Le turbolente origini del sistema d’istruzione sovietico

L’obiettivo del presente saggio è ripercorrere la nascita del sistema d’istruzione sovietico utilizzando il libro di Sheila Fitzpatrick Rivoluzione e cultura in Russia. Lunačarskij e il Commissariato del popolo per l’istruzione 1917-1921. Il 26 ottobre 1917, durante il II Congresso dei soviet a Pietrogrado, il Comitato centrale bolscevico annunciò la composizione del nuovo governo rivoluzionario, segnando una svolta epocale nella storia russa. Tra i membri del governo Lenin fu nominato presidente del Sovnarkom, il Consiglio dei commissari del popolo, mentre Anatolij Vasil’evič Lunačarskij assunse il ruolo di commissario del popolo per l’istruzione, una posizione che avrebbe plasmato il futuro culturale e educativo della neonata Repubblica Sovietica. Nikolaj Suchanov, menscevico e osservatore critico degli eventi, annotò che solo Lenin, Trotskij e Lunačarskij ricevettero un applauso caloroso dai delegati non bolscevichi, probabilmente perché erano le figure più riconoscibili e carismatiche. Suchanov, pur essendo legato a Lunačarskij da amicizia, non lo applaudì, esprimendo dubbi sulla sua capacità di imporre la propria volontà all’interno del partito bolscevico, considerandolo troppo idealista e poco incline alle dure necessità della lotta politica. Lunačarskij, al contrario, visse quel momento come il trionfo storico dell’illuminazione sulle tenebre dello sfruttamento, una vittoria che avrebbe cambiato il destino dell’umanità. Con entusiasmo quasi profetico, dichiarò a Suchanov che i figli dei loro figli si sarebbero inchinati davanti alla grandezza di quegli eventi, dimostrando una fede incrollabile nel potere trasformativo della rivoluzione. Intendeva il ruolo di commissario per l’istruzione non come una carica amministrativa, bensì come una missione sacra: diffondere la luce del sapere nelle masse oppresse, liberandole dall’oscurantismo dello zarismo e del capitalismo. Questo zelo pedagogico gli valse l’ammirazione di molti che lo definirono un “apostolo dell’istruzione popolare” e il rappresentante di una “dittatura spirituale del proletariato”, un concetto che univa l’ideale rivoluzionario alla redenzione culturale delle classi subalterne. Un telegramma inviatogli nel 1918 dal congresso sull’istruzione di Novoladožskij sintetizzava questa visione con le parole: “Venga il sole, e svaniscano le tenebre!”, un motto che ben si adattava alla sua concezione quasi messianica dell’educazione come strumento di liberazione. Definito da molti il “poeta della rivoluzione”, Lunačarskij incarnava una figura atipica nel panorama bolscevico. Egli stesso si descriveva come “un intellettuale tra i bolscevichi e un bolscevico tra gli intellettuali”, sottolineando la sua duplice natura di rivoluzionario e uomo di cultura. Pur non essendo l’unico nel partito a nutrire interesse per le arti e la filosofia, era il più esplicito nel rivendicare questo amore, senza vedere in esso una contraddizione con il suo impegno politico. Lenin, pur apprezzando la sua acutezza intellettuale e la sua sensibilità estetica, lo considerava una figura marginale nell’ambito delle decisioni strategiche, più un brillante oratore che un organizzatore pragmatico. Durante gli anni dell’esilio Lunačarskij si era dedicato principalmente al giornalismo e alla propaganda, evitando il lavoro clandestino e cospirativo che caratterizzava l’attività di molti altri rivoluzionari, dimostrando una predilezione per la riflessione teorica e la divulgazione culturale piuttosto che per l’azione diretta. La sua formazione intellettuale era il frutto di un percorso complesso e ricco di influenze. Nato a Poltava nel 1875 in una famiglia della piccola borghesia, figlio di un funzionario statale, aveva sviluppato precocemente un interesse per le idee radicali. Durante gli studi al liceo di Kiev si avvicinò al marxismo attraverso circoli rivoluzionari studenteschi, un impegno che gli costò il rischio di essere escluso dalle università russe. Per questo motivo convinse la madre a mandarlo a Zurigo, dove studiò filosofia sotto la guida di Richard Avenarius, entrando in contatto con le correnti più avanzate del pensiero europeo. Fu in Svizzera che incontrò Plechanov, il padre del marxismo russo, con cui ebbe intense discussioni filosofiche. Pur ammirandolo, Lunačarskij