in passato. I certificati di lavoro totali sono invece la forza lavoro impiegata. Combinando prodotto di valore netto e lordo possiamo affermare che i certificati di lavoro totali sono il prodotto di valore netto. Potenzialmente i lavoratori possono spendere tutto in beni di consumo esaurendo il prodotto di valore netto. Tuttavia ciò non è possibile perché il loro reddito è inferiore al prodotto di valore lordo per garantire le risorse per compensare il consumo dei mezzi di produzione. A ciò bisogna aggiungere il mantenimento dei beni sociali non di consumo come la salute e l’istruzione, i prestiti ad altri paesi o le risorse per nuovi mezzi di produzione per aumentare la futura capacità produttiva. Questo si traduce nella tassazione del reddito simbolico dei lavoratori. Una parte di queste risorse deve essere trasferita, tramite le tasse per non aumentare i certificati di lavoro in circolazione, con conseguente inflazione, ai non lavoratori come disabili, pensionati o coloro che stanno cambiando occupazione.

  1. Tutte le citazioni sono tratte da un eBook, pertanto non sono disponibili le pagine. Il libro originale è W. Paul Cockshott, Allin F. Cottrell, Towards a New Socialism, Spokesman Books, Nottingham 1993. Tutte le citazioni sono state tradotte dall’inglese. ↩︎

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