I Portoghesi in Brasile

  1. Introduzione.

Il 1° maggio del 1500 Pedro Álvares Cabral prese possesso, in nome del re del Portogallo, di nuove terre a cui diede il nome di «Ilha de Vera Cruz», che possono essere considerate come il nucleo originario di quello che sarà il Brasile. Nel 1501 partì una seconda spedizione da Lisbona, alla quale partecipò anche Amerigo Vespucci, che attraccò a duecento leghe più avanti della precedente; nel 1503 gli uomini della terza spedizione identificarono il Río de la Plata, per poi rientrare in Europa nel 1506. D’altra parte, i sovrani portoghesi erano ben più intenzionati a tornare sulle rotte di sud-est, dal momento che Vera Cruz non offriva le spezie a cui erano interessati e nemmeno l’oro caro agli spagnoli. A un certo punto il moltiplicarsi di navi non portoghesi nelle Americhe fece riaccendere l’interesse della Corona, fu importante anche il contributo di Cristoforo Colombo, che al ritorno dalle Americhe si recò a Lisbona riuscendo a risvegliare le attenzioni del sovrano1.

Nel 1493 Spagna e Portogallo tracciarono i confini del mondo “scoperto”, pur non avendo trovato un reale accordo. Venne richiesto l’intervenrto del Papa, Alessandro VI, che con la bolla Inter Caetera, indirizzata a Ferdinando e Isabella, fissò una linea di confine di 100 leghe a ovest dell’isola di Santo Antão, nell’arcipelago di Capo Verde, sulla costa africana. Il sottotilo della bolla è alquanto esaustivo: Sull’educazione cattolica da impartire ai popoli pagani contattati in occasione delle conquiste. L’impegno dei sovrani iberici doveva essere quello di garantire al Papa il loro incessante lavoro nella salvezza delle anime. Si legge:

“se alcuna di queste isole dovesse essere trovata dai vostri inviati e capitani, questo dà, assicura e

assegna a voi e ai vostri eredi e successori re di Castiglia e León per sempre […] tutte le isole e i continenti

trovati e ancora da trovare, […] tracciando una linea netta dal polo Artico, cioè dal nord, verso il polo

Antartico, cioè verso il sud, senza badare se le suddette isole o continenti siano stati trovati o si

troveranno nella direzione dell’India o verso altre direzioni, la detta linea dovendo essere distante 100

leghe verso ovest e sud delle isole comunemente conosciute come Azzorre e Capo Verde”2.

Ma il sovrano portoghese chiese di estendere la linea di confine a 370 leghe da Capo Verde; gli spagnoli accettarono e l’accordo venne sancito il 7 giugno 1494 con il trattato di Tordesillas. Il mondo al di fuori dell’Europa venne diviso nelle mani di due sole potenze: le terre a est della linea di demarcazione al Portogallo, quelle a ovest alla Spagna, di fatto vietando soprattutto a Francia, Inghilterra e Paesi Bassi l’ingresso nelle nuove terre3.

Nel 1506 papa Giulio II approvò un nuovo trattato, con l’opposizione di inglesi, francesi e olandesi, la cui linea di confine andava a colpire direttamente il Brasile, dal momento che passava per l’attuale città di Belém, poi a sud verso il porto di Cananeia, oppure verso São Francisco do Sul e Santa Catarina, come sostengono altri. Da quel momento i portoghesi diedero il via a una massiccia opera di colonizzazione di nuove terre: fondarono la Colonia del Sacramento, che in quanto città dell’Uruguay sud-occidentale costituì una provocazione per gli spagnoli, tant’è vero che il conflitto tra le parti terminerà solo nel 1750 col Trattato di Madrid. Intanto, dopo che Magellano ebbe compiuto il primo giro intorno al mondo, in cui nel 1521 scoprì le Molucche e ne prese possesso in nome della Spagna, si dovette stabilire se quelle isole si trovassero nell’area di competenza di una dell’altra monarchia: i due sovrani decisero di nominare una commissione formata da matematici, astronomi e navigatori ma non raggiunsero alcun accordo; tuttavia nel 1529 si arrivò alla firma del trattato di Saragozza, con il quale si estesero i confini di Tordesillas del 14944.

Intanto anche in altre parti d’Europa c’erano esploratori pronti a partire per la conquista di nuove terre: il navigatore francese Jean Cousin scoprì la foce del Rio delle Amazzoni nel 1488; Paulmier de Goneville visitò il Brasile nel primo decennio del XVI secolo, anche se i suoi resoconti sono stati messi in dubbio da alcuni storici. L’armatore francese Jean Ango si arricchì molto attraverso il commercio col Brasile sempre nel secolo XVI. Nel 1521 poi, durante il regno di Francesco I di Francia, Giovanni Verrazzano preparò un’importante spedizione per il Brasile, che venne poi cancellata dall’ambasciatore portoghese a Parigi. Francesco I, come gli altri sovrani, non accettò mai la divisione del mondo tra le monarchie iberiche, così insieme al figlio Enrico II e alla moglie Caterina de’ Medici, incoraggiò gli armatori francesi a stanziarsi in Brasile, organizzare commerci con le metropoli, ma anche intraprendere attacchi in stile corsaro contro le navi portoghesi e spagnole di ritorno dall’India e dall’Estremo Oriente, cariche di spezie5.

