Catalogna: la Spagna armata contro la democrazia

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La fervente situazione della Catalogna in questi ultimi giorni ha avuto un grande risalto mediatico, specie con l’ intervento armato dello Stato spagnolo nei confronti delle rappresentanze catalane, l’arresto di 14 ministri catalani, e dello stesso referendum del 1° ottobre. Il 20 settembre infatti, la Guardia Civil, ossia le forze dell’ordine spagnole, sono irrotte nella sede del parlamento e del governo catalano, la Generalitat, in una scena che ricorda troppo il golpe nel 1981 del Colonnello neofranchista Tejero a Madrid.

Dal punto di vista legale, il monarca spagnolo, formatosi culturalmente proprio in seno a quell’élite, è il legittimo erede politico del dittatore fascista che oppresse la Spagna con la sua reazione all’elezione vittoriosa del Fronte Popolare nella Seconda Repubblica, ennesima testimonianza del fallimento di ogni socialdemocrazia; e dunque non è da stupirsi l’utilizzo degli stessi metodi repressivi tipici di una dittatura, che de iure non si è mai conclusa, nonostante la promulgazione della Costituzione del 1978. Non è da stupirsi nella risposta armata e violenta della monarchia spagnola sulle pacifiche manifestazioni indipendentiste di un territorio della Corona, e dunque assoggettato al volere di Madrid, sebbene vi abiti un popolo diverso rispetto al castigliano dominante. La Catalogna non è altro per le istituzioni centrali spagnole che un territorio da tassare e da colonizzare, proprio a causa del suo dinamismo economico, perché Madrid non concede il federalismo fiscale alla Comunità autonoma catalana, cosa che invece ha fatto coi Paesi Baschi e la Navarra: una situazione che ricorda il conflitto tra Serbi e Croati nella fu Jugoslavia, ossia il cuore politico che si scontra il cuore industriale dello Stato. È da dire che nel caso balcanico le differenze tra i due popoli erano pressoché limitate all’alfabeto, e che nella Jugoslavia vigeva un maggiore multiculturalismo e rispetto delle varie etnie del Paese, cosa che in Spagna non si ha: la Castiglia domina linguisticamente e soprattutto politicamente tutte le nazioni minoritarie e specifiche della Penisola Iberica, tentando addirittura di assorbirle.

La risposta che i catalani potrebbero dare alla reazione armata del Governo spagnolo alla loro consultazione è una e univoca: imbracciare le armi contro coloro che le hanno già puntate a Barcellona, e non sono solo gli oscuri organi di Madrid, ma l’intera élite europea e occidentale: l’Unione Europea si pronuncia contro la decisione di votare del popolo catalano, gli Stati Uniti cercano di far passare la lotta per l’indipendenza come un capriccio da non accontentare, l’Onu si appella sia all’anticostituzionalità spagnola che all’illeggittimità di eventuali ricorsi all’autodeterminazione dei popoli, come se bastasse la venerazione ad un pezzo di carta per frenare la volontà di autodefinizione sul piano internazionale. E c’è anche la paura di ripercussioni della situazione spagnola su altri Stati, la Francia coi Bretoni, il Regno Unito con la Scozia e l’Irlanda settentrionale, l’Italia, meno realisticamente, col Veneto e la Lombardia, e di una possibilità di dissoluzione centrifuga della Spagna stessa, esorcizzata con l’accusa di mancato peso internazionale se ciò accadesse.

Rivoluzione dunque, l’unica via per la libertà, specie ora che la polizia catalana è stata riassegnata al controllo di Madrid, promuovendo l’insurrezione popolare.

Compagno Emanuele

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