Da qualche anno passa, per i media italiani, l’idea della “riscossa dell’Albania” come afferma mentendo Saviano, una falsa informazione aumentata dopo la rielezione di Edi Rama alla presidenza del paese d’Epiro.
Un articolo al riguardo de L’Espresso presenta la nuova borghesia albanese, quella arricchitasi esageratamente negli ultimi anni, come una caratteristica comune dell’intero popolo albanese, ignorando totalmente le condizioni dei lavoratori sui quali questa ricchezza nasce: il proletariato albanese ha, in media, uno stipendio di 25.000 lekë, pari a meno di 190€, per 10 ore giornaliere e 6 giorni di lavoro alla settimana, con ferie de facto annullate con le nuove riforme per allinearsi alle richieste europee, come altri diritti basilari dei lavoratori, apogeo affermato dal primo ministro Rama in una dichiarazione alla stampa italiana: «investite da noi, poche tasse e nessun sindacato».
Il lavoro in nero è inoltre la prima fonte di reddito per moltissimi cittadini albanesi, e chi non ha un orto dove poter coltivare in modo autosufficiente il cibo, è costretto a fare ore di straordinari per arrivare a fine mese, con bollette dell’acqua e dell’elettricità dai valori uguali all’Italia, ed il costo della vita è inferiore a quello italiano in modo minore rispetto alla differenza di salario. Lo sfruttamento salariato si fa sentire in modo quasi esasperante quanto la disoccupazione, ufficialmente al 18,3%, e la falsa crescita economica del 2% sulle spalle dello sfruttamento becero provocano, oggi come nel 1991, una forte emigrazione, difatti quasi 50.000 persone nel 2014 hanno lasciato il paese, di cui il 36% ha chiesto asilo nell’Unione Europea. La povertà crescente, la disoccupazione, la corruzione, l’ingiustizia sociale, il clientelismo, non sono stati affrontati dal governo ma solamente nascosti con un’efficace maschera televisiva.
Una maschera che coinvolge anche il potere della mafia albanese, descritta, quelle rare volte, come “potere occulto della burocrazia socialista“, e della sua collusione inevitabile con lo Stato post-hoxhaista: sono avvenuti nel periodo 2013-2015 oltre 170 attentati dinamitardi di mano mafiosa, e la giustizia è stata zittita col decreto approvato nel dicembre del 2016 che sottopone la magistratura al Governo albanese, un decreto che ha fatto sorgere diverse polemiche taciute ad Ovest, che ora vengono paventate come scoop per la virata autoritaria della Polonia, dove se ne vuole approvare una copia. La stessa scarna opposizione, infatti, viene sempre più isolata dal potere del Partito al governo, socialista per modo di dire, esemplare l’affermazione dell’intellettuale Fatos Lubonja: «La politica albanese cerca di manipolare i cittadini attraverso i media internazionali sfruttando le debolezze di persone che per stare meglio hanno bisogno di autocompiacersi».
Intanto, per mettere fretta a Bruxelles, sono rispolverate dal premier plenipotenziario le antiche mire della Grande Albania, lo stato fantoccio fascista alle dipendenze dell’Italia, specie toccando tasti nazionalisti col Kosovo, nonostante una reciproca ostilità tra le due popolazioni illirofone. Un sogno nazionalista, di una “piccola unione” in attesa di far parte di quella grande e tedesca, che riscuote anche le critiche della Serbia, accusando di diverso trattamento le due nazioni, perché se Belgrado dichiarasse di voler riunificarsi con la Republika Srpska, susciterebbe la reazione della comunità internazionale.
Parlare di miracolo in un clima perenne di insicurezza, di attentati, di disoccupazione, di miseria, vuol dire non vivere nella realtà ma in un mondo fantastico utile agli interessi di chi lo propaganda.
— Compagno Emanuele, con la preziosa e gentile collaborazione della compagna Aurora