25 Aprile 2016.
Mi alzo presto.
Oggi non è un lunedì qualsiasi: oggi è la festa della Liberazione dal nazifascismo, non una di quelle feste di cui non frega niente a nessuno, il cui momento clou è la portata del primo o del secondo.
Oggi è la festa attiva per eccellenza per il mondo antifascista e libertario.
Il corteo parte dal Colosseo, prosegue verso il circo massimo, poi si ferma a Porta San Paolo, davanti alla Piramide Cestia ed al cimitero acattolico, dove riposa un’eccellente vittima del fascismo: Antonio Gramsci. Qui, insieme ai compagni dell’A.N.P.I. ascoltiamo le parole della madre di Renato Biagietti ed altre testimonianze di diversi compagni, più o meno giovani.
Il corteo continua verso Testaccio, perchè la resistenza non è mai finita e continua anche in altri paesi, come in Palestina, in Egitto ed in Kurdistan. Tra bandiere curde, palestinesi, anarchiche e comuniste, ci avviciniamo al centro culturale curdo Ararat, dove termina la manifestazione.
Sembra essere in fin dei conti un 25 aprile come tanti, anche se sempre speciale a suo modo e invece…
Tornato a casa mi rendo conto che una parte dell’opinione pubblica non ha evidentemente recepito il messaggio e lo scopo che questo giorno dovrebbe avere. Secondo questi fenomeni di storia e di politica, il 25/4 dovrebbe essere solo e soltanto una commemorazione di qualcosa prettamente italiano.
“La storia insegna ma ha pessimi alunni” diceva Gramsci, eccone la dimostrazione. Quegli anni, quelle battaglie, quegli orrori dovrebbero insegnarci ad abbattere confini, barriere, pregiudizi, a non giudicare un essere umano in base alla razza, ma in base alla mentalità ed all’ideologia.
Questi esseri stanno cercando di trasformare il 25 aprile in una specie di commemorazione di orgoglio nazionale, che sembra avere più connotati fascisti che antifascisti.
Rispetto e solidarietà per la Palestina, per i Curdi e per tutti coloro che sono oppressi e che lo saranno, come lo siamo stati noi.
«Nessun individuo può riconoscere la sua propria umanità né per conseguenza realizzarla nella sua vita, se non riconoscendola negli altri e cooperando alla sua realizzazione per gli altri. Nessun uomo può emanciparsi altrimenti che emancipando con lui tutti gli uomini che lo circondano. La mia libertà è la libertà di tutti, poiché io non sono realmente libero, libero non solo nell’idea ma nel fatto, se non quando la mia libertà e il mio diritto trovano la loro conferma e la loro sanzione nella libertà e nel diritto di tutti gli uomini miei uguali».
«M’importa molto ciò che sono tutti gli altri uomini, perché, per quanto indipendente io sembri o mi creda per la mia posizione sociale, fossi pure Papa, Czar, Imperatore o anche primo ministro, io sono incessantemente il prodotto di ciò che sono gli ultimi tra loro: se essi sono ignoranti, miserabili, schiavi, la mia esistenza è determinata dalla loro schiavitù. Io, uomo illuminato od intelligente, per esempio, sono – se è il caso – stupido per la loro stupidaggine; io coraggioso sono schiavo per la loro schiavitù; io ricco tremo dinanzi alla loro miseria; io privilegiato impallidisco innanzi alla loro giustizia. Io che voglio esser libero, non lo posso, perché intorno a me tutti gli uomini non vogliono ancora esser liberi, e non volendolo, divengono contro di me degli strumenti di oppressione» -Bakunin
Compagno Alessandro