SI SON LEVATI TUTTI IL CAPPELLO

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Nel ’69 si preannunciavano anni difficili, per il secondo governo Rumor, dove l’imperante Democrazia Cristiana era ora supportata da socialisti e socialdemocratici.
Dopo la contestazione del Maggio ’68, in Italia la partita sembrava non voler chiudersi.
Il 9 Aprile del 1969, durante uno scontro la polizia aprì il fuoco sulla folla, lasciando l’ordine pubblico al piombo dei fucili, che provocò 200 feriti e strappò la vita a due persone; il 25 Aprile una bomba provoca 5 feriti in un esposizione della FIAT-Mirafiori, a Settembre comincia l’Autunno Caldo, e scioperi e manifestazioni furono all’ ordine del giorno.
La situazione pareva ingestibile per il monocolore dello scudo crociato, e a nulla valevano gli arresti, le retate, le corse delle camionette della Celere a sirene spiegate.
Il Partito Comunista Italiano di Longo, lo stesso che da lì a poco  acquisirà sempre più consensi grazie al distacco dall’ Unione Sovietica  portando il partito sotto Berlinguer ad  apparire ben più determinato e più affidabile (anche per numerosi ostici sostenitori del PSI, che cambiano sponda, dando il loro voto alla falce e martello), era guardato da molte organizzazioni come Lotta Continua con fare sospetto per via del suo opportunismo filosovietico (in particolare in seguito all’ intervento del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia a Praga). È in questo anno che si forma il Collettivo Metropolitano, probabilmente futuro nucleo delle famigerate Brigate Rosse. Il Movimento Studentesco marcia più compatto che mai negli atenei delle maggiori città italiane, e i fascisti del FUAN assumono i connotati eversivi che li contraddistingueranno negli anni futuri.
Il pericolo è enorme per la DC e in minor parte per il Movimento Sociale Italiano (che comunque mantiene salda la sua posizione “non conforme”, e quindi il voto dei suoi sostenitori).
Ma le preoccupazioni giungono anche da oltreoceano: Nixon, giunto in Italia, viene duramente contestato, e quindi non gli sfugge il “degenerare” della situazione Italiana, cardine del Patto Atlantico.
L’Italia, già campo problematico dal punto di vista politico, rischia ora di scrollarsi di dosso il giogo militare a cui è sottoposta, e, con l’Austria neutrale e il Patto di Varsavia a una distanza irrisoria dalle Alpi Giulie, con l’ex partigiano comunista Tito al di là dell’ Adriatico, non è una situazione accettabile per i cari alleati a stelle e strisce.
Al contrario, nonostante i numerosi attriti tra il Partito Comunista Italiano e il PCUS, i sovietici mostrano molto interesse nei confronti dello stivale, e pur rassegnando l’idea fi vederlo un giorno entrare nel Patto di Varsavia, sanno che la via al Socialismo Italiano potrebbe portare non pochi vantaggi, se non immediati, perlomeno indiretti.
Ma torniamo al Bel Paese, e ai drammatici avvenimenti che giungeranno al termine di questo travagliato anno 1969.
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~12 Dicembre 1969: Milano, Piazza Fontana-Banca Nazionale dell’ Agricoltura.
Sono circa le quattro e mezza del pomeriggio, gli sportelli della banca stanno per chiudere. Il viavai triangolare delle persone, dalla porta alle sedie e dalle sedie agli sportelli, per poi uscire, riempie l’androne della Banca.
Le facce irrigidite dal freddo entrano avvolte nel bavero alzato dei cappotti, frenetici, perché le quattro e mezza sono ormai passate, ed è un caso straordinario che sia ancora aperto; la calca cresce.
Poi, è un attimo. L’attimo del passaggio di mani di una ricevuta da sotto il vetro dello sportello, l’attimo di un piede fuori dalla porta e uno dentro, gli utenti della banca vengono investiti in pieno dall’ impressionante esplosione.
Tredici corpi rimangono immediatamente senza vita, falciati all’istante dalla bomba.
Dei 90 feriti, altri 4 moriranno in seguito.
Altre 5 bombe scuotono l’Italia nell’ arco di 53 minuti; una viene ritrovata inesplosa davanti alla sede della Banca Commerciale e fatta brillare dagli artificieri.
Scattano le indagini.
Al ministro Rumor viene subito segnalata una pista che conduce agli ambienti anarchici e della sinistra extraparlamentare milanese. La PS stringe i polsi del maggior indiziato la sera stessa della strage; l’uomo è un ferroviere anarchico, frequentatore del circolo Ponte della Ghisolfa e ex partigiano delle Brigate Malatesta: Giuseppe Pinelli.
