Kirkuk e la guerra petrolifera curdo-irachena

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Sono in corso i combattimenti tra i Peshmerga curdi, ossia le truppe del governo di Hewlêr (Erbil), e l’esercito regolare iracheno a nord di Kirkuk, il principale centro petrolifero dell’intera Mesopotamia, i cui 100.000 curdi delle zone occupate dalle truppe federali, fuggiti ad Hewlêr e nelle città più interne dello stato, temettero delle ritorsioni da parte dell’esercito iracheno e le loro alleate milizie sciite supportate dall’Iran. Il governatore di Hewlêr, Nawzad Hadi, infatti ha asserito che 18.000 famiglie hanno lasciato la zona di Kirkuk per rifugiarsi proprio in zone più specificatamente curde, seguendo la ritirata dei Peshmerga. La mattina del 20 ottobre, difatti, le milizie Hashd al-Shaabi filoiraniane lanciarono un attacco su vasta scala contro le forze curde a nord di Kirkuk, usando, secondo il comando dei Peshmerga, armi americane fornite all’esercito iracheno e con la partecipazione dell’artiglieria iraniana. L’attacco è comunque stato sconfitto e parecchi veicoli civili riconvertiti sono stati distrutti, palesando l’intenzione che il governo iracheno finisca di occupare l’intera provincia di Kirkuk, il cui governatore si era schierato a favore di Barzani col referendum del 25 settembre.

L’esercito iracheno intende così isolare il Kurdistan a livello economico, privandolo dell’importante area petrolifera di Baba Gurgur a cui si devono i tre quarti dell’estrazione petrolifera curda, dunque isolandolo nei confronti dell’alleato americano, interessato specialmente a ciò. Senza Baba Gurgur le casse del Kurdistan del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), retto dal presidente de facto Barzani, saranno presto vuote, ma la reazione è stata confusa, dapprima invocando un «riposizionamento» dei Peshmerga, e in seguito condannando apertamente i patteggiamenti dei Peshmerga del partito all’opposizione, l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), col primo ministro iracheno al-Abadi e le Guardie della Rivoluzione iraniane, i celebri pasdaran. Lo stesso PUK dichiara infatti di aver trattato la città di Kirkuk rispetto alla propria roccaforte, Silêmanî, al confine con la Repubblica Islamica Persiana, a cui il generale dei pasdaran era stato convocato in un vertice congiunto tra Iran, Iraq e PUK.

Le rapidissime mosse militari delle truppe fedeli a Baghdad, oltre ad essere il frutto delle divisioni interne tra i curdi, iniziate circa una settimana fa con colpi di mortaio e artiglieria sulle truppe curde, sono per la televisione curdo-irachena Rudaw un tentativo di muoversi in indirizzo della capitale Hewlêr, così da porre un epilogo ad un’autonomia, e ora indipendenza, del Kurdistan mai ben digerita da parte delle autorità irachene. L’occupazione di Altun Kopri, una città a circa cinquanta chilometri a nord di Kirkuk avvicinandosi alla capitale amministrativa curda, viene rivendicata però dall’esercito arabo col fatto che, nonostante sia a maggioranza curda e sia stata liberata nel 2014 proprio dai Peshmerga ritiratisi per la difesa degli “organi vitali” dello stato curdo, essa si trovi al di fuori della conclamata Regione autonoma del Kurdistan iracheno, e pertanto spetterebbe alla Repubblica d’Iraq.

Barzani aveva direttamente proferito contro Al-Abadi, le milizie sciite, l’Iran, per il colpo di mano, un veemente discorso contro la «dichiarazione di guerra al Kurdistan», promettendo che i responsabili avrebbero «pagato un prezzo molto alto», tra cui, di conseguenza al patto di Silêmanî, i dirigenti del partito PUK, rivali di Barzani, «complici del tradimento nei confronti del popolo curdo».

Durante la battaglia di Kirkuk emergeva evidente come i Peshmerga fedeli al PUK, forte soprattutto nella parte orientale del Kurdistan, d’accordo con Al-Abadi, avessero disertato i check-point e lasciata la libera avanzata dell’esercito iracheno, tanto che dall’alba, quando iniziarono i combattimenti, al primo pomeriggio persino il centro e il palazzo del governatore erano stati espugnati. Il tramonto del sole curdo in tricolore, ammainato in vece di un imperioso iracheno «Allah è il più grande».

—Compagno Emanuele

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