  1. La colonizzazione del Brasile.

I portoghesi in Brasile plasmarono una società prevalentemente agricola, che si reggeva sulla stabilità della famiglia patriarcale e sulla manodopera assicurata dalla schiavitù. Una società dal forte carattere ibrido: agraria e schiavista, ma non sorretta da una coscienza razziale pura, (come nel caso dell’America spagnola), ma più da un esclusivismo religioso. Il potere era nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche, per lo più proprietarie di zuccherifici, che non sempre erano disposte ad obbedire alla Corona e alla Chiesa6. Seppur l’organizzazione delle colonie e le missioni di evangelizzazione riscontrassero tutta una serie di problemi, non ci volle molto tempo prima che l’Inquisizione portoghese arrivasse a sedimentarsi nelle città e nei territori costieri, in Africa, Asia e America. L’opera di conversione fece sì che i nativi diventassero sudditi della Corona, nell’ottica in cui la varietà estrema di culture e culti religiosi divenne qualcosa che il Sant’Uffizio doveva combattere. Ma i nemici della fede nelle colonie non erano solo i gentili giudicati pagani e idolatri, erano soprattutto gli ebrei che cercavano rifugio in ogni angolo dell’impero: tutto ciò non poteva che stimolare ancora di più l’espansione dell’Inquisizione7.

I primi coloni arrivarono a sud del Paese grazie a Martin Afonso, a nord per Duarte Coelho: misero radici con le loro famiglie, col bestiame, con piante alimentari, con nuovi e diversi strumenti agricoli, con gli schiavi africani per le opere di disboscamento e bonifica per le quali i nativi, giudicati “molli” e “incostanti”, risultarono inadeguati. I portoghesi furono i primi europei a stabilirsi per davvero nelle colonie, vendendo tutto quello che avevano nel Paese e trasferendosi con l’intera famiglia. Questo predominio della famiglia semi-rurale fu eguagliato solo dalla presenza dei membri della Compagnia di Gesù8, intenzionati a fondare la loro repubblica di “indios addomesticati per Gesù”, che lavorassero nei loro orti e giardini9.

Il 1° marzo 1565 fu fondata ufficialmente la città di Rio de Janeiro, da Estácio de Sá, il quale pare che commentò dicendo: «“levantamos esta cidade que ficará por memória do nosso heroísmo e de exemplo às vindouras gerações para ser a rainha das províncias e o empó das riquezas do mundo”». Le diverse squadre di uomini vennero mandate in esplorazione lungo le coste e ben presto si scontrarono con i corsari francesi. Dall’esigenza di difendersi da queste scorrerie nacque inizialmente il regime dei “donatari”, che prevedeva una divisione del territorio basata su appezzamenti da affidare ai capitani, che godevano di diritti di tipo feudale, seppur diversi da quelli propriamente medievali, ma anche differenti da quelli dei loro contemporanei in patria10. La più antica documentazione prodotta dalle capitanie risale al 1534: capitani e governatori misero in piedi un regime autarchico, ma la difesa comune era precaria, sia contro i nativi che contro i francesi. Così nel 1548 João III fondò la città di Salvador de Bahia, dove pose la sede del Governo Generale del Brasile, che iniziò a operare un anno dopo; la struttura governativa prevedeva un Governatore Generale a cui spettava il potere esecutivo, un Difensore Civico Capo a cui spettava il potere giudiziario, infine il Provveditore Capo a cui spettava l’amministrazione del Tesoro; ciò implicò la mobilitazione di una complessa macchina burocratica. A un certo punto gli europei si posero il problema di come considerare i nativi, se trattarli o meno come dei figli di Dio alla loro pari: è certo che i conquistatori, accecati dalla brama di trovare sempre più oro e spezie, inflissero loro molti maltrattamenti e in alcuni momenti trovarono una relativa resistenza da parte della Chiesa, anche se il papato esitò molte volte a condannare la violenza che veniva perpetrata sotto la bandiera della civiltà occidentale e della sua missione di catechesi universale. La bolla Sublimis Deus, del 2 giugno 1537, affermò il diritto alla libertà per gli “indios” e che la fede cristiana dovesse essere diffusa con mezzi pacifici, evitando ogni crudeltà.