criticava Plechanov per la sua eccessiva adesione al materialismo scientifico, accusandolo di trascurare la dimensione emotiva ed etica del socialismo, quell’elemento di passione e idealismo che egli considerava indispensabile per trasformare il marxismo in una forza capace di mobilitare le masse. Tornato in Russia nel 1898 aderì a un gruppo socialdemocratico legato ad Anna, la sorella di Lenin, ma fu presto arrestato e condannato all’esilio. Questi anni di confino, trascorsi prima a Kaluga e poi a Vologda, furono per lui un periodo di intensa crescita intellettuale. In esilio condivise le sue giornate con figure come Bogdanov, Bazarov, Savinkov e Berdjaev, impegnandosi in dibattiti filosofici che spaziavano dal marxismo all’idealismo, dalla mitologia alla storia delle religioni. Fu in questo contesto che sviluppò la sua idea di socialismo come nuova religione dell’umanità, una fede nella capacità dell’uomo di elevarsi attraverso la lotta collettiva. Dopo il rientro dall’esilio Lunačarskij si avvicinò a Lenin, unendosi ai bolscevichi nel 1904. Il suo approccio alla politica rimase sempre segnato da una tensione tra l’adesione alla disciplina di partito e l’irriducibile indipendenza del pensatore. Lenin era un tattico spietato, capace di adattare la teoria alle necessità del momento, al contrario, Lunačarskij viveva la rivoluzione come un evento quasi mistico, un’epifania storica in cui l’umanità avrebbe finalmente realizzato il suo potenziale. Questa differenza di temperamento emerse con forza durante le aspre polemiche che divisero i socialdemocratici russi in esilio. Pur combattendo i menscevichi con veemenza, Lunačarskij lo faceva più per senso del dovere che per autentico spirito fazioso, mantenendo spesso rapporti cordiali con i suoi avversari, un atteggiamento che lo rendeva un caso singolare nel panorama bolscevico, dominato da scontri personali e rancori profondi. La sua ricerca filosofica raggiunse il culmine con la pubblicazione di Religione e socialismo (1908-1911), un’opera in cui sosteneva che Marx, oltre ad essere un analista scientifico della società, fosse anche un profeta morale, erede della tradizione ebraica di giustizia e redenzione. Secondo Lunačarskij il socialismo doveva essere una sintesi di razionalità e entusiasmo, una fede nell’uomo come creatore del proprio destino. I bolscevichi, con la loro volontà di agire e trasformare il mondo, erano i veri eredi di questa visione mentre i menscevichi, chiusi in uno sterile intellettualismo, avevano tradito lo spirito rivoluzionario di Marx. Queste idee lo portarono a scontrarsi con Lenin che nel 1908 scrisse Materialismo ed empiriocriticismo per condannare le deviazioni filosofiche di Bogdanov e dei suoi seguaci, tra cui lo stesso Lunačarskij. Per Lenin il materialismo era un’arma politica irrinunciabile mentre le speculazioni sull’empiriocriticismo e sulla “costruzione di Dio” rischiavano di indebolire la coerenza ideologica del partito. Nonostante le critiche Lunačarskij rimase fedele alle sue convinzioni, continuando a sostenere che la rivoluzione aveva bisogno tanto di organizzazione quanto di poesia, di slancio emotivo, di una visione capace di ispirare le masse. Negli anni successivi, pur riavvicinandosi a Lenin, mantenne una certa distanza dalle lotte di potere interne al partito, dedicandosi alla promozione della cultura proletaria. Dopo il ritorno in Russia nel 1917 divenne una delle voci più popolari della rivoluzione, capace di incantare folle di operai e soldati con i suoi discorsi appassionati. La sua nomina a commissario per l’istruzione fu accolta come una scelta naturale ma la sua indipendenza intellettuale e il suo passato eretico lo tennero sempre ai margini del potere reale. Lenin, pur apprezzando il suo entusiasmo e la sua capacità di comunicare con le masse, non nascose mai i suoi limiti politici. In una conversazione privata, lo definì “proteso verso il futuro con tutto il suo essere”, riconoscendo in lui una genuina passione rivoluzionaria e una certa ingenuità nel lasciarsi influenzare da teorie eterodosse. Nonostante tutto Lunačarskij rimase fino alla fine un protagonista della costruzione culturale del socialismo, un ponte tra l’utopia rivoluzionaria e la concretezza dell’azione politica, tra il sogno di un mondo nuovo e la fatica quotidiana di realizzarlo.