Viene fermato la sera del 12 Dicembre, nella questura di Milano.
Intanto le indagini vanno avanti, e sorgono i primi dubbi.
Il primo a parlare è Indro Montanelli, che si disse non convinto del coinvolgimento degli anarchici, per quegli stessi motivi che hanno contraddistinto le azioni violente per mano anarchica nel corso della storia: da Gaetano Bresci che spara a bruciapelo al Re Umberto I, a Gino Lucetti che scaglia una bomba a mano contro l’auto di Mussolini, gli anarchici “non sparano nel mucchio” e non “lanciano il sasso e nascondono la mano”; questa “cultura insurrezionalista” tutta anarchica è incredibilmente la prima difesa che viene rivolta in favore dei militanti con la A cerchiata.
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Però la pista pare seguire imperterrita la stessa traccia.
A distanza di 2 giorni appare un personaggio bizzarro per la scena politica Italiana.
Di Vittorio Ambrosini infatti non si era capito granché. Oscillava tra gli ambienti dell’estrema destra e si avvicinava ai comunisti.
Ma lui si pronuncerà in maniera chiara: disse di essere a conoscenza dei retroscena della strage, e accusò dell’ attentato i neofascisti di Ordine Nuovo. Un cambio delle carte in tavola davvero niente male, le indagini a quanto pare si sarebbero dovute riallineare a un nuovo settore della bussola politica. Ma Ambrosini ritratterà, allontanandosi dalle accuse che aveva formulato contro l’estrema destra; ritornerà alle accuse contro ON nel ’71.
Ma il colpo di scena più significativo arriva il 15 Dicembre.
Il fermato Giuseppe Pinelli, accusato come autore della strage, precipita da una finestra del quarto piano della questura.
Il Brigadiere Guida, presente nella stanza dalla quale Pinelli si è lanciato, portò una sua versione dei fatti:
Il fermato Giuseppe Pinelli, alzatosi in piedi durante l’interrogatorio accusando un malore, si sarebbe lanciato con “uno scatto felino” fuori dalla finestra, rimasta aperta per l’afa. Il commissario Pierluigi Calabresi non era presente nella stanza.
La storia non deve però essere sembrata convincente, dal momento che le testate del 16 Dicembre riporteranno: “Oscuro suicidio in questura di un fermato”.
Sul caso Pinelli sono state aperte inchieste, indagini, controlli, che hanno sempre dato il commissario Calabresi per innocente; saranno poi di opinione diversa i militanti di Lotta Continua che qualche anno più tardi gli renderanno un agguato trucidandolo a colpi di pistola. Ma il caso Pinelli sarà approfondito più avanti;
ora è stata accesa una miccia pericolosa: pochi credono che Calabresi e Guida siano innocenti, pochissimi credono nel suicidio dell’ anarchico.
La già compromessa fiducia nelle istituzioni perde praticamente ogni presa negli ambienti della sinistra, e ogni notizia diramata sulla strage puzza di depistaggio; c’è chi addirittura comincia a parlare di un implicazione del Servizio Informazioni della Difesa (SID), ma c’è anche chi dice di aver portato tramite automobile un soggetto legato agli ambienti anarchici.
È un taxista, Cornelio Rolandi, che afferma di aver portato in taxi Pietro Valpreda nella zona dell’attentato, poco prima dell’esplosione, e di averlo riconosciuto perché già apparso in foto su un giornale.
Pietro Valpreda (foto sopra)  viene arrestato il 16 Dicembre, sarà processato insieme a Mario Merlino (arrestato lo stesso giorno) nel 1972, risultando innocente.
Più avanti si scoprirà che Mario Merlino nient’altri è che un neofascista infiltrato nel Circolo 22Marzo frequentato da Valpreda.
Tuttavia, sotto direttiva di alcuni infiltrati della Polizia di Stato, nel circolo anarchico 22Marzo vennero rinvenute borse e attrezzature per la messa a punto di un attentato come quelli del 12 Dicembre. La sorpresa dell’ attesa prova contro gli anarchici viene però congelata, quando la provenienza di quel materiale riapre la pista fascista.
È il 13 Aprile 1971. Vengono arrestati Franco Freda e Giovanni Ventura, neofascisti ora al banco degli imputati per la Strage. Il 21 ottobre Ambrosini, che per primo accusò Ordine Nuovo, muore precipitando dalla finestra dell’ ospedale in cui era ricoverato, con una nuova scia di dubbi e domande.