Una prima spedizione di missionari arrivò in Brasile il 29 marzo 1549, guidata da padre Manuel da Nóbrega, Superiore della nuova missione di evangelizzazione dei gesuiti, il quale arrivò sulla stessa nave del governatore generale, dando inizio alla sua “opera senza esempio nella storia”11. La seconda spedizione arrivò nel 1550 ed era composta da quattro sacerdoti; la terza nel 1553, composta da sette sacerdoti12. Nelle intenzioni dei missionari il frutto del loro lavoro consisteva non solo nel rendere cristiani dei “barbari”, ma renderli dei credenti perseveranti nella fede. A tal fine cercarono di adattarsi il più possibile, vissero tra di loro fungendo da medici, infermieri, precettori, esportando tecniche di agricoltura ritenendo che era un male che preferissero andare in cerca di diversi frutti nella boscaglia ogni giorno, invece che dedicarsi all’agricoltura. Ma i villaggi d’insediamento portoghesi dovevano reggere il peso economico-sociale di chiese e vari edifici e occorreva molta manodopera. Le opzioni che si presentarono agli occhi dei missionari furono due: riunire gli indios in nuclei sorvegliati dai sacerdoti e dai funzionari dello Stato, sotto il regime del lavoro sistematico, organizzato e disciplinato, o lasciarli ai loro istinti bellicosi e alle pratiche cannibalistiche, che occupavano un posto centrale in molti gruppi di nativi13.

A un certo punto le missioni di evangelizzazione ebbero un momento di crisi, nonostante le ripetute richieste di invio di nuovi missionari nessuno arrivò fino al 1559. In questo momento la provincia del Brasile beneficiò della solida formazione delle prime tre spedizioni sostenute da padre Nóbrega e della sua incessante preoccupazione di formare nelle scuole delle capitanie dei ragazzi che col tempo avrebbero collaborato nell’opera di evangelizzazione. Padre Nóbrega accoglieva nella compagnia uomini “adulti e capaci”, tra i quali spiccò António Rodriguez, che venne considerato un “alfiere di Cristo”, maestro dei ragazzi e apostolo dei villaggi14.

L’avventura portoghese nelle Americhe ha avuto delle sostanziali differenze rispetto all’esperienza spagnola: innanzitutto qui si trasferirono intere famiglie, gli insediamenti avevano un carattere prevalentemente agricolo, il potere era principalmente e rigorosamente nelle mani del padre-padrone; rispetto a quanto era avvenuto in Messico e Perù la Chiesa si insediò in Brasile relativamente tardi, e soprattutto la mancanza di grandi dibattiti teologici e di opere monumentali come quella di Acosta o Batolomé de Las Casas. Effettivamente, per quello che ne sappiamo, nel XVI secolo furono pubblicate sette opere sul Brasile, di cui tre dai gesuiti. Per lo più si riportavano gli usi e i costumi delle popolazioni locali e le “disavventure” della catechesi. Nello stesso secolo, e in quello successivo, fa notare lo storico Raminelli, furono pubblicati in Portogallo pochissimi testi stampati sul Brasile e gli scritti dei gesuiti sarebbero stati pubblicati solo qualche secolo dopo. Ma ricordiamo che, tutti i testi che vennero prodotti anche successivamente, non considerarono mai una prospettiva “indigena” del racconto, ma riflettevano sempre l’immagine del colonizzatore, dei suoi interessi economici, politici e religiosi. Ma tutto ciò ci consegna, paradossalmente, un vantaggio: ci mostra chiaramente quali furono i meccanismi utilizzati per disciplinare la sessualità, le pratiche religiose, gli usi e i costumi contrari alla morale europea e cattolica. Dalle fonti si impara una cosa fondamentale: questa colonizzazione mancò di un piano organico della Corona, dall’altra parte ebbe un eccesso di potere da parte dei capitani e dei gesuiti15. la Corona e i governatori locali sostenevano i membri della Compagnia di Gesù, fornendo loro stipendi, vestiti, schiavi e cibo. Venne introdotta la categoria di “guerra giusta” come mezzo di evangelizzazione. Più che soffermarsi su come i cronisti abbiano raccontato la vita nella colonia, è importante comprendere come ciò rientrasse in una narrazione complessiva di ferocia e lussuria e tutto si intreccia con la necessità di disciplinare i corpi dei nativi16.

