Il 4 Novembre, a Firenze, era in preparazione qualcosa.
Le aule dei collettivi pregne dell’odore di bombolette acriliche che colorano striscioni, mani di ragazzi e studenti che preparano cartelli e voci che intonano slogan, che cantano, che ridono.
Le aule dei collettivi pregne dell’odore di bombolette acriliche che colorano striscioni, mani di ragazzi e studenti che preparano cartelli e voci che intonano slogan, che cantano, che ridono.
Una situazione non diversa da quella di tanti cortei a cui abbiamo partecipato, a cui abbiamo assistito, a cui assisteremo.
Ma qualcosa cambia. Cambia quando un compagno entra affannato nella sala e dice: “il corteo non si fa più”. Dall’altra parte di un telefono, negli uffici della questura di Firenze, il funzionario di servizio si rimette comodo sulla sedia. Il corteo, annunciato due settimane prima e autorizzato dagli uffici del pubblico ministero, è stato ora arbitrariamente proibito.
La Leopolda, la Show Room del Primo Ministro Matteo Renzi non sarà in alcun modo disturbata dalla volontà dei contestatori di esprimere la loro opinione.
Il 5 Novembre le strade si riempiono, contro le riforme e contro la riunione che la classe dirigente ha indetto per quel giorno. Ovviamente i corpi della Celere escono dalle caserme, pochi minuti dopo gli anfibi battono l’asfalto scendendo dai blindati. Qualcosa però non è chiaro. Il corteo è già abbondantemente formato, visibilmente battagliero. Ma nessun cordone gli sbarra apertamente la strada. Alla questura, precedentemente al divieto di manifestare, era stato infatti strappato il permesso di mantenere un presidio fisso in Piazza San Marco, ma le intenzioni hanno ben poco a che fare con il piegarsi alla prepotente volontà del governo in carica. Un migliaio sono i compagni che si muovono, sfidando il divieto della questura di sfilare per le strade.
La prima carica si abbatte immediatamente sul corteo in movimento, dal fronte della celere arrivno due sanpietrini sui manifestanti. Comincia un primo scontro, un compagno viene catturato, lo portano in questura. Poi i caschi blu aprono la strada verso Via Cavour. Piazza Beccaria viene presa dai manifestanti, viene organizzato un comizio improvvisato, si chiama Matteo Renzi a rispondere delle sue azioni davanti a questa piazza. Ma in Via Cavour non ci sono santi. Una volta intrapresa la strada le uscite laterali vengono bloccate a consistenti cordoni di celerini con caschi e scudi, un massiccio cordone si forma in fronte al corteo. A questo punto a dietro i poliziotti si sollevano le strisce bianche dei candelotti, che piovono a pioggia sulla folla. Subito dopo arrivano anche i celerini, e sorprendono a manganellate i manifestani storditi dal fittissimo lancio di lacrimogeni. Diversi autonomi rispondono, dalle mani si staccano le prime sassate e le prime bombe carta, si sentono gli schianti dietro gli scudi, e le fumate azzurre delle esplosioni. Dalle strade e dal retro della via la Polizia comincia a stringere la rete: Via Cavour è una gigantesca tonnara di uomini. Arriva una seconda scarica di lacrimogeni, tirati al limite delle norme di sicurezza, con diversi testimoni che dicono di aver visto i candelotti seguire una traiettoria tesissima, quasi ad’altezza d’uomo. Nella disperazione della sacca viene divelta una transenna, viene lanciata su uno dei cordoni laterali. Intanto in fondo alla via, nel macello degli scontri, è stata aperta una breccia, e i manifestanti riescono a mettersi in salvo. Poco dopo, per mezzo di un altoparlante, gli organizzatori sciolgono il corteo.
Una ragazza neppure diciottenne si allontana tossendo, quasi incapace di respirare e con gli occhi gonfi degli aggressivi chimici che l’anno investita in pieno, quando due candelotti si sono schiantati a brevissima distanza da lei. Allo stesso modo si spostano tanti altri manifestanti. Per fortuna un picchetto di compagni si è procurato del Maalox, che a quanto pare riesce a curare anche le ustioni dei lacrimogeni, oltre che alla banale acidità di stomaco. Con gli occhi pesti, la gola ancora in fiamme, la compagna si dirige verso il tramvai stretta nella giacca, sale a bordo. Il veicolo fa il percorso del centro storico, e ferma anche nei pressi della stazione. Alla stazione sale un signorotto, giacca e cravatta, pantaloni stirati su scarpe di pelle. Infatti le scarpe sono la prima cosa che la ragazza riesce a vedere, ricurva su se stessa a testa bassa, pesantemente poggiata sul fianco, in piedi, contro un finestrino. Segue la figura dell’uomo alzando lentamente la testa e lo sguardo, ora lo vee in faccia. Lui la squadra da testa a piedi, vede il fazzoletto rosso ancora annodato al collo, la giacca macchiata di violenza, le sbavature del trucco che segnano il percorso del copioso lacrimare. Fa una smorfia di disprezzo, gli sfugge “zecca”, si gira: al collo la badge della Leopolda.
Chiudiamo il racconto dei fatti di ieri qui. Questa non vuole essere una descrizione storica degli avvenimenti, e non riflette infatti tutti gli scenari che ieri hanno visto la repressione, la chiusura, e l’autoritarismo dello stato. Questa è la trasposizione del racconto che ieri ci è stato pervenuto da quella stessa ragazza con cui si chiude la storia.
Ieri lo stato ha dimostrato la sua vera natura. Una natura feroce, repressiva, mai nuova e mai invecchiata.
