Siamo soliti considerare il Novecento un secolo di feroci distruzioni e di grandi rivoluzioni. Si tratta, naturalmente, di una visione superficiale di un secolo così complesso. Tale concezione, tuttavia, è tanto semplicistica quanto efficace, a tal punto che la applichiamo anche ad altri ambiti di indagine, compreso quello della storia dell’arte. Ci è stata trasmessa scolasticamente l’abitudine a soffermarci più sugli aspetti di rottura con il passato piuttosto che di continuità con esso. I due aspetti, invece, dovrebbero essere considerati uniti in una sintesi: tutto quel che viene prodotto ha in sé la sua possibile antitesi.
Le avanguardie del secolo scorso si sono poste certamente in opposizione contro “il classico”, dunque contro tutto quel che veniva ritenuto immobile, eterno e quindi foriero di un valore estetico-morale assoluto. Alla luce di tale considerazione si spiega la retorica, talvolta eccessiva, che caratterizza i manifesti delle avanguardie (non solo il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti). Eppure, attribuire l’aggettivo “rivoluzionario” ad ogni avanguardia risulta eccessivo e fuorviante: non solo non ci aiuta a cogliere il punto della questione, ma non ci permette di individuare i punti di continuità con il passato. Vi è, tuttavia, un’avanguardia alla quale ben si può affibbiare l’attributo di “rivoluzionaria”: il Suprematismo.
Il 10 gennaio del 1915 fu inaugurata a Pietrogrado la mostra “0.10”, alla quale presero parte diversi artisti, fra cui il giovane Kazimir Severinovic Malevic. Il pittore, precedentemente legato all’estetica cubo-futurista, presentò la sua opera più celebre: Quadrangolo nero su fondo bianco. Difficile definire la portata rivoluzionaria del dipinto che più di tutti contribuì a scardinare il tradizionale sistema delle immagini.
Tutte le avanguardie, infatti, sono comunque legate al figurativo. Il proposito essenziale del Cubismo è quello di pervenire all’essenza della forma attraverso la sua scomposizione analitica. La forma viene interpretata, tuttavia anche il Cubismo presuppone un rapporto diretto con l’oggettivo. La prima avanguardia che si distaccherà dall’oggettivo è l’Astrattismo di Vasilij Kandinskij, ma sarebbe scorretto definire il Quadrangolo un’opera puramente astratta. L’Astrattismo rappresenta comunque qualcosa, anche se per farlo deve volgere il proprio sguardo dall’esteriore all’interiore. Il Quadrangolo di Malevic, invece, è l’assente, l’inesistente, il Nulla. Utilizzo il verbo “essere” e non “rappresentare”, poiché per definizione non è possibile rappresentare il Nulla. Il Quadrangolo rende esperibile quel che non è esperibile poiché inesistente, dunque non può essere una rappresentazione. Il Nulla non può essere rappresentato; esso si può soltanto manifestare. L’unico modo per manifestare il Nulla è rendere l’opera un’icona. Lo stesso Malevic definì, infatti, il Quadrangolo nero su fondo bianco “l’icona del mio tempo”. Interessante, il tal senso, è notare il punto in cui fu esposto il dipinto nel 1915: fu collocato sospeso in alto nell’angolo fra due pareti, spazio che nella casa russa è destinato all’icona.
Ma cosa si intende per “icona”? Qualcuno potrebbe rispondere che un’icona è la rappresentazione, ad esempio, della Vergine. In tal caso la risposta non sarebbe scorretta, ma sicuramente parziale; inoltre, il termine “rappresentazione” non è il più appropriato per definire l’icona. Nella storia dell’arte sono innumerevoli le rappresentazioni della Vergine, eppure non tutte solo “iconiche”, soltanto dinnanzi ad alcune ci inginocchiamo e preghiamo. Icona è quell’immagine della Vergine che dispone in me un certo atteggiamento religioso, tale che addirittura mi inginocchio per pregarla. Non si tratta più di una semplice rappresentazione, ma di una sostituzione vera e propria della Vergine. Quell’immagine diviene presenza: mi inginocchio e prego quell’immagine come se fosse realmente la Vergine. L’icona è epifania del trascendente.
Il Quadrangolo nero su fondo bianco è quindi manifestazione epifanica del Nulla. Non dobbiamo però immaginare che l’opera di Malevic evochi nichilisticamente il Nulla. Nel Nulla vi è soprattutto l’infinita possibilità. Il Nulla è il principio dal quale può nascere potenzialmente ogni cosa, ed è dal ripristino della “condizione zero” dell’arte che può scaturire il Tutto. Nulla e Tutto sono due elementi antitetici perfettamente compenetrati. Il Tutto è il Nulla e il Nulla è Tutto. Essi sono alfa e omega, principio e conclusione dell’arte.
-Compagna Elisa