  1. I gesuiti in Brasile.

I gesuiti giunsero in Brasile nel marzo 1549, quando volgeva al termine la prima fase del Concilio di Trento, che nella necessità di controllare da vicino la vita dei fedeli non si limitò a riaffermare dogmi e regole sul matrimonio, ma prese carico della vita delle famiglie, dei rapporti tra marito e moglie, tra genitori e figli e di ogni aspetto possibile della vita quotidiana17. In questo momento, non nel medioevo, ebbe inizio la fase più violenta della repressione dei peccati sessuali e delle unioni illecite, anche se, a onor del vero, sorveglianza e repressione variano considerevolmente a seconda del Paese e della natura del crimine commesso18. In Portogallo, con la Carta del 12 settembre 1564, si raccomandò la pronta osservanza delle determinazioni conciliari e numerosi sinodi furono incaricati di adattare le costituzioni della Chiesa lusitana alle risoluzioni di Trento. Tutto ciò si sarebbe presto esteso alle colonie, ma è interessante notare proprio come tra tutte le risoluzioni di Trento nessuna enfasi venne posta sull’espansione della Chiesa fuori dall’Europa: la posizione difensiva assunta dal Concilio, e la composizione a maggioranza italiana dei conciliari, difficilmente avrebbe portato l’assemblea a formulare una politica globale per il Nuovo Mondo; le priorità erano altre: la difesa dei sacramenti e del diritto canonico dagli attacchi dei protestanti, gli interventi nella formazione e la disciplina del corpo ecclesiastico19. Vennero presto inviati francescani, agostiniani, domenicani e gesuiti per provvedere alla catechesi dei nativi e nei domini portoghesi furono i gesuiti che, fin dall’inizio dell’espansione coloniale, riuscirono a ottenere il primato in campo missionario. Tuttavia, sono presenti delle importanti differenze tra l’America spagnola e portoghese per quanto riguarda l’organizzazione ecclesiastica secolare: nel primo caso, dove l’amministrazione metropolitana è stata organizzata fin da subito, la Chiesa accompagnò pari passo l’avanzata della conquista, cosicché nel 1565 vi erano già quattro arcivescovati: Santo Domingo, Lima, Bogotá e Città del Messico. In Brasile al contrario, il progresso dell’istituzione ecclesiastica sembra essere stato lento, come lento fu il processo di colonizzazione: la sede arcivescovile di Bahia venne fondata solo nel 1551 e per lungo tempo fu l’unica diocesi coloniale in Brasile. Nonostante le difficoltà i vescovi coloniali si organizzarono come poterono fin da subito; Pedro Leitão tenne un sinodo a Bahia, ma è importante evidenziare il fatto che alcuni gesuiti, come José de Anchieta, ritenevano che nessuno dei chierici presenti fosse alfabetizzato. Così in Brasile la solida organizzazione delle parrocchie legate ai poteri episcopali, obiettivo essenziale della riforma di Trento, si scontrò con la lenta e tardiva creazione di diocesi, con la prolungata vacanza dei vescovadi e con la bassa formazione del clero secolare20.

  1. I peccati della carne.

Padre Manuel da Nóbrega, in una lettera a padre Simão Rodrigues del 9 agosto 1549, riferisce che in Brasile c’è un grande peccato, ossia che gli uomini hanno quasi tutti donne indie come amanti e ci sono altre donne libere che vanno in spose a uomini neri. Tutto ciò costituiva scandalo agli occhi del gesuita, unito al fatto che era diffusa anche un’altra usanza scandalosa, la bestemmia pubblica21. Padre Manuel ammette che i cristiani hanno causato molti scandali in queste terre e anzi è difficilissimo trovare una terra in cui i cristiani non siano stati causa di guerre e dissensi22. Vi era però un altro problema nelle colonie, cioè la mancanza di vestiti che servivano a coprire gli indios convertiti: serviva, secondo padre Manuel, almeno una camicia per ogni donna, in modo da preservare l’onestà della religione cristiana, dal momento che tutti si recavano a Bahia per la messa della domenica e non era possibile partecipare nudi alla funzione liturgica23. Altri gesuiti scrissero di nudità e promiscuità, di un’assoluta indisciplinatezza nei rapporti sessuali, della presenza di fornicazione e di poligamia: è ciò che scrive Jerome Rodrigues che visitò i Carijos nel 1602, definendoli «“molto sporchi nel vizio della carne”», dal momento che i padri si univano alle figlie, gli zii alle nipoti e anche i nonni facevano la stessa cosa. Gabriel Soares de Souza arrivò a nominare uno dei capitoli del suo memoriale Que trata da luxúria destes bárbaros, dicendo che commettevano tutti i peccati della carne; Pedro Carreia affermò che alcuni indios si appassionavano alla sodomia e i loro peccati non sembravano avere un limite; Antônio de Araújo raccomandava ai confessori di informarsi su ogni atto lussurioso compiuto invece che chiedere loro genericamente dei comandamenti24. Bisogna tenere a mente che in Brasile, fino alla metà del secolo XVI, la rete ecclesiastica era ancora debole e vi era totale assenza dell’Inquisizione; re João III nel 1534 diede istruzione a Duarte Coelho di condannare e far giustiziare, senza appello o ricorso, qualsiasi tipo di sodomita che gli fosse capitato tra le mani. Nonostante ciò, con l’eccezione della predicazione abituale e degli occasionali appelli alla coscienza, nulla impediva ai coloni di dare sfogo ai propri desideri, abominevoli o meno25.

