In occasione dell’8 marzo proponiamo un’analisi del testo Potere femminile e sovversione sociale di Mariarosa Dalla Costa, un classico del pensiero femminista declinato all’interno dell’operaismo. Il suo lavoro si concentra sul ruolo della donna all’interno del sistema capitalistico, con particolare attenzione alla figura della casalinga. Si parte dall’assunto che tutte le donne, indipendentemente dal fatto che lavorino fuori casa o meno, siano di fatto casalinghe poiché il lavoro domestico definisce la loro posizione sociale e relazionale in ogni contesto. Questo lavoro, misurato in termini di ore impiegate, di natura delle mansioni e anche in relazione alla qualità della vita e delle relazioni che genera, è universale e trasversale alle classi sociali. Dalla Costa sceglie di focalizzarsi principalmente sulla donna della classe lavoratrice, ritenendo che la sua posizione sia determinante per comprendere lo sfruttamento di tutte le donne. La casalinga della classe operaia, infatti, è vista come una figura indispensabile per la produzione capitalista poiché il suo lavoro di riproduzione della forza lavoro è fondamentale per il mantenimento del sistema. Per comprendere come il capitalismo abbia plasmato il ruolo della casalinga è necessario esaminare come esso abbia trasformato la famiglia moderna, distruggendo le forme di comunità e di gruppi familiari preesistenti. Questo processo, sebbene avanzato nei paesi occidentali come l’Italia, è in corso anche nel Terzo Mondo man mano che il modo di produzione capitalista si espande. La famiglia moderna, così come la conosciamo oggi, non è necessariamente la forma definitiva che essa assumerà sotto il capitalismo. Per analizzare eventuali nuove tendenze, tuttavia, è essenziale comprendere come il capitalismo abbia creato questa struttura familiare e quale sia oggi il ruolo della donna all’interno di essa. L’analisi si estende anche alla donna che lavora fuori casa, sebbene questo aspetto venga solo accennato nel saggio di Dalla Costa. Viene sottolineato il legame tra le due esperienze apparentemente separate della casalinga e della lavoratrice, evidenziando come entrambe siano parte di un unico sistema di sfruttamento. Le lotte quotidiane delle donne dal dopoguerra in poi hanno messo in discussione l’organizzazione sia della fabbrica che della casa. L'”inaffidabilità” delle donne, sia in casa che fuori, è cresciuta rapidamente, sfidando la regimentazione del tempo e dello spazio tipica della fabbrica e della fabbrica sociale, ovvero l’organizzazione della riproduzione della forza lavoro. Questa tendenza, condivisa anche dai giovani lavoratori uomini, si manifesta in un maggiore assenteismo, minore rispetto degli orari e maggiore mobilità lavorativa. Le donne, però, dovendo sempre tenere in considerazione il lavoro domestico, sono ancora più disimpegnate dalla disciplina lavorativa, causando discontinuità nel flusso produttivo e costi più elevati per il capitale. Questa disaffezione è una delle ragioni alla base dei salari discriminatori che compensano ampiamente le perdite del capitale.
All’epoca in cui Dalla Costa scrive, soprattutto nei paesi capitalistici avanzati, sono emersi movimenti femministi di diverse orientamenti che vanno da quelli che vedono il conflitto fondamentale della società come quello tra uomini e donne, a quelli che si concentrano sulla posizione delle donne come manifestazione specifica dello sfruttamento di classe. Sebbene alcune posizioni, come quelle che considerano lo sfruttamento sessuale come la contraddizione sociale di base, possano apparire disorientanti, esse riflettono il grado di frustrazione vissuto da milioni di donne. Alcune di loro, ad esempio, definiscono il proprio lesbismo in questi termini, rifiutando relazioni con uomini che inevitabilmente si trasformano in rapporti di potere. Questo rifiuto costituisce la base per un movimento di lesbiche che afferma la possibilità di relazioni libere dalla lotta di potere sessuale e dall’unità biologica sociale, aprendosi a un potenziale sociale e sessuale più ampio. Per comprendere queste frustrazioni è necessario chiarire cosa, nella natura della famiglia capitalista, abbia scatenato una crisi di tale portata. L’oppressione delle donne, infatti, non è iniziata con il capitalismo ma è con esso che si è intensificato sia lo sfruttamento delle donne in quanto donne, sia la possibilità della loro liberazione. Il capitalismo ha esacerbato le disuguaglianze di genere e allo stesso tempo ha creato le condizioni materiali e sociali per una potenziale emancipazione femminile. La crisi della famiglia e del ruolo tradizionale della donna è quindi un fenomeno complesso, radicato nelle contraddizioni del sistema capitalistico stesso.
