LA PROGENIE DELLA TERZA VIA

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HAMON VINCE LE PRIMARIE SOCIALISTE
PARIGI –  “Stasera la sinistra rialza la testa”. Benoît Hamon saluta così i militanti radunati alla Mutualité nel quinto arrondissement. E’ lui, 49 anni, il candidato del partito socialista all’Eliseo. Hamon trionfa nelle primarie con il 58% dei voti rispetto al 41% dell’avversario Manuel Valls. L’ex premier è stato battuto con un largo scarto, pagando l’eredità del suo governo e l’impopolarità di François Hollande. Valls ha augurato “buona fortuna” al suo rivale che, con poco fair play, l’ha interrotto mentre stava salutando i suoi sostenitori.
Il candidato prescelto, su cui nessuno o quasi avrebbe scommesso fino a qualche settimana fa, è il simbolo di una svolta verso la base più radicale della sinistra. Il suo programma è stato definito dall’avversario “utopico”: orario di lavoro a 32 ore settimanali, reddito universale per tutti i cittadini pagato dallo Stato, nuova tassa sui robot per le imprese. Il “Sanders alla francese” rappresenta un ritorno al “socialismo rivoluzionario” di altri tempi dopo cinque anni di esercizio di governo che hanno profondamente spaccato la gauche. “Dobbiamo immaginare risposte nuove, riflettere sul mondo per com’è e non per com’era” ha spiegato Hamon nel discorso di vittoria, con la mano sul cuore, il gesto diventato il suo marchio di fabbrica e lo slogan della sua campagna (“Far battere il cuore della Francia”).
“Vogliamo vincere” ha promesso ancora Hamon, nonostante i sondaggi siano per lui poco favorevoli. Il candidato del Ps deve affrontare una forte concorrenza sull’estrema sinistra: sia il gauchiste Jean-Luc Mélenchon che il verde Yannick Jadot. E’ a questi concorrenti diretti che ha lanciato un primo appello per aprire un “dialogo”, con la speranza che almeno uno dei due faccia desistenza. I sondaggi prevedono infatti finora l’eliminazione sicura di Hamon al primo turno delle presidenziali del 23 aprile.
Il nuovo candidato non ha invece detto una parola su Emmanuel Macron, altro avversario che mette a repentaglio le chances del socialista. Il candidato centrista è il grande vincitore politico di queste primarie, alle quali non ha mai voluto partecipare. Adesso può sperare di ottenere il voto degli elettori di sinistra più moderati, delusi dalla sconfitta di Valls.
L’uscita di scena dell’ex premier potrebbe provocare una fuoriuscita di voti e persino di dirigenti dal Ps verso il movimento “En Marche” di Macron, anche se è ancora presto per calcolare i rapporti di forza tra i nuovi equilibri; tanto vale dire che queste “strane primarie” della sinistra sono del tutto alienate dalla realtà della totale sinistra radicale francese e dal loro candidato, Melenchon.
LA TRIPARTIZIONE ITALIA-FRANCIA-INGHILTERRA: UN TRIPLICE FALLIMENTO
La sconfitta di Valls e, indirettamente, del candidato più caro all’attuale presidente Hollande scaturisce un ventaglio di possibili cause per lo più esogene (come la politica internazionale di Hollande non proprio accettate dai francesi oppure come la serie di attentati a Parigi che hanno tramortito fortemente le istituzioni, non pronte ad un attacco al cuore del’Ilè-de-France), ma secondarie rispetto all’azione politica diretta della presidenza Hollande, dalla El Khomri all’attuale iniziativa di replicare una legge 107 (Buona Scuola ndr) alla francese: la domanda è una sola, il messaggio dato dagli elettori del centro sinistra ha firmato la definitiva condanna a morte dell’epopea europea della terza via? Come delineare un quadro tanto fallimentare quanto impopolare del blairismo ancor radicato in Europa e portato negli ultimi anni di nuovo in auge da Renzi ed Hollande in primis?
La storia della sinistra partitica di massa francese negli ultimi 100 anni è stata storia della NON-sinistra, filiazione della mancata rivoluzione del 1936, quando  l’invito di formare un fronte amtifascista comune dalle colonne del Pravda portò il partito socialdemocratico SFIO di Thorez  a proporre una coalizione nel nome del “Fronte Popolare” con il SFIC (il secondo partito per bacino elettorale caratterizzato dalla fedeltà ai principi marxisti leninisti, i cui componenti scomodi alla stalinizzazione del partito erano stati già metaforicamente “epurati” pur essendo ben voluta l’alleanza con coloro che chiamavano “socialtraditori”),con i Radicali (testimoni del massimalismo classico nel Parlamento francese) e i sindacati tanto che questo gran partito divenne il primo in Francia facendo aspettare la classe operaia “qualcosa” ferventemente, qualcosa che arrivò da scioperi nati spontaneamente ,con occupazioni di fabbriche e di aziende agricole, qualcosa, una rivoluzione, che venne bloccata sul nascere dall’esecutivo eletto plenariamente dal FP, Leon Blum, in cambio di riforme e diritti volatili che scomparvero gradualmente in poco più di un anno; da questo fallimento nacque la prima manifestazione del socialismo del terzo campo (a cui il nostro collettivo si rifà direttamente ndr.), il fronte dei “Gauchistes”. Nel dopoguerra la medesima pletora ambo-revisionista venne messa sotto l’egida dell’esecutivo Gouin sino al 1958 e alla fine della IV Repubblica introducendo il lungo periodo gollista e la fine della sinistra radicale parlamentare con la sua disgregazione nel 58. Insensibili ai moti della sinistra extraparlamentare sessantottina si dovette aspettare il 71′ per la completa restaurazione di Mitterrand per iniziare un percorso al liberalismo sociale iniziato nell’84 con l’esclusione dei gruppi più radicali dall’esecutivo e culminato con il profondo rinnovamento interno del PS dove prevalerono le istanze liberali, terzoviiste, tendenze che, assieme all’indecenza di Sarkozy, portarono alla vittoria di Hollande, per poi ritornare sui propri passi, guardando con uno strano atteggiamento endemico del “laudator temporis acti” a tempi passati, esaminando al contempo lo sfacelo della linea della terza via, preferendo il programma “utopico” di Hamon (comprendente reddito di cittadinanza) al programma “utopico” di Valls. Dalle politiche sul lavoro antitetiche allo spirito popolare del galletto francese alle politiche estere matrici di malcontento diffuso ed all’ambizione di seguire le orme di due individui, Renzi e Blair, la quale fine politica vicina o lontana è stata eclatante: se si può definir il tutto con una similitudine, come il Partito Labourista inglese venne riformato da Corbyn dal sostrato blariano, tanto da farlo sembrare di fronte ai media internazionale un “Eugene Debs” all’inglese, edulcolorato dal bacino elettorale più fedele stanco di una politica conservatrice con parvenze d’istanze sociali di sinistra (la spesa finalizzata all’attuazione delle politiche welfaristiche non aumentò nell’esecutivo Blair), giustificato dalla nuova matrice “pragmatica” e non “ideologica” del movimento, seguendo l’esempio di Keating e Clinton. Ed ora l’Italia è l’ultima di questa lunga lista di fallimenti, con riforme orientate al work-to-progress dimostratesi inefficaci, oltre ad portare (come nel caso dell’estensione dei voucher nel Jobs Act, contraddizione radicata nella legge Fornero ed ampliata dal governo Renzi) contraddizioni di norme legislative passate.

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