Secondo Gilberto Freye i primi anni di vita delle colonie brasiliane furono segnati da una sessualità senza limiti, «“deflagrada pelo calor tropical”», con sodomia, incesto, bestialità, poligamia; i portoghesi e gli altri europei non si tirarono indietro dal soddisfare i propri desideri sessuali con le donne del luogo e man mano che le unioni tra colonizzatori e donne indie aumentavano, i portoghesi riuscirono a minimizzare gli effetti negativi della scarsa popolazione metropolitana; riuscirono anzi a generare gli abitanti necessari per l’occupazione delle terre e per la produzione di ricchezza26.

Sul piano metodologico bisogna tenere a mente che, trattandosi di un tema così abominevole e vergognoso agli occhi del potere civile e religioso, la ricostruzione della storia dei sodomiti, in tale contesto, si scontra con la problematica contingenza di avere come fonte documentale quasi esclusivamente i processi inquisitoriali di coloro che venivano accusati di peccato nefando27. Secondo Emilía Viotti da Costa, il rapporto tra uomini e donne africane era di uno su cinque; questo costituì un problema dal momento che anche gli schiavi africani prima o poi dovevano incanalare i propri impulsi sessuali e così alcuni proprietari di schiavi pensarono di istituire una sorta di poligamia informale: non potendo impedire agli schiavi di andare dalle donne divenne consuetudine riservare una donna nera ogni quattro uomini, a cui spettava di accordarsi per “condividere” questa concessione del padrone28. La sodomia era molto diffusa tra gli abitanti dell’Angola e molti uomini erano soliti vestire abiti femminili: venivano chiamati quimbandas e sembra che alcuni di loro fossero anche degli stregoni; tutti li rispettavano e a loro erano riservate anche delle particolari cerimonie funebri. L’omoerotismo era dunque un elemento importante in alcune etnie africane e proprio per questo gli europei vivevano costantemente nel timore che il “virus” del peccato nefando venisse esportato nelle colonie29. Su 135 sodomiti condotti davanti al tribunale del Sant’Uffizio di Bahia e Pernambuco, dal 1591 al 1620, e di Grão-Parà, dal 1763 al 1769, 40 erano uomini bianchi, 25 erano neri, vi erano poi 16 meticci e solo 4 indios; se ci concentriamo solo sui 117 di Bahia e Pernambuco abbiamo un 49% di bianchi, un 29,9% di neri e meticci e un 21% di indios. Su un totale di 25 schiavi neri chiamati nel tribunale inquisitoriale del nord e nel nordest del Brasile sappiamo che 14 erano angolani, 5 congolesi, 4 della Guinea. Per quanto riguarda i rapporti interraziali, su un campione di 34 sodomiti sappiamo che 21 erano le unioni tra uomini bianchi e neri, 9 tra mulatti e bianchi, 3 tra uomini neri e una tra un mulatto e un mamelucco30.

Analizzando le carte coloniali, non solo quelle riferite ai processi, si può notare come la “sodomia” nel periodo coloniale, non equivaleva all’attuale divisione tra omosessuali ed eterosessuali. Quali erano i modelli che plasmarono la concezione dei colonizzatori intorno alla sessualità? Qual’era la visione iberica sull’argomento? E come tutto ciò ha plasmato il ruolo di istituzioni come l’Inquisizione in Brasile? Secondo alcuni il termine “sodomia” venne creato da San Pier Mariani (1007-1072), dell’Ordine dei Benedettini, in analogia, come suggerisce Mark Jordan, con la parola “blasfemia”; il termine si riferiva ovviamente all’episodio biblico legato alla città di Sodoma (Genesi 19)31. Proviamo a fare un passo in avanti: lo studio delle fonti ci porta a comprendere come per spagnoli e portoghesi di età moderna il rapporto anale “omosessuale” rappresentasse una pericolosa minaccia per l’esistenza stessa dello stato secolare e della chiesa. Attraverso i sermoni dei sacerdoti e le opere d’arte sacra tutti avevano ben a mente il destino riservato a Sodoma e Gomorra dopo che i loro abitanti avevano provocato l’ira di Dio e sia spagnoli che portoghesi sapevano che Dio avrebbe potuto riservare lo stesso destino alle loro società se non si fossero epurati dal peccato nefando. In questo modo la caratterizzazione dei brasiliani come sodomiti e lussuriosi costituì un’ulteriore giustificazione per il controllo di queste società, corroborando la visione missionaria e civilizzatrice che i portoghesi avevano di sè stessi durante l’era di esplorazione e di tutta la colonizzazione.

Gli strumenti principali in mano ai portoghesi, che fornivano la base legale per la condanna delle pratiche nefande, erano principalmente tre: le ordinazioni Afonsinas (1446), Manuelinas (1521) e Filipinas (1603). l’Inquisizione portoghese venne fondata solo nel 1536, e solo tre anni prima il re Giovanni III autorizzò la caccia ai sodomiti, mentre il riconoscimento papale della giurisdizione inquisitoriale portoghese sulla sodomia avenne solo nel 156232.