Nelle società precapitalistiche patriarcali, la casa e la famiglia erano al centro della produzione agricola e artigianale. Con l’avvento del capitalismo la socializzazione della produzione si è organizzata attorno alla fabbrica, diventata il nuovo centro produttivo. Coloro che lavoravano in fabbrica ricevevano un salario mentre chi ne era escluso no. Donne, bambini e anziani persero il potere relativo che derivava dalla dipendenza della famiglia dal loro lavoro, considerato sociale e necessario. Il capitale, distruggendo la famiglia, la comunità e la produzione nel suo insieme, ha concentrato la produzione sociale di base nella fabbrica e nell’ufficio, separando di fatto l’uomo dalla famiglia e trasformandolo in un lavoratore salariato. Ha inoltre caricato sulle spalle degli uomini il peso della responsabilità finanziaria per donne, bambini, anziani e malati, cioè tutti coloro che non ricevono un salario. Questo ha segnato l’inizio dell’espulsione dalla casa di tutti coloro che non procreavano o non fornivano servizi a chi lavorava per un salario. Dopo gli uomini, i primi a essere esclusi dalla casa furono i bambini, mandati a scuola. La famiglia cessò così di essere non solo il centro produttivo ma anche quello educativo. Nella famiglia patriarcale precapitalista gli uomini erano i capi dispotici grazie ad una rigida divisione del lavoro e ogni membro della comunità dei servi lavorava per la prosperità del signore feudale o la sopravvivenza della comunità. L’intera comunità dei servi era costretta a cooperare in un’unità di non-libertà che coinvolgeva allo stesso modo donne, bambini e uomini. Una cooperazione che il capitalismo ha dovuto spezzare mettendo in crisi sia l’individuo non libero che la democrazia della non-libertà. Il passaggio dalla servitù alla forza lavoro libera separò l’uomo proletario dalla donna proletaria e entrambi dai loro figli. Il patriarca non libero si trasformò nel lavoratore salariato libero. È essenziale sottolineare che questa separazione tra bambini e adulti è fondamentale per comprendere appieno il significato della separazione tra donne e uomini. Solo così si può capire come l’organizzazione della lotta da parte del movimento delle donne, anche quando assume la forma di un rifiuto violento di qualsiasi relazione con gli uomini, possa mirare a superare la separazione basata sulla libertà del lavoro salariato.
Con l’avvento del modo di produzione capitalistico le donne furono relegate in una condizione di isolamento, confinate all’interno della cellula familiare e rese dipendenti in ogni aspetto dagli uomini. Mentre gli uomini, pur nella condizione di “schiavi salariati”, ottenevano una nuova forma di autonomia, alle donne fu negata questa possibilità, mantenendole in uno stadio precapitalistico di dipendenza personale. Questa condizione divenne ancora più brutale poiché il loro isolamento contrastava con la produzione altamente socializzata e su larga scala tipica del capitalismo. L’apparente incapacità delle donne di fare o comprendere certe cose non era innata ma il risultato di una storia di esclusione e marginalizzazione.
