8 FEBBRAIO, Bologna: dopo l’assemblea delle 13, i collettivi universitari, dopo svariate proteste per l’installazione dei tornelli con badge per l’entrata alla biblioteca, smontano con cacciavite appunto questi tornelli, coprendosi alla vista della Digos (che già da tempo controllava la biblioteca 36 di Via Zamboni) mettendo davanti all’entrata degli striscioni com scritto “lavori straordinari”.
Sono poi stati portati come segno di sfida e della rabbia accumulata per via di ignorate lamentele all’ufficio del rettore i resti rimanenti dei tanto criticati tornelli.
La biblioteca così viene tenuta aperta a chi vuole studiare.
Il giorno seguente però la biblioteca è chiusa: gli attivisti, i collettivi (specialmente Cua e Labàs) ed altri studenti intenzionati a frequentare la biblioteca tolgono le barriere all’entrata sostenendo di essere intenzionati a stare nella biblioteca finché non sarebbero stati cacciati.
Sono poi però intervenute le forze dell’ordine cercando di bloccare il corteo: questo ha reagito tirando san pietrini. Così gli scontri sono cominciati.
La polizia è arrivata davanti alla biblioteca, facendo uscire i meno decisi, ma facendo anche barricare con tavoli e sedie gli altri studenti dentro la struttura. Così le cariche della polizia sono proseguite all’interno, provocando seri danni alla stanza.
Gli scontri sono però continuati in piazza verdi ed anche oggi si sono riproposti.
Ma qual era la critica ai tornelli, quando e in che situazione si sono sviluppati i movimenti?
Bisogna partire dal fatto che “la 36” di via Zamboni è una biblioteca centro culturale non solo dell’Università ma anche della città: non solo gli studenti universitari frequentano quest’ambiente. Perciò bloccare con dei tornelli apribili con il badge universitario è un’azione particolarmente sensibile per questo tipo di luogo. Inoltre i tornelli già risultavano intralcianti alla regolare entrata delle persone, e in periodo di esami ciò è sensibilmente fastidioso per gli interessati. Altro punto è che questi tornelli sono stati messi durante dei lavori che ufficialmente erano di restauro e solo da alcune voci si poteva dedurre la loro installazione nel frattempo.
L’università ha giustificato ciò con l’intenzione di contenere i crimini che avevano luogo nell’edificio e per “ridare vita” alla 36 (ambiente che in realtà è frequentatissimo).
L’installazione dei tornelli è stata però da subito contestata e s’è fatto presente ciò al rettore svariate volte, raccomando ad esempio 600 firme contro questi.
Nonostante ciò le azioni dei collettivi non sono condivise, sono anzi denunciate dalla maggior parte della gente, anche se la critica a volte viene rivolta a chi ha permesso alla polizia di caricare gli studenti nella biblioteca.
Che il motivo per cui il collettivo fosse contro il nuovo sistema e la stessa natura di questo fosse intrisa con il liberalismo e la cultura “no borders” è innegabile e che i collettivi siano stati troppo frettolosi in proporzione alla situazione lo è pure.
Ma questo evento cosa significa e soprattutto, può essere un’opportunità?
L’ambiente universitario era già scosso da proteste per i prezzi della mensa e l’ambiente ostile già era presente da molto, inoltre poco prima degli scontri un contestatore non violento era stato privato della possibilità di prendere in prestito libri dalla biblioteca universitaria con ragioni poco chiare e giustificabili.
Questo evento potrebbe passare inosservato e considerato come uno degli ennesimi scontri tra forze dell’ordine e collettivi sregolati.
Che l’operato dei collettivi sia tendente all’illogico e spesso dannoso estremismo è verissimo, ma non gli si può solo dar torto: questi movimenti che hanno alto potenziale di coinvolgimento nelle proteste hanno la pecca di isolarsi e comunicare con istituzioni e soprattutto coetanei in modo rigido e passivo, comportandosi in modo ostile com chi non sia completamente allineato con loro. Così facendo rimangono sempre più nelle loro idee, avendo un’area d’azione ideologica e pratica ben limitata ad una determinata visione impulsiva.