Le ordinazioni Afonsinas, edite da Alfonso V di Portogallo, riservarono ai sodomiti la pena del fuoco purificatore, mentre le Manuelinas, edite da Manuele I includevano anche la confisca dei beni, oltre alla punizione del fuoco. Per quanto riguarda le Filipinas, dato il basso numero di condanne, stabilirono che la sola testimonianza di una persona che aveva avuto un rapporto sessuale con l’imputato era sufficiente per avviare il processo, ma anche per decretare che l’imputato avrebbe perso ogni eventuale privilegio e autorità. Ma ciò non è nulla di così nuovo per la penisola iberica: già le Siete Partidas di Alfonso X in Spagna prevedevano la castrazione e la morte per lapidazione di coloro che erano considerati “attivi” nel rapporto omosessuale, a partire dai 14 anni, mentre i “passivi” venivano puniti solo se avessero acconsentito all’atto. Altre leggi prevedevano dopo la castrazione la morte per impiccagione33.

Lo stigma razziale importato in Brasile era antico, lo vediamo, per esempio, nella storia degli statuti di purezza del sangue, e il modello tomista di società trapiantato in Brasile valorizzava i vecchi signori cristiani e declassava i nuovi cristiani con vari stigmi che in realtà non avevano nulla a che fare con la schiavitù coloniale.

  1. La condizione femminile.

La ricerca storica sul Brasile conferma che la percentuale di donne denunciate alle autorità è nettamente superiore agli uomini, dal momento che molte di queste avevano la fama di eseguire pratiche “divinatorie”. Lo sguardo rivolto a queste “maghe” dell’epoca era filtrato da una serie di rappresentazioni che erano strutturali al sostegno di determinate norme di comportamento, le quali tracciavano il confine tra ciò che era, o non era, considerato deviante. Il rapporto dialettico tra le varie rappresentazioni, nel contesto coloniale, permette di analizzare la presenza femminile nella società coloniale, nel momento in cui alcune donne avessero tenuto a bada i propri istinti e tutti quei comportamenti che potevano renderle una minaccia per la società34. Così, i discorsi europei, volti a conformare i comportamenti femminili, penetreranno anche nella società coloniale: erano discorsi che avevano degli obiettivi specifici, veicolati tramite le messe domenicali, le regole delle confraternite, i racconti popolari, le confessioni; il tutto in linea con le direttive di Trento. Tutti i discorsi qui trattati permettono di vedere la colonia come un’estensione della metropoli, ma allo stesso tempo come la sua negazione: è in questo spazio di ambiguità e contraddizione che l’espressione di potere delle autorità coloniali fu anche un fattore di forte tensione. Non c’erano effettivi limiti all’esercizio del potere, le autorità intervenivano in qualsiasi modo ritenessero opportuno. In quest’ottica l’onore di una donna era qualcosa che, per estensione, riguardava anche gli uomini, la Chiesa, lo Stato, era dunque un bene pubblico35.

Dalla storiografia brasiliana si apprende poi che vennero istituiti sempre più istituti di reclusione femminile, legati a ordini religiosi o laici, col preciso scopo di preservare l’onore, e tenere sotto controllo la sessualità, femminile. In ottica coloniale questi istituti rispondevano anche ad altre esigenze: per esempio, un padre poteva decidere di inviare la figlia da un piccolo insediamento in una metropoli, ma ciò risultava molto costoso e questi istituti divennero sempre più centri di socializzazione delle ragazze, mentre venivano preparate al matrimonio con un’adeguata educazione domestica36. Durante la prima visita dell’Inquisizione il semplice fatto di essere donne poteva fungere, in alcuni casi, da attenuante. Non era una regola valida per la totalità delle incensurate, bisognava comunque valutare il caso concreto; ciò contribuì comunque a scongiurare gli esiti peggiori in alcuni processi in terra brasiliana. La vecchia cristiana Inês de Brito fu accusata di sostenere che la condizione degli sposati era migliore di quella dei religiosi, un’idea che l’Inquisizione giudicava eretica. Il fatto che Inês fosse una donna di «“nobile rango”» e che avesse detto questa cosa «“semplicemente e ignorantemente”» fece si che venisse condannata solo a fare abiura pubblicamente, a compiere penitenze spirituali private e a pagare diecimila réis al Sant’Uffizio per le spese del processo. Leonor Pires, una neocristiana, venne arrestata per blasfemia il 29 luglio 1594. Fu rilasciata poche settimane dopo perché aveva affermato di essere una donna povera e malata, che non sapeva più cosa avesse detto. Dal momento che in carcere le sue condizioni peggioravano, il Visitatore decise che doveva restare chiusa in casa sua. Alla fine fu condannata a un atto di pubblica fede con un bastone in bocca, ricevette un’educazione in linea coi precetti della Chiesa e compì penitenze spirituali private. Tuttavia, nonostante la severità dl Visitatore, il fatto che fosse una donna e che venisse considerata una «“buona cristiana”» fece sì che, secondo quanto scritto nella sentenza, venisse esentata dalle «“maggiori pene che secondo la legge meritava”». Un’anziana, Maria Gonçalves Cajada, fu accusata di stregoneria da almeno sette testimoni; la donna venne condotta in Brasile dal Portogallo «“per aver dato fuoco ad alcune case e per aver lanciato un infuso contro il giudice del territorio”». La donna era malata e ricevette dal Visitatore l’ordine di non lasciare la città: fu tratta in arresto per l’esecuzione della sentenza. Secondo le carte del processo la donna aveva fama di essere una “maga diabolica” e la sua punizione fu dura: abiura pubblica con uno scarabeo in testa, penitenze spirituali e l’ordine di essere «“presto imbarcata nel Regno dove si trova suo marito, per vivere con lui”». Ma anche in questo caso la malattia della donna e la sua età avanzata fecero sì che non venissero richieste le pene più severe37.