L’isolamento delle donne dalla produzione socializzata diretta e il loro confinamento nell’ambito domestico hanno impedito loro di partecipare alla vita sociale al di fuori del vicinato, privandole così di conoscenze ed educazione sociale. In particolare, dice Dalla Costa, la mancanza di esperienza nell’organizzazione e nella pianificazione collettiva di lotte industriali e di massa ha negato alle donne una fonte fondamentale di apprendimento: l’esperienza della rivolta sociale. Questa esperienza è cruciale per comprendere le proprie capacità, il proprio potere e quello della propria classe. L’isolamento delle donne ha quindi contribuito a perpetuare il mito della loro incapacità, nascondendo il ruolo fondamentale che hanno svolto nelle lotte sociali in cui sono state spesso il motore invisibile dei conflitti della classe lavoratrice. Nelle comunità, ad esempio, sono state le donne a organizzare incessantemente scioperi degli affitti e lotte contro l’inflazione. Allo stesso modo, nei conflitti legati alla produzione diretta, il sostegno e l’organizzazione formale e informale delle donne sono stati decisivi. In momenti critici questa rete di donne emerge e si sviluppa, dimostrando talento, energia e forza, nonostante il mito della loro incapacità continui a persistere. Tuttavia, anche quando le donne partecipano alle vittorie delle lotte, raramente ottengono benefici specifici per sé stesse. Le lotte raramente mirano a modificare la struttura di potere all’interno della famiglia o il suo rapporto con la fabbrica. Che si tratti di scioperi o di disoccupazione, il lavoro delle donne non finisce mai, rimanendo invisibile e non riconosciuto. L’avvento del capitalismo è anche coinciso con la distruzione della donna come persona grazie all’immediata e profonda riduzione della sua integrità fisica, un fenomeno senza precedenti nella storia. Prima del capitalismo la sessualità femminile e maschile aveva già subito varie forme di condizionamento e regimi di controllo. Inoltre esistevano metodi efficaci di controllo delle nascite che, inspiegabilmente, sono scomparsi con il tempo. Il capitalismo ha istituito la famiglia nucleare come modello dominante, all’interno della quale la donna è stata subordinata all’uomo. Questa subordinazione deriva dal fatto che la donna, non partecipando direttamente alla produzione sociale, non si presenta in modo autonomo sul mercato del lavoro. Un simile sistema non solo limita le sue possibilità creative e lo sviluppo della sua attività lavorativa ma reprime anche l’espressione della sua autonomia sessuale, psicologica ed emotiva. Mai prima d’ora si era verificata una così profonda riduzione dell’integrità fisica della donna che colpisce ogni aspetto del suo essere, dal cervello all’utero. Partecipare alla produzione collettiva di un treno, un’auto o un aereo è un’esperienza radicalmente diversa dall’usare la stessa scopa nello stesso angolo di cucina, in isolamento, per secoli. Non si tratta, per Dalla Costa, di rivendicare una parità tra uomini e donne nella costruzione di aerei ma di riconoscere che la differenza tra le storie dei due generi determina le diverse forme di lotta e rivela anche ciò che è rimasto invisibile per troppo tempo: le modalità specifiche con cui le donne hanno condotto le loro battaglie nel passato. Allo stesso modo in cui alle donne viene negata la possibilità di sviluppare la propria creatività, viene loro sottratta anche una vita sessuale libera, trasformata in una mera funzione riproduttiva della forza lavoro. Grazie a questa totale riduzione della donna il capitalismo ha costruito il ruolo femminile e ha fatto dell’uomo, in quanto lavoratore salariato e capofamiglia, lo strumento di questa oppressione. L’uomo, in questa dinamica, diventa l’agente specifico di un particolare tipo di sfruttamento: quello della donna. Dalla Costa analizza in modo approfondito le relazioni deteriorate tra uomini e donne, attribuendo gran parte della responsabilità a una frattura sociale imposta dal sistema capitalista e patriarcale che ha subordinato la donna come oggetto o “complemento” dell’uomo. Questa subordinazione ha creato dinamiche di potere che permeano le relazioni tra i generi, rendendole spesso frustranti e prive di autentica intimità. All’interno del movimento femminista questa consapevolezza ha portato allo sviluppo di tendenze che rifiutano non solo la collaborazione con gli uomini nella lotta per l’emancipazione ma anche la stessa idea di relazioni sessuali con loro, viste come intrinsecamente oppressive e dominate da logiche di dominio. Il movimento gay, allora, viene presentato come una risposta significativa a questa situazione, rappresentando un tentativo di separare la sessualità dalle strutture di potere. Dalla Costa però avverte che l’omosessualità stessa è influenzata dal contesto capitalista in cui si sviluppa. La società capitalista, infatti, separa rigidamente i ruoli di genere: le donne sono relegate principalmente alla sfera domestica mentre gli uomini sono inseriti in contesti lavorativi come fabbriche e uffici. Questa separazione fisica ed emotiva tra i generi crea un ambiente che, paradossalmente, favorisce l’omosessualità. Ad esempio, situazioni lavorative in cui un gran numero di donne è supervisionato da pochi uomini o in cui gruppi di donne lavorano per un numero ridotto di professionisti uomini rappresentano già un quadro omosociale, se non omosessuale, di vita. Nonostante il capitalismo promuova l’eterosessualità come norma sociale e quasi come una religione, di fatto la rende difficile da vivere in modo autentico. La separazione fisica ed emotiva tra uomini e donne, imposta dalle strutture economiche e sociali, mina alla base la possibilità di relazioni eterosessuali genuine. L’eterosessualità diventa così una disciplina imposta, una norma da seguire a livello sessuale, economico e sociale, piuttosto che una scelta libera e consapevole.