Ieri lo stato ha deciso arbitrariamente di fermare una manifestazione che, per garanzia di sindacati e centri sociali, si sarebbe svolta pacificamente.
Ma non era la violenza che preoccupava il Primo Ministro, anzi. Non sono infatti molto lontani i tempi in cui gli sbirri di Alfano aprivano la testa di Gianni “il buono” con una secca manganellata. Quello che lo preoccupava era il gesto. Dopo tutti i suoi sforzi per far apparire forte il fronte del Sì al Referendum, proprio durante la riunione che più lo avrebbe sostenuto avrebbe avuto luogo un corteo antagonista. Un colpo di propaganda inaccettabile. E se poi queste “zecche” avessero cominciato a bersagliare con cori e denigrazioni anche lui, nel suo stesso terriotorio? No, no, decisamente inaccettabile. Un telefono squilla in questura, e addio rischi, addio contestatori, addio democrazia.
Poi il corteo si è svolto. E mentre in Via Cavour gli studenti sputavano sangue, Renzi nella vecchia stazione mandava baci in direzione delle sue riforme antidemocratiche.
Il sindaco della città, Dario Nardella è giunto trafelato alla Leopolda, dove ha rassicurato il Premier sul ristabilimento della situazione, e ha parlato sul palco:“purtroppo sono rimasto a palazzo Vecchio per monitorare la manifestazione promossa da anarchici[…]Protestare è un diritto, sfasciare una città è ignobile”. Davvero, Signor Nardella? Sul serio esserci lasciati chiudere come topi in una via abitata è stato un gesto ignobile? Respirare dentro metri e metri cubi di aggressivi chimici nebulizzati è stato ignobile? È stato ignobile subire le manganellate, la repressione, la censura di uno stato indegno e traditore?
L’Ordine Costituito, ieri, ha dato prova di come ormai non sia più suo dovere difendere la libertà dei cittadini di uno stato libero.
Quando il corteo ha preso forma, infatti, era ovvio e obbligato compito della questura spezzarlo, disperderlo, per assicurare la sicurezza della città, dei suoi abitanti e delle loro proprietà.
Ma invece?
Invece ieri l’obbiettivo dei comandi non era garantire la sicurezza: l’obbiettivo era portare alla schedatura quanti più attivisti possibile.
Per questo al corteo è stato concesso di entrare in una via, per questo gli sono state bloccate tutte le vie di fuga, mettendo in serio pericolo l’incolumità dei residenti stessi. Una sacca che comprendesse tutta la zona, nella certezza, tra l’altro, dei danni che una strategia simile avrebbe provocato.
Un vecchio manifesto del PCI, edito durante gli anni di piombo, recitava, più o meno: “uccidono un agente-uccidono la democrazia”, e sopra era posta un’immagine in bianco e nero, una strada con tracciata la sagoma di un cadavere, e vicino alla testa, un copricapo con visiera della PS, rovesciato.
E qui ci siamo. Non sbraitiamo sempre contro le forze dell’ordine, gli uomini morti con Falcone e Borsellino erano degli agenti. Antonio Marino, ammazzato dai fascisti durante il “Giovedì Nero” era un agente.
Quelli di Ieri non erano agenti, erano della stessa risma di quelli che entrarono alla Diaz.
Questo non è accettabile. Agenti di pubblica sicurezza, li chiamano. Allora, perché ogni volta che li vedo sopraggiunge l’ansia, si smette i parlare, e le mani volano subito a controllare se i documenti stanno al loro posto? Perché questi signori non riescono a farmi a trovare a mio agio quando vanno in giro rigidi, mani lungo i fianchi, Beretta da un lato e manganello dall’altro? Dov’è la sicurezza in tutto ciò? Quando aspetti sotto la questura un tuo amico che è stato fermato, e sai che sarà meglio passare prima in farmacia a prendere disinfettante e garze, quando pazientemente gli disinfetti il labbro spaccato, non puoi fare a meno di provare un odio feroce, profondo.
E allora la mente viaggia, il pensiero si plasma in un’automatica luccicante, il tiro teso dalla canna al petto di un poliziotto con la faccia contratta, sorpresa, terrorizzata, e uno, due, tre, dodici colpi che scarrellano uno dietro l’altro e…no, e niente. Che orrore. È orribile che la situazione a cui siamo stati abituati e costretti ci porti a fare di tutta l’erba un fascio…come loro fanno con noi…Per cosa, poi?
Per foraggiare le bocche del potere, che continueranno ad accusare di gesti vandalici ogni giovane che scende in piazza. “Manifestazione promossa da anarchici” ha detto il boia. Fa PAURA, vero, l’idea che anche quella sinistra rampante, tenace, che prima del ’91 era rappresentata dal vostro stesso partito, si stia schierando contro di voi. Fate pure come ai tempi di Piazza fontana, date la colpa agli Anarchici, tanto con voi, si è capito, non cambierà mai nulla, fino al giorno fatale. Sbirri, pestate più forte, tirate fuori le automatiche lucide che tanto vi fremono nella fondina; potenti, continuate a sbraitare, a darci delle bestie, a portare avanti la bandiera della reazione. Ma che gli agenti, non gli sbirri, facciano la scelta giusta, difendano il popolo, e non il potere. Anche loro sono vittime di un sistema a cui non possono sfuggire. Capiamolo, compagni, e lasciamo che sbirri e potenti continuino tutti a dimostrarci la vera natura che li accompagna. Fino al giorno in cui ne avremo abbastanza, tutti. -Compagno Andrea
“Se cambiano i governi,
i tempi restano uguali:
padroni e riformisti
colpiscon proletari”
i tempi restano uguali:
padroni e riformisti
colpiscon proletari”