1. I Narkompros

La creazione del Narkompros (Commissariato del popolo per l’istruzione) sotto la guida di Anatolij Lunačarskij rappresentò un processo complesso e travagliato, caratterizzato da difficoltà organizzative, resistenze burocratiche e tensioni politiche che riflettevano le contraddizioni del periodo rivoluzionario. Il nuovo commissariato ereditava le competenze di tre diverse istituzioni preesistenti: il ministero dell’istruzione pubblica zarista, il Comitato statale per l’istruzione creato dal governo provvisorio e il ministero di palazzo che gestiva teatri imperiali, l’Accademia delle arti e i palazzi reali. Questo accorpamento creò immediatamente problemi di delimitazione delle competenze e di gestione del personale.

Il passaggio di consegne con l’amministrazione precedente avvenne in un clima di ostilità e sabotaggio. Il ministro dell’istruzione del governo provvisorio, Oldenburg, abbandonò spontaneamente il suo incarico senza opposizione, tornando alla sua posizione di segretario permanente dell’Accademia delle scienze, invece altri funzionari, come il socialista-rivoluzionario Salazkin, subirono brevi periodi di detenzione. Lo stesso Lunačarskij, in un gesto emblematico del suo approccio conciliante e umanitario, si adoperò personalmente per ottenere il rilascio di Salazkin, dimostrando fin dall’inizio una volontà di mediazione tra il nuovo corso rivoluzionario e le strutture preesistenti. La formazione dell’apparato amministrativo del Narkompros fu un’operazione complessa che rivelò le carenze organizzative del nuovo governo. Lenin suggerì a Lunačarskij di coinvolgere sua moglie Nadežda Krupskaja, esperta in pedagogia, e lo storico M.N. Pokrovskij, anche se per il resto lasciò ampia libertà di scelta. Lunačarskij reclutò principalmente collaboratori con cui aveva già lavorato nella sezione cultura e istruzione della Duma di Pietrogrado, tra cui Vera e Ludmila Menžinskaja, Dora Lazurkina e altri ex membri del gruppo Vperëd come F.I. Kalinin e Lebedev-Poljanskij. Questa squadra iniziale era composta più da intellettuali e rivoluzionari che da amministratori esperti e ciò avrebbe creato notevoli problemi nella gestione quotidiana del commissariato. L’effettiva presa di possesso degli uffici ministeriali si rivelò più difficile del previsto. Diversi commissari, tra cui Trotskij agli esteri e Sljapnikov al lavoro, avevano già fallito nel tentativo di occupare i rispettivi ministeri a causa del sabotaggio del personale amministrativo. Al ministero di palazzo il giovane inviato di Lunačarskij, Jurij Flakserman, ventiduenne, fu completamente ignorato dagli impiegati che continuavano a lavorare come se nulla fosse cambiato, in quello che un giornale non bolscevico descrisse con compiacimento come un esempio dell’impotenza del nuovo governo di fronte alla macchina burocratica. L’8 novembre 1917 Lunačarskij riferì al VTsIK (Comitato esecutivo centrale panrusso) che gli impiegati del ministero dell’istruzione erano in sciopero, così come quelli del Comitato statale per l’istruzione e dell’Unione degli insegnanti (VUS). La resistenza dei funzionari, che consideravano i bolscevichi usurpatori del potere legittimo della rivoluzione di febbraio, era così forte che Lunačarskij arrivò a dichiarare che sarebbe stato più facile ricostruire tutto da zero piuttosto che cercare di collaborare con le vecchie strutture. Per il momento il Narkompros dovette stabilire la sua sede operativa in uffici provvisori nel Palazzo d’Inverno e negli ex locali della commissione cultura e istruzione della Duma di Pietrogrado, in una situazione di precarietà che minava la sua autorità e capacità operativa. In un simile contesto Lunačarskij sembrava inizialmente favorevole a una coalizione con