A questo punto Dalla Costa affronta una critica approfondita alla visione tradizionale del marxismo ortodosso, in particolare quella sostenuta dai partiti marxisti, che ha sempre dato per scontato un approccio riduttivo riguardo al ruolo delle donne nella società. Secondo questa prospettiva le donne che rimangono al di fuori della produzione sociale, intesa come il ciclo produttivo organizzato e retribuito, vengono considerate estranee alla sfera della produzione stessa. Questo punto di vista ha portato a una concezione del ruolo femminile come essenzialmente confinato alla sfera domestica, dove le donne sono viste come figure psicologicamente subalterne, il cui contributo si limita alla fornitura di valori d’uso all’interno della casa, come la cura della famiglia, la gestione della casa e altre attività non retribuite.
Una simile interpretazione trova radici anche nel pensiero di Marx, il quale, osservando le condizioni delle donne lavoratrici nelle fabbriche durante la rivoluzione industriale, concluse che sarebbe stato preferibile per loro rimanere a casa, dove avrebbero potuto condurre una vita moralmente superiore, lontana dallo sfruttamento e dalle dure condizioni del lavoro industriale. Tuttavia Marx non ha mai analizzato in modo chiaro e approfondito la vera natura del ruolo della casalinga, né ha riconosciuto appieno come il lavoro domestico, pur non essendo retribuito, sia parte integrante del sistema produttivo capitalistico. Dalla Costa porta esempi storici per illustrare come il coinvolgimento delle donne nel lavoro fuori casa abbia influenzato la loro condizione sociale e la dinamica di genere. Ad esempio, le donne di Lancashire, che per oltre un secolo hanno lavorato nell’industria del cotone, sono descritte come più libere sessualmente e più supportate dagli uomini nei compiti domestici rispetto alle donne delle zone minerarie dello Yorkshire, dove una percentuale minore di donne lavorava fuori casa e prevaleva una struttura familiare più patriarcale. Questo contrasto evidenzia come l’accesso al lavoro retribuito possa modificare le relazioni di potere all’interno della famiglia e della società. Nonostante alcuni osservatori abbiano riconosciuto lo sfruttamento delle donne nella produzione socializzata, Dalla Costa sottolinea che pochi sono riusciti a comprendere appieno la posizione di sfruttamento delle donne all’interno della casa. Gli uomini, infatti, sono troppo coinvolti nel loro rapporto con le donne per poter analizzare oggettivamente questa dinamica. Per questo motivo solo le donne possono definire se stesse e avanzare nella questione femminile, poiché sono le uniche a vivere direttamente questa condizione di subordinazione e sfruttamento. Qui emerge la centralità del lavoro domestico come attività che, pur non essendo retribuita, non produce solo valori d’uso (beni e servizi direttamente consumati all’interno della famiglia), ma è essenziale per la produzione di plusvalore nel sistema capitalistico. Il lavoro domestico, infatti, riproduce la forza lavoro, mantenendo in condizioni fisiche e psicologiche adeguate i lavoratori (uomini e donne) che partecipano al ciclo produttivo retribuito. Senza questo lavoro di riproduzione sociale, il sistema capitalistico non potrebbe sostenersi. Il ruolo femminile, quindi, non è solo quello di una figura subordinata a livello fisico, psicologico e occupazionale, avendo un posto preciso e vitale nella divisione capitalistica del lavoro. Le donne, attraverso il loro lavoro domestico e di cura, contribuiscono in modo fondamentale al perseguimento della produttività a livello sociale, pur rimanendo invisibili e non riconosciute all’interno del sistema economico. Dalla Costa vuole esaminare più specificamente il ruolo delle donne come fonte di produttività sociale, cioè di plusvalore, partendo dall’ambito familiare. Questo significa riconoscere che il lavoro domestico è un’attività privata e personale dotata di un impatto economico e sociale più ampio.