A Castelfranco Veneto in novembre sorge una nuova accusa contro Ventura. Da un muratore impegnato nella ristrutturazione di un’abitazione viene rinvenuto un deposito di armi ed esplosivi, adiacente alla proprietà di un consigliere comunale socialista, tale Giancarlo Marchesin, che dopo l’arresto accuserà Ventura di averle portate lì, mentre in precedenza erano stoccate in un’altra abitazione, proprietà Pan. A questo Marchesin aggiunse che Ventura stesso, nell’ estate del ’69 gli chiese di comprare per suo conto delle scatole metalliche, che poi saranno usate negli attentati del 12 Dicembre.
Sulla scena appare un amico di Franco Freda, che testimonia come la strage fosse stata pianificata in aprile, da un gruppo formato da Ventura, Freda, vari altri esponenti di Ordine Nuovo tra cui Pino Rauti e un dubbio giornalista, identificato come agente del SID. Pozzan prima ritratta e esclude Rauti. Poi ritratta completamente, gli vengono concessi gli arresti domiciliari e fugge nella Spagna franchista sotto pseudonimo; Rauti viene scagionato.
Ormai la responsabilità neofascista appare confermata.
Ma alcuni conti non tornano.
Innanzitutto va citato insieme ai personaggi principali dell’ atto (Pinelli, Valpreda, Ventura e Freda) un quinto soggetto: Antonio Sottosanti, meglio noto tra gli anarchici come “Nino il fascista”.
Inizialmente vicino all’ estrema destra, dopo aver militato nella legione straniera, tornò in Italia e cominciò a frequentare gli ambienti anarchici, rimanendo vicino a ON. Molto simile in viso a Valpreda, dopo aver saputo dell’ esistenza del “sosia”, il taxista Cornelio Rolandi si disse disposto a ritrattare la sua testimonianza, non avendo più l'”assoluta certezza” richiesta dal tribunale (Rolandi non giungerà comunque mai in tribunale, morì infatti di infarto agli inizi del ’72, prima del processo a Valpreda).
Tuttavia Sottosanti espose un alibi, sostenendo di essere in compagnia nientemeno che di Pinelli, il giorno dell’attentato, per un incontro destinato a un elargizione da parte dell’organizzazione Croce Nera Anarchica. Ovviamente Pinelli, schiantatosi da 4 piani di altezza, non potrà confermare questo alibi.
Ma a partire da questo le indagini su Nino si interrompono. Eppure un ex militare con frequentazioni neofasciste potrebbe in effetti offrire qualche spunto interessante.
Ma non solo: un’ altra incidenza curiosa è lo zelo con cui gli artificieri del genio hanno eliminato l’unico ordigno inesploso, che con confronti e approfondimenti avrebbe potuto portare a risultati interessanti.
Andrebbe poi spiegata la presenza nell’ arsenale della villa di Marchin fornito da Ventura di 4 mitra Franchi FL.57 “San Luigi”, in uso nell’ esercito italiano, con consistente munizionamento NATO.
La partecipazione del SID alla pianificazione dell’ attentato non venne mai confermata, e la fuga in Spagna di Pozzan appare difficile da spiegare; cosiccome il simulare il suicidio di Giuseppe Pinelli, che altro non rappresenterebbe se non la vera e propria costruzione  di una confessione di colpevolezza.
Ancora oggi molti punti di quella Strage sono oscuri, e gli avvenimenti degli anni di piombo legati alla Strategia della Tensione e alla GLADIO forse non raggiungeranno mai la nitidezza completa.
Mentre al di là della cortina di ferro le rivolte venivano tenute sotto controllo con i carri armati, nel “mondo libero” lo stato seminava il terrore, la Tensione, perché nulla cambiasse, perché il potere e i partiti della sicurezza potessero continuare a trionfare, attraverso l’uso ben pianificato di burattini attinti dalla destra extraparlamentare, e con l’indotto supporto di chi dall’ altro lato avrebbe a sua volta seminato il terrore.
A distanza di anni ancora la pista più nascosta eppure più calda è quella della Strage di Stato con mano Fascista.
Perché la miglior scusa per una legge repressiva è il terrore, e il miglior modo per far avvicinare la gente alla calda sicurezza della DC era lo stragismo.
Perché se Mao diceva che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, Piazza Fontana ci ha invece insegnato che una strage la si può fare anche senza mettere i gomiti sul tavolo.
“Oggi ho sognato il mio padrone
Ha una riunione confidenziale
Si son levati tutti il cappello
Prima di fare questo macello.”
– Compagno Andrea

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