Ma dall’altro canto la passione delle istituzioni nel sedare qualsiasi rivolta non facilmente dileguabile è ben visibile.
Spesso i grandi moti sono innescati da piccole e magari non completamente condivisibili ribellioni, per questo dobbiamo guardare a questi avvenimenti in modo costruttivo: se qualcuno è saggio potrebbe seguire il solco del movimento studentesco proiettato su una grande risonanza mediatica con un nuovo impeto e instillare istanze più alte. Come si è visto nel 68 parigino, in cui uno dei fatti provocatori fu una particolare domanda di uno studente al ministro dell’istruzione sul perché tutto ciò che riguarda l’affettività venisse deviato dai programmi universitari e scolastici (proprio quando si stavano pubblicando i primi scritti sulla liberazione sessuale…Eros e Civiltà di Marcuse, Il Rapporto Kinsley, La Teoria Orgonica di Reich per esempio), fatto che portò istanze più alte estese sia agli studenti che ai lavoratori.
Una speranza riguardo la protesta dei collettivi Bolognesi è che abbiano una tale risonanza da “deviare” le realtà messe in discussione all’intero ambito scolastico secondario e terziario (marzo è vicino e ci sono sempre quelle legge delega alla buona scuola che devono essere approvate entro il 13 per esempio) e, perché no, ai lavoratori (garanzia giovani, anpal, voucher, contratti a tutele crescenti)
Ma agire di conseguenza:
S’ha da avere una buona comunicazione tra enti autonomi e interessati, e soprattutto si deve unire nella coesione ambienti studenteschi e lavorativi nella lotta, soprattutto perché in tempi di crisi le loro sorti s’accomunano.
Quindi dobbiamo sì sviluppare autonomamente le nostre idee e seguirle come fosse un algoritmo, ma allo stesso tempo dobbiamo “provarle nell’ambiente reale”, ovvero esporle elasticamente e utilmente al resto della gente, quella che è veramente in difficoltà e ben poco cura le raffinatezze ideologiche, per far capire e coincidere del perché la società di tipo capitalistico porti inevitabilmente alla crisi e del perché si tratta di un aut aut del tipo “socialismo o barbarie”.
Sono poi stati portati come segno di sfida e della rabbia accumulata per via di ignorate lamentele all’ufficio del rettore i resti rimanenti dei tanto criticati tornelli.
La biblioteca così viene tenuta aperta a chi vuole studiare.
Il giorno seguente però la biblioteca è chiusa: gli attivisti, i collettivi (specialmente Cua e Labàs) ed altri studenti intenzionati a frequentare la biblioteca tolgono le barriere all’entrata sostenendo di essere intenzionati a stare nella biblioteca finché non sarebbero stati cacciati.
Sono poi però intervenute le forze dell’ordine cercando di bloccare il corteo: questo ha reagito tirando san pietrini. Così gli scontri sono cominciati.
La polizia è arrivata davanti alla biblioteca, facendo uscire i meno decisi, ma facendo anche barricare con tavoli e sedie gli altri studenti dentro la struttura. Così le cariche della polizia sono proseguite all’interno, provocando seri danni alla stanza.
Gli scontri sono però continuati in piazza verdi ed anche oggi si sono riproposti.
Ma qual era la critica ai tornelli, quando e in che situazione si sono sviluppati i movimenti?
Bisogna partire dal fatto che “la 36” di via Zamboni è una biblioteca centro culturale non solo dell’Università ma anche della città: non solo gli studenti universitari frequentano quest’ambiente. Perciò bloccare con dei tornelli apribili con il badge universitario è un’azione particolarmente sensibile per questo tipo di luogo. Inoltre i tornelli già risultavano intralcianti alla regolare entrata delle persone, e in periodo di esami ciò è sensibilmente fastidioso per gli interessati. Altro punto è che questi tornelli sono stati messi durante dei lavori che ufficialmente erano di restauro e solo da alcune voci si poteva dedurre la loro installazione nel frattempo.