- La schiavitù non salariata dietro quella salariata
Dalla Costa analizza il ruolo del lavoro domestico delle donne nel sistema capitalistico, sfatando l’idea che questo lavoro sia non produttivo. Al contrario, il lavoro domestico è essenziale per la riproduzione della forza lavoro ma viene privatizzato e scaricato sulle spalle delle donne, senza riconoscimento né retribuzione. Questo sfruttamento è reso possibile dalla struttura familiare tradizionale che assegna alle donne il ruolo di custodi della casa e della famiglia mentre gli uomini sono liberi di essere sfruttati nel mercato del lavoro. Una simile divisione del lavoro non è naturale essendo socialmente costruita per perpetuare il sistema capitalistico. Il lavoro domestico, quindi, non è femminile per natura: una donna non è più portata per lavare, pulire o cucinare rispetto a un uomo. Il capitalismo ha istituzionalizzato questo ruolo, trasformando il lavoro domestico in un’attività non retribuita e invisibile. Questo sistema sfrutta le donne e garantisce che la forza lavoro maschile sia sempre disponibile per essere sfruttata nel mercato del lavoro. Inoltre le donne svolgono un ruolo cruciale nell’assorbire gli shock economici, accogliendo in casa coloro che perdono il lavoro durante le crisi. La famiglia, in questo senso, funziona come un ammortizzatore sociale, prevenendo il caos e il dissenso. Nonostante la centralità del lavoro domestico per il sistema capitalistico, il movimento operaio tradizionale ha spesso trascurato questa questione. I partiti e i sindacati si sono concentrati esclusivamente sul lavoro salariato nelle fabbriche, ignorando il lavoro non retribuito svolto in casa. Questo approccio ha perpetuato la subordinazione delle donne, relegandole a un ruolo secondario e posticipando la loro liberazione a un futuro ipotetico. Ogni fase della lotta di classe ha rafforzato lo sfruttamento delle donne, cementando la loro posizione subordinata all’interno della famiglia e della società. La proposta di pensioni per le casalinghe, ad esempio, è vista come un ulteriore tentativo di istituzionalizzare il ruolo della donna come casalinga, piuttosto che come un passo verso la sua emancipazione. Dalla Costa critica l’idea che la liberazione delle donne possa essere raggiunta semplicemente attraverso l’accesso al lavoro salariato fuori casa. Il lavoro salariato non rappresenta una vera liberazione essendo solo una forma diversa di sfruttamento. La schiavitù alla catena di montaggio non è meno opprimente della schiavitù ai fornelli. La vera liberazione richiede una rottura radicale con il ruolo tradizionale della donna nella famiglia e nella società. Dalla Costa propone una lotta specifica delle donne all’interno della famiglia, una lotta che rifiuta il lavoro domestico come imposto e non retribuito. Questa lotta deve essere socializzata, portata fuori dalle mura domestiche e condivisa con altre donne. La solidarietà tra donne deve diventare una forza di attacco contro il sistema capitalistico che le sfrutta. Le donne devono rifiutare il ruolo di casalinghe e cercare di costruire un’identità al di fuori della casa, partecipando attivamente alle lotte sociali e politiche. Dalla Costa, però, ricorda come la lotta delle donne non è separata dalla lotta di classe, anzi, ne è una parte integrante. Gli interessi delle donne come donne non sono alieni dagli interessi della classe lavoratrice e quindi la liberazione delle donne è essenziale per la liberazione di tutta la classe. Le donne devono intervenire nelle assemblee operaie, nei quartieri e nelle scuole, portando avanti le loro rivendicazioni specifiche e sfidando l’organizzazione sociale del lavoro. Dalla Costa, infine, invita a rifiutare il lavoro domestico come imposto e non retribuito, lottando per una riduzione del tempo dedicato ad esso. La distruzione della famiglia nucleare, così come è stata costruita dal capitalismo, è un passo necessario per una vera liberazione. Questo aggiunge una nuova dimensione alla lotta di classe, una dimensione che riconosce il ruolo centrale delle donne nella riproduzione della forza lavoro e nella lotta contro il capitalismo.