Il 22 agosto 1591 l’anziano cristiano João Ribeiro si presentò dal Visitatore per denunciare una donna neocristiana: la donna aveva detto di avere una figlia a Lisbona, accompagnata da un «“parente”»; ma per il denunciante questo parente era un diavolo che la donna portava con sé; il denunciante disse poi che la donna gli aveva mostrato dei pinoli che aveva dato a un uomo affinché la moglie lo amasse. Il giorno prima un’altra vecchia cristiana, Guiomar D’Oliveira, si presentò dal Visitatore per una confessione piena di informazioni derivate dall’amicizia con Antónia Fernandes, che sembra essere la stessa donna della denuncia del vecchio João: secondo Guiomar Antónia Fernandes era venuta in America quindici anni prima proprio per la figlia Joana. La donna venne accusata di parlare con i diavoli e di essere talmente potente da poter ordinare loro di uccidere un uomo: a questo scopo offrì il proprio sangue, in cambio di poter imparare le più svariate «“cose di stregoneria”». Secondo l’accusatrice queste creature comunicavano con lei «“sotto la forma di un uomo accompagnato da molti cavalieri”», affermando che tutti i rituali da lei praticati venivano insegnati da una donna di nome Clara d’Oliveira. La confessione ha messo così in evidenza l’idea di trasmissione ed eventuale ereditarietà dei poteri. Joana, figlia della cosiddetta “strega” aveva dunque un demone al proprio servizio, racchiuso in un anello che portava con sé, e anche la madre ne aveva uno che faceva tutto ciò che lei chiedeva, era il suo servitore privato e Lucifero glielo aveva dato come sua guardia. Almeno queste sono le parole della confessione38.

Le pratiche di cui erano accusate le donne erano di vario tipo, grazie alle carte della Prima

Visita possiamo ricostruire un quadro più generale della situazione. In percentuale i riti di

magia, praticati da donne, sono così ripartiti:

– riti magici di invocazione dei diavoli: 16,52%;

– riti magici amorosi: 6,19%;

– riti di divinazione: 5,16%;

– riti di incantamento 2,7%;

– riti di invocazione degli spiriti: 2,6%.

Le percentuali degli uomini accusati sono invece più basse e nettamente differenti:

– riti magici di invocazione dei diavoli: 3,37%;

– riti di divinazione: 2,25%;

– riti di incantamento: 1,12%;

– riti magici di cura: 1,13%;

– riti di protezione: 1,13%39.

La partecipazione di queste donne come «“agenti attivi”» è sicuramente ricollegata a motivi diversi: nel contesto coloniale è importante la relazione tra la maggiore varietà di pratiche magico-religiose legate a un certo individuo e la maggior possibilità che esista una gamma di conoscenze della presunta “maga”: in una società in cui la magia era intesa come importante strumento capace di conferire una relativa tranquillità in chi la praticava, i «“riti magici”» sono come dotati di “plasticità e sincretismo, adattandosi facilmente alle esigenze e alle aspirazioni di diversi gruppi sociali”40.

Come collegare genere femminile, potere patriarcale e magia? Gli uomini esercitano violenza fisica e simbolica contro le donne, la partecipazione diretta o indiretta a pratiche magico-religiose è una forma di resistenza a questa misoginia. Tutto ciò porta alla tessitura di una rete di interesse femminile ma anche a una relativizzazione del dominio. Ma prima o poi la donna viene denunciata: in quel momento c’è il termine del riconoscimento ottenuto, il consolidamento dell’eresia nel patto demoniaco e la denuncia di donne contro altre donne41.