altri partiti socialisti, come dimostrò in un acceso discorso al comitato bolscevico di Pietrogrado il 1° novembre, in cui denunciò il sabotaggio dell’apparato burocratico e propose un accordo per superare le difficoltà. “Sono otto giorni che siamo al potere”, dichiarò, “ma non sappiamo se il popolo conosce il nostro decreto sulla pace […]. Chi ne è responsabile? L’apparato tecnico, che è composto di borghesi o di piccoli borghesi. Ci stanno sabotando […]. Da soli non siamo in grado di risolvere nessun problema”. Tuttavia non si unì alle dimissioni di Kamenev, Zinovjev e altri esponenti della “destra” bolscevica il 4 novembre, anche se la sua posizione rimase ambigua. In realtà Lunačarskij aveva già presentato le dimissioni il 2 novembre, dopo aver creduto erroneamente che la cattedrale di San Basilio fosse stata distrutta durante i combattimenti a Mosca. L’episodio delle dimissioni di Lunačarskij rivelò il suo profondo attaccamento al patrimonio culturale e artistico russo e la sua impulsività oltre che scarsa propensione per la cruda realtà della lotta politica. La notizia della presunta distruzione, poi rivelatasi falsa, lo aveva sconvolto al punto da fargli abbandonare una riunione del Sovnarkom in lacrime, gridando di non poter tollerare “la distruzione mostruosa della bellezza della tradizione!”. Le sue dimissioni, pubbliche e drammatiche, furono ritirate lo stesso giorno quando si scoprì l’errore però l’episodio suscitò sarcasmi all’interno del partito e rimase nella memoria collettiva, tanto che Nikita Chruščëv lo ricordò quasi cinquant’anni dopo come esempio dell’atteggiamento emotivo e poco pragmatico di Lunačarskij. Finalmente, il 18 novembre, il Narkompros riuscì a occupare fisicamente il ministero dell’istruzione, grazie alla mediazione del socialista-rivoluzionario di sinistra Bakrjlov. La scena dell’ingresso di Lunačarskij negli uffici ministeriali fu emblematica. Il personale tecnico lo accolse con entusiasmo mentre i funzionari di alto rango abbandonarono gli uffici, lasciando dietro di sé un rappresentante che comunicò ufficialmente il loro rifiuto di collaborare con quelli che consideravano i “distruttori della gloriosa rivoluzione di febbraio”. Ancora più grave, alcuni ex funzionari crearono un “ministero fantasma” che continuò a operare in clandestinità per mesi, rilasciando diplomi e inviando istruzioni alle province, in una sorta di resistenza passiva che minava l’autorità del nuovo commissariato. Un altro episodio significativo fu il caso della contessa Sofja Panina, viceministro sotto il governo provvisorio, che aveva prelevato 93.000 rubli dal fondo pensioni degli insegnanti poco prima dell’occupazione bolscevica del ministero. Arrestata e processata, la Panina ammise il fatto ma giustificò il suo gesto sostenendo di voler consegnare il denaro solo a un’autorità legittima, cioè l’Assemblea costituente. Il tribunale rivoluzionario, forse considerando il suo passato di impegno nell’istruzione popolare, emise una condanna mite: la Panina sarebbe rimasta in carcere fino alla restituzione del denaro e fu “additata alla pubblica riprovazione”. In seguito una sottoscrizione organizzata dall’intellighenzia di Pietrogrado permise di restituire i fondi e ottenere il suo rilascio. In ogni caso l’episodio dimostrò le difficoltà del nuovo governo nell’affermare la propria autorità sulle strutture preesistenti. Con l’ingresso dei socialisti-rivoluzionari di sinistra nel governo nel dicembre 1917 la giurisdizione del Narkompros fu parzialmente ridotta con la creazione di un Commissariato per le proprietà della repubblica, affidato a Karelin, che assorbì alcune competenze del vecchio ministero di palazzo. Il controllo su teatri e musei rimase al Narkompros e dopo le