2. La passività
Dalla Costa descrive la donna come una fornitrice invisibile di servizi sociali non retribuiti e come una figura imprigionata in un ruolo complementare e subordinato all’uomo, all’interno della famiglia nucleare. Questa subordinazione è radicata in una visione che nega l’integrità fisica e sessuale della donna, imponendole una sessualità repressa. Prima del matrimonio la donna è costretta all’astinenza sessuale mentre dopo il matrimonio la sua sessualità è ridotta a una funzione riproduttiva, finalizzata esclusivamente alla procreazione. La Chiesa Cattolica, con la sua forte influenza in Italia, ha contribuito a definire la donna come un essere inferiore, plasmando un’immagine di madre eroica e moglie felice, la cui identità sessuale è ridotta a pura sublimazione. La passività della donna all’interno della famiglia è descritta come “produttiva” in due sensi principali. In primo luogo la donna diventa uno sfogo per le oppressioni che l’uomo subisce nel mondo esterno, fungendo da valvola di sicurezza per le tensioni sociali generate dall’organizzazione capitalistica del lavoro. In questo modo la donna sostiene indirettamente il sistema capitalistico, assorbendo le frustrazioni dell’uomo e permettendo a quest’ultimo di esercitare un desiderio di potere che deriva dalla sua posizione subordinata nel lavoro. In secondo luogo la negazione della sua autonomia personale la costringe a sublimare le proprie frustrazioni in una serie di bisogni centrati sulla casa, paralleli al suo perfezionismo compulsivo nel lavoro domestico. Questo meccanismo di sublimazione è visto come un modo per mantenere la donna legata a un ruolo di consumo e di servizio che sostiene il sistema capitalistico attraverso il mantenimento di un equilibrio sociale basato sulla sua subordinazione. Dalla Costa collega la repressione sessuale delle donne alla monotonia e alla banalità del lavoro domestico, suggerendo che la creatività sessuale e quella nel lavoro sono entrambe sacrificate. La passività sessuale imposta alle donne contribuisce a creare una figura di casalinga ossessivamente ordinata mentre la ripetitività del lavoro domestico distrugge la possibilità di una sessualità libera e creativa. L’infanzia delle donne è descritta come una preparazione al martirio, in cui si insegna loro a sacrificare la sessualità e altre forme di creatività in nome di un’immagine idealizzata di purezza e dedizione familiare. Questo sacrificio è radicato in una cultura che deriva la felicità della donna dalla sua capacità di aderire a modelli di comportamento repressivi. Il movimento femminista ha iniziato a smantellare alcuni di questi meccanismi, ad esempio distruggendo il mito dell’orgasmo vaginale e rivendicando l’autonomia sessuale femminile.
Dalla Costa però sottolinea che la liberazione sessuale non può essere separata dalla liberazione dal lavoro alienante. La sessualità sarà sempre limitata se il lavoro che svolgiamo mutila le nostre capacità individuali e se le persone con cui abbiamo relazioni sessuali sono anche loro mutilate dal loro lavoro. La lotta per l’autonomia sessuale è quindi intrinsecamente legata alla lotta per una riorganizzazione radicale del lavoro e della società..
Nonostante i progressi del movimento femminista, le donne continuano a essere attaccate anche da coloro che dovrebbero essere loro alleati nella lotta di classe. Le donne sono accusate di essere responsabili della mancanza di unità della classe operaia, ad esempio perché chiedono una maggiore quota del salario del marito per soddisfare i bisogni della famiglia o perché competono tra di loro per essere più attraenti o avere una casa più ordinata. Queste accuse sono radicate in un’ideologia maschilista che beneficia della subordinazione delle donne, senza riconoscere il ruolo cruciale che esse svolgono nel mantenere gli standard di vita della classe operaia. Gli uomini, che traggono vantaggio dalla posizione subordinata delle donne, le criticano per la loro “arretratezza” senza rendersi conto di quanto la loro stessa posizione di privilegio sia costruita sul lavoro non retribuito e sulla subordinazione delle donne. Dalla Costa esplora anche il ruolo delle donne come consumatrici, sottolineando che il consumo domestico è parte integrante della produzione della forza lavoro. Le donne, escluse dal lavoro socialmente organizzato, cercano di compensare questa mancanza attraverso il consumo che spesso viene giudicato come frivolo. Questo consumo è una forma di difesa degli standard di vita della famiglia e della classe operaia. Le donne, infatti, esercitano pressioni sui mariti per ottenere una maggiore quota del salario, proteggendo così il tenore di vita della famiglia dall’erosione causata dall’inflazione. Se le donne non facessero queste richieste il tenore di vita della famiglia potrebbe diminuire ulteriormente, con le donne stesse a subire le conseguenze più gravi.