L’università ha giustificato ciò con l’intenzione di contenere i crimini che avevano luogo nell’edificio e per “ridare vita” alla 36 (ambiente che in realtà è frequentatissimo).
L’installazione dei tornelli è stata però da subito contestata e s’è fatto presente ciò al rettore svariate volte, raccomando ad esempio 600 firme contro questi.
Nonostante ciò le azioni dei collettivi non sono condivise, sono anzi denunciate dalla maggior parte della gente, anche se la critica a volte viene rivolta a chi ha permesso alla polizia di caricare gli studenti nella biblioteca.
Che il motivo per cui il collettivo fosse contro il nuovo sistema e la stessa natura di questo fosse intrisa con il liberalismo e la cultura “no borders” è innegabile e che i collettivi siano stati troppo frettolosi in proporzione alla situazione lo è pure.
Ma questo evento cosa significa e soprattutto, può essere un’opportunità?
L’ambiente universitario era già scosso da proteste per i prezzi della mensa e l’ambiente ostile già era presente da molto, inoltre poco prima degli scontri un contestatore non violento era stato privato della possibilità di prendere in prestito libri dalla biblioteca universitaria con ragioni poco chiare e giustificabili.
Questo evento potrebbe passare inosservato e considerato come uno degli ennesimi scontri tra forze dell’ordine e collettivi sregolati.
Che l’operato dei collettivi sia tendente all’illogico e spesso dannoso estremismo è verissimo, ma non gli si può solo dar torto: questi movimenti che hanno alto potenziale di coinvolgimento nelle proteste hanno la pecca di isolarsi e comunicare con istituzioni e soprattutto coetanei in modo rigido e passivo, comportandosi in modo ostile com chi non sia completamente allineato con loro. Così facendo rimangono sempre più nelle loro idee, avendo un’area d’azione ideologica e pratica ben limitata ad una determinata visione impulsiva.
Ma dall’altro canto la passione delle istituzioni nel sedare qualsiasi rivolta non facilmente dileguabile è ben visibile.
Spesso i grandi moti sono innescati da piccole e magari non completamente condivisibili ribellioni, per questo dobbiamo guardare a questi avvenimenti in modo costruttivo: se qualcuno è saggio potrebbe seguire il solco del movimento studentesco proiettato su una grande risonanza mediatica con un nuovo impeto e instillare istanze più alte. Come si è visto nel 68 parigino, in cui uno dei fatti provocatori fu una particolare domanda di uno studente al ministro dell’istruzione sul perché tutto ciò che riguarda l’affettività venisse deviato dai programmi universitari e scolastici (proprio quando si stavano pubblicando i primi scritti sulla liberazione sessuale…Eros e Civiltà di Marcuse, Il Rapporto Kinsley, La Teoria Orgonica di Reich per esempio), fatto che portò istanze più alte estese sia agli studenti che ai lavoratori.
Una speranza riguardo la protesta dei collettivi Bolognesi è che abbiano una tale risonanza da “deviare” le realtà messe in discussione all’intero ambito scolastico secondario e terziario (marzo è vicino e ci sono sempre quelle legge delega alla buona scuola che devono essere approvate entro il 13 per esempio) e, perché no, ai lavoratori (garanzia giovani, anpal, voucher, contratti a tutele crescenti)
Ma agire di conseguenza:
S’ha da avere una buona comunicazione tra enti autonomi e interessati, e soprattutto si deve unire nella coesione ambienti studenteschi e lavorativi nella lotta, soprattutto perché in tempi di crisi le loro sorti s’accomunano.
Quindi dobbiamo sì sviluppare autonomamente le nostre idee e seguirle come fosse un algoritmo, ma allo stesso tempo dobbiamo “provarle nell’ambiente reale”, ovvero esporle elasticamente e utilmente al resto della gente, quella che è veramente in difficoltà e ben poco cura le raffinatezze ideologiche, per far capire e coincidere del perché la società di tipo capitalistico porti inevitabilmente alla crisi e del perché si tratta di un aut aut del tipo “socialismo o barbarie”.
-Compagni Laura ed Elia
0 Replies to “LA BIBLIOTECA BLINDATA”