dimissioni di Karelin (in dissenso sulla pace di Brest-Litovsk), il commissariato fu riassorbito nel Narkompros nell’agosto 1918, sotto forma di dipartimento dei musei diretto da Natalija Ivanovna Trotskaja. Il trasferimento del governo a Mosca nel marzo 1918 complicò ulteriormente l’organizzazione del Narkompros. Lunačarskij rimase inizialmente a Pietrogrado, accumulando incarichi come commissario dell’istruzione della repubblica, commissario dell’istruzione dell’oblast settentrionale e vicepresidente del Consiglio dei commissari dell’Unione dei comuni dell’oblast settentrionale, creando una situazione insostenibile di divisione delle competenze. Solo all’inizio del 1919, su insistenza di Sverdlov, si trasferì stabilmente a Mosca, mentre parte dei dipartimenti (come quello delle arti e dei teatri) rimasero a Pietrogrado. L’organizzazione interna del commissariato era caotica e sovraccarica di strutture parallele. Mancava personale qualificato, soprattutto nell’amministrazione finanziaria, affidata a I.B. Rogalskij, che Lunačarskij descrisse come completamente inadatto al ruolo: “Quando Rogalskij ci portava il denaro dalla banca aveva sempre un’espressione assolutamente sbigottita. Per lui la rivoluzione e la costruzione del nuovo potere continuavano ad essere una sorta di gioco magico”. Il primo bilancio, approvato il 5 aprile 1918, fu redatto in modo approssimativo, basandosi su quello del 1917 con un aumento del 30%, e fu difeso con veemenza davanti a una commissione del Sovnarkom in un’atmosfera caotica, dove Sljapnikov cercava di tagliare le spese considerate superflue, come quelle per i “giocattoli per i bambini”. Nonostante gli errori, il bilancio fu approvato anche se i problemi finanziari persistettero, con il Tesoro che continuava a sabotare i pagamenti. La situazione era aggravata dall’inflazione galoppante e dalla mancanza di controlli finanziari rigorosi. Pokrovskij, parlando del bilancio, lo presentò più come uno strumento di propaganda che come un documento amministrativo: “È il più vasto bilancio per l’istruzione che la Russia abbia mai avuto”, dichiarò, aggiungendo che se i fondi non fossero stati spesi entro dicembre, lo sarebbero stati nei mesi successivi, senza che questo avesse particolare importanza. La struttura del Narkompros era labirintica, con decine di dipartimenti, sottodipartimenti e commissioni che operavano in modo autonomo e spesso sovrapposto. Nel 1919 il personale ammontava a 3.062 dipendenti (dieci volte più del vecchio ministero), con una sproporzione evidente tra i dipartimenti culturali (come musica, cinema e teatro, che insieme impiegavano 600 persone) e quelli scolastici (con solo 283 impiegati per l’istruzione generale). Solo nel 1920 si tentò una razionalizzazione, suddividendo il commissariato in cinque settori principali (organizzativo, extrascolastico, scientifico, artistico e dell’educazione sociale) ma il caos organizzativo rimase una costante, come lamentava la stessa Krupskaja: “Il rigonfiamento dei commissariati è un processo continuo e tangibile […]. Molto spesso non esiste distinzione tra i compiti che spettano al commissario, al presidium e ai dipartimenti”. Nonostante le difficoltà il Narkompros sotto Lunačarskij rappresentò un esperimento unico di fusione tra rivoluzione e cultura, un tentativo di creare un nuovo sistema educativo e culturale che rompesse con la tradizione zarista. La sua eredità, dice Fitzpatrick, fu segnata dall’idealismo del commissario, dalla mancanza di pragmatismo amministrativo e dalle resistenze sia interne che esterne al partito bolscevico, in un contesto di guerra civile e crisi economica che rendeva quasi impossibile qualsiasi progetto di ampio respiro nel campo dell’istruzione e della cultura.