Allo stesso modo la rivalità tra donne, spesso criticata, è radicata nella loro dipendenza economica e sociale dagli uomini e nella mancanza di alternative per affermare la propria identità. Le donne sono addestrate fin dalla nascita a essere ossessive e possessive riguardo alla pulizia e all’ordine della casa. Questa ossessione è il risultato della loro subordinazione e della mancanza di autonomia. Gli uomini non possono avere entrambe le cose: non possono continuare a godere del privilegio di avere una serva privata e poi lamentarsi degli effetti di questa privatizzazione. Infine il problema della divisione della classe operaia viene analizzato evidenziando come le donne, escluse dalla produzione socializzata, siano spesso utilizzate come strumenti contro gli scioperi o come supporto passivo nelle lotte sindacali. Questa divisione è un prodotto dell’organizzazione capitalistica che separa il lavoro cooperativo in fabbrica dal lavoro isolato in casa. Le donne, relegate al ruolo di appendici degli uomini nella casa e nella lotta, sono spesso utilizzate come supporto passivo, senza che le loro esigenze specifiche vengano prese in considerazione. Tale divisione è stata storicamente sfruttata per indebolire la classe operaia, ad esempio utilizzando le donne come crumiri durante gli scioperi. Per superarla è necessario che le donne organizzino lotte autonome, trasformando i momenti di conflitto in opportunità per rivendicare i propri diritti e la propria autonomia. La lotta delle donne non deve essere solo un supporto per gli uomini perché deve diventare una lotta autonoma che sfida le strutture di potere esistenti e rivendica una vera uguaglianza.
3. La disciplina
La donna, all’interno della famiglia, assume una duplice funzione: è una figura repressiva e disciplinare, responsabile dell’educazione dei figli e del controllo del marito, e allo stesso tempo vittima di una tirannia domestica che la costringe a conformarsi all’ideale della madre eroica e moglie felice, un ideale che spesso contraddice la sua reale condizione esistenziale. Questa dinamica familiare ha implicazioni sociali e economiche profonde e non può essere ridotta alla sua dimensione privata. La donna educa i figli affinché diventino i lavoratori di domani mentre disciplina il marito perché deve lavorare oggi per garantire il sostentamento della famiglia. Tutto questo lavoro non è retribuito e contribuisce a isolare le donne, separandole le une dalle altre e confinandole in una sorta di bozzolo familiare che le priva di autonomia e le rende complici inconsapevoli del sistema capitalistico. Infatti la figura della casalinga è funzionale al mantenimento del sistema capitalistico poiché garantisce la riproduzione della forza lavoro senza alcun costo per il capitale. Per questo motivo rompere con questo ruolo è essenziale per una vera emancipazione femminile. Le donne devono riconoscersi come parte di una classe sfruttata, la più degradata perché non retribuita, e lottare per affermare la propria individualità al di fuori della logica complementare e subalterna della casalinga. Una delle rivendicazioni centrali di Dalla Costa è il recupero dell’integrità delle funzioni fisiche e creative delle donne, a partire dalla sessualità, che è stata la prima ad essere negata insieme alla creatività produttiva. Il controllo delle nascite e l’aborto sono temi cruciali in questa lotta poiché sono strumenti che permettono alle donne di riappropriarsi del proprio corpo e della propria vita. La lotta delle donne non deve limitarsi a rivendicare l’accesso al lavoro retribuito poiché anche questo è sinonimo di sfruttamento. Le donne che entrano nel mondo del lavoro, infatti, si trovano spesso a fare i lavori più umili e meno pagati, senza ottenere una reale emancipazione. La vera sfida per il movimento femminista è trovare modalità di lotta che liberino le donne dalla gabbia domestica senza cadere in una doppia schiavitù, quella del lavoro domestico e quella del lavoro salariato. La riflessione di Dalla Costa si conclude affermando che la lotta delle donne deve essere una lotta contro la divisione capitalista del lavoro e contro i modelli di emancipazione offerti dal capitalismo che non sono altro che copie sbiadite del ruolo maschile. Le donne devono scoprire le proprie possibilità al di fuori delle logiche del capitale, rifiutando sia l’isolamento domestico che lo sfruttamento nel mondo del lavoro. Solo così potranno costruire una vera alternativa né riformista né funzionale al sistema capitalistico ma rivoluzionaria e liberatoria.