  1. Cfr. Amintore Fanfani, Sullo sviluppo del Brasile nell’era coloniale, in «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», 3/10, 1939, pp. 776-793: p. 776. ↩︎
  2. http://www.lettere.uniroma1.it/sites/dafault/files/1229/Bolla%20Inter%20caetera_1.pdf. ↩︎
  3. Cfr. Vasco Mariz, Pelos caminhos da História. Nos bastidores do Brasil Colônia, Império e República, Rio deJaneiro, Civilização brasileira, 2015, p. 17. ↩︎
  4. Ivi, pp. 20-21. ↩︎
  5. Ivi, pp. 42-43. ↩︎
  6. Cfr. Gilberto Freye, Casa-Grande & Senzala. Formação da Família Brasileira sob o Regime de Economia
    Patriarcal, Rio de Janeiro, L. J. O., 1958, trad. it Padroni e schiavi. La formazione della famiglia brasiliana in regime di economia patriarcale, Torino, Einaudi, 1965, p. 3. ↩︎
  7. Cfr. G. Marcocci, José Pedro Paiva, História da Inquisição portuguesa (1536-1821), A Esfera dos Livros, Lisboa, 2013, p. 105. ↩︎
  8. Freye, Casa-Grande & Senzala, pp. 16-17. ↩︎
  9. Ivi, p. 21. ↩︎
  10. Cfr. Monumenta Brasiliae, Vol. I (1538-1553), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. X, por Serafim Leite S.I., Roma, apud M.H.S.I, 1956, p. 3*. ↩︎
  11. Cfr. Monumenta Brasiliae, Vol. I, p. 7*. ↩︎
  12. Ivi, pp. 8-9. ↩︎
  13. Ivi, p. 12*. ↩︎
  14. Cfr. Monumenta Brasiliae, Vol. III (1558-1563), in Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XII, por Serafim Leite S.I., Roma, M.H.S.I, 1958, pp. 60*-61*. ↩︎
  15. Cfr. E. R. Fernandes, B. M. Arisi, Gay Indiands in Brasil. Untold Stories of the Colonization of Indigenous Sexualities, Springer, 2017, pp. 8-9. ↩︎
  16. Ivi, p. 10. ↩︎
  17. Cfr. Ronaldo Vainfas, Trópico dos pecados. Moral, sexualiade e inquisiçao no Brasil, Cilizaçao brasilehia, Rio de Janeiro, 2010, p. 24. ↩︎
  18. Ivi, pp-27-28. ↩︎
  19. Ivi, p. 28. ↩︎
  20. Ivi, pp. 29-30. ↩︎
  21. Cfr. Monumenta Brasiliae, Vol. I, pp. 119-120. ↩︎
  22. Ivi, p. 121. ↩︎
  23. Ivi, p. 128. ↩︎
  24. Cfr. Vainfas, Trópico dos pecados, p. 38. ↩︎
  25. Cfr. The Nefarious and the Colony, in Harold Johnson and Francis A. Dutra (edited by), Pelo Vaso Traseiro.Sodomy and Sodomities in Luso-Brazilian History, Fenestra, Tucson, 2007, pp. 338-339. ↩︎
  26. Cfr. Laura de Mello e Souza, O padre e as feiticeiras. Notas sobre sexualidade no Brasil Colonial, Vainfas (Organizador), História e Sexualidade no Brasil, Graal, Rio de Janeiro, 1986, pp. 9-10. ↩︎
  27. Cfr. Luiz Mott, Escravidão e homosexualidade, in Vainfas, História e Sexualidade, pp. 19-20. ↩︎
  28. Ivi, p. 24. ↩︎
  29. Ivi, p. 27-28. ↩︎
  30. Ivi, pp. 29-30. ↩︎
  31. Cfr. E. R. Fernandes, B. M. Arisi, Gay Indians in Brasil. Untold Stories of the Colonization of Indigenous Sexualities, Springer, 2017, pp. 11-12. ↩︎
  32. Ivi, pp. 15-16. ↩︎
  33. Ivi, p. 17. ↩︎
  34. Cfr. Dayne Augusta Santos da Silva, Vivência religiosa feminina no Brasil colonial, Universidad de Brasília, 2009, pp. 1-49: pp. 30-31. ↩︎
  35. Ivi, pp. 32-33. ↩︎
  36. Ivi, p. 35. ↩︎
  37. Cfr. Nunes Fernandes, A Defesa dos…, pp. 220-221. ↩︎
  38. Cfr. Reis, Descendentes de Eva: religiosidade colonial e condição feminina na primeira Visitação do SantoOfício à América portuguesa (1591-1595), São Gonçalo, 2014, pp. 144-145. ↩︎
  39. Ivi, pp. 151-152. ↩︎
  40. Ivi, pp. 154-155. ↩︎
  41. Ivi, p. 161. ↩︎

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