2. Il sistema formativo sovietico

La prima dichiarazione ufficiale di Anatolij Lunačarskij come Commissario del popolo per l’istruzione, datata 29 ottobre 1917, rappresentò una radicale rottura con i modelli educativi preesistenti e delineò i contorni di un sistema scolastico rivoluzionario che avrebbe dovuto poggiare interamente sull’iniziativa popolare e sull’autorganizzazione delle masse lavoratrici piuttosto che su strutture gerarchiche imposte dall’alto. In questo documento fondamentale Lunačarskij affermava con forza che la vera cultura non poteva essere elargita paternalisticamente né dal governo né dall’intelligentsija, essa doveva scaturire spontaneamente dal basso, attraverso un processo di autoeducazione collettiva in cui scuole, biblioteche, teatri e musei avrebbero svolto soltanto un ruolo di supporto e facilitazione. La Commissione statale per l’istruzione si configurava così come un catalizzatore di energie popolari che dovevano trovare espressione attraverso organismi autonomi di base, completamente svincolati tanto dall’apparato statale centrale quanto dalle amministrazioni municipali tradizionali. Per tradurre in pratica questa visione profondamente democratica e anti-burocratica il Narkompros elaborò un sistema originale di “soviet dell’istruzione” che avrebbero dovuto essere eletti a suffragio universale a diversi livelli territoriali, dalla volost (circoscrizione rurale) all’uezd (distretto), alla gubernija (provincia) fino all’oblast (regione), formando così una piramide amministrativa capace di garantire sia l’autonomia locale che il coordinamento generale. Questi soviet specializzati nell’istruzione avrebbero risposto esclusivamente agli organi educativi gerarchicamente superiori, mantenendo una netta separazione dal potere politico locale rappresentato dai soviet dei deputati, in un audace esperimento di separazione dei poteri che mirava a preservare la purezza pedagogica dalle contaminazioni della politica quotidiana. Questa architettura istituzionale entrò quasi immediatamente in collisione frontale con il modello centralizzato propugnato dal Commissariato degli interni (NKVD) che prevedeva invece dipartimenti dell’istruzione nominati direttamente dai comitati esecutivi dei soviet locali e rigidamente subordinati sia a quest’ultimi che al governo centrale, in una classica struttura a doppia dipendenza tipica dell’amministrazione statale tradizionale. Il contrasto tra queste due concezioni antitetiche, una basata sull’elettività, l’autonomia e la specializzazione settoriale, l’altra sulla nomina politica, il centralismo e l’integrazione verticale, divenne presto insanabile, nonostante i ripetuti tentativi di mediazione. Quando il NKVD completò il suo piano amministrativo generale all’inizio di marzo 1918 la contraddizione con il sistema già avviato dal Narkompros risultò lampante ma Lunačarskij e i suoi collaboratori scelsero deliberatamente di ignorare le direttive concorrenti, pubblicando trionfalmente il proprio progetto sulla Pravda il 10 marzo con la motivazione che rappresentava “il logico risultato di tutto quello che è stato fatto finora” nel campo della riforma educativa. Lebedev-Poljanskij arrivò a dichiarare con sprezzo che “le direttive del NKVD non possono avere alcun valore” per il commissariato dell’istruzione, dimostrando una determinazione quasi rivoluzionaria nel difendere l’autonomia del settore educativo da quelle che venivano percepite come ingerenze burocratiche. La dura realtà del consolidamento del potere sovietico impose già all’inizio di aprile un parziale ripiegamento, con l’accettazione di un compromesso che prevedeva la coesistenza dei soviet elettivi dell’istruzione con i dipartimenti nominati secondo il modello del NKVD, in una soluzione ibrida dove i primi avrebbero svolto funzioni consultive ma, come ebbe a precisare lo stesso Lunačarskij con calcolata ambiguità, “potendo anche svolgere funzioni esecutive”, lasciando così aperta la porta a un possibile futuro ribaltamento dei rapporti di forza a favore dell’autonomia educativa. In questo acceso dibattito istituzionale Nadežda Krupskaja emerse come la più tenace e appassionata paladina del modello democratico e decentralizzato, combattendo quella che considerava una pericolosa sopravvivenza della mentalità paternalistica prerivoluzionaria che vedeva nelle masse popolari dei minori bisognosi di guida piuttosto che soggetti attivi del proprio processo educativo. Con il caratteristico vigore che la contraddistingueva la Krupskaja tuonava contro coloro che “ancora non si sono liberati dalla vecchia concezione delle masse come oggetto di cui l’intelligentsija deve prendersi cura, come di un bambino che ancora non è in grado di ragionare”, rivendicando con forza il diritto del popolo a sperimentare e sbagliare pur di essere veramente padrone del proprio destino culturale. La sua battaglia per far partire l’amministrazione educativa dal livello più basso e popolare, quello della volost, anziché dall’uezd come proponeva il NKVD, rappresentò una significativa vittoria delle istanze democratiche, concretizzatasi nel 1919 quando riuscì a bloccare un tentativo di eliminare i dipartimenti del volost, dimostrando una notevole capacità di resistenza alle pressioni centralizzatrici. La Dichiarazione sull’organizzazione del sistema educativo pubblicata nel giugno 1918 sancì formalmente questo delicato equilibrio tra autonomia e controllo, istituendo i soviet dell’istruzione come organi “consultivi di controllo” composti attraverso una rappresentanza allargata che includeva non solo i delegati delle organizzazioni sociali presenti nei soviet politici ma anche insegnanti, studenti e “persone competenti” elette direttamente mentre il potere esecutivo rimaneva affidato ai dipartimenti nominati secondo la logica del NKVD. La tenace resistenza del Narkompros riuscì a preservare l’articolazione territoriale più radicata nel tessuto sociale, mantenendo il volost come livello base dell’amministrazione educativa contro le tendenze accentratrici che avrebbero preferito partire dall’uezd, in una significativa testimonianza della volontà di mantenere un legame organico tra scuola e comunità locale. Parallelamente al complesso dibattito sull’architettura istituzionale del nuovo sistema educativo si sviluppò un altrettanto acceso confronto pedagogico tra due distinte scuole di pensiero all’interno dello stesso Narkompros che riflettevano differenze geografiche, culturali e filosofiche profonde. Da un lato si posizionavano i “pietrogradesi” guidati da Lunačarskij e da Ludmila Menžinskaja che propugnavano una versione ortodossa del progressismo educativo internazionale, fortemente influenzata dalle teorie di John Dewey, Maria Montessori e Georg Kerschensteiner, con un’enfasi particolare sullo sviluppo armonico dell’individuo attraverso l’apprendimento attivo e l’esperienza laboratoriale, in un contesto scolastico non autoritario che favorisse la libera espressione delle potenzialità di ogni studente. Dall’altro lato si schieravano i “moscoviti” facenti capo a V.M. Pozner e P.N. Lepešinskij, sostenitori del modello della “scuola-comune” che doveva costituire un ambiente totalizzante per il bambino, operante senza interruzioni tutto l’anno, senza vacanze, e in cui l’apprendimento professionale sarebbe scaturito direttamente dalla gestione collettiva della vita scolastica piuttosto che da laboratori artificiali, in una visione fortemente comunitaria che tendeva a subordinare l’individuo alla collettività. Queste due anime del Narkompros si scontrarono aspramente nell’estate del 1918, quando presentarono rispettivamente la Dichiarazione sulla scuola unificata del lavoro (il documento più teorico e letterario di Lunačarskij) e il Programma della scuola unificata del lavoro (il testo più operativo di Pozner), dando vita a un dibattito così acceso da ritardare persino l’inizio dell’anno scolastico. La soluzione finale, approvata frettolosamente dal VTsIK il 30 settembre 1918 alla vigilia della riapertura delle scuole, fu un curioso compromesso che dichiarava i due documenti “assolutamente non contraddittori” nonostante le evidenti divergenze, in un tipico esempio di soluzione politica a una controversia teorica. La Dichiarazione di Lunačarskij rappresentava senza dubbio il documento più ambizioso e visionario, delineando il concetto di “scuola unificata” come un sistema integrato che avrebbe dovuto coprire l’intero arco educativo dall’asilo all’università in una progressione continua e accessibile a tutti, senza le cesure classiste del vecchio sistema zarista. Il principio del lavoro, cardine della pedagogia rivoluzionaria, veniva interpretato in una duplice accezione, come metodo attivo di apprendimento ispirato a Dewey e come educazione politecnica di matrice marxista, in una sintesi originale che cercava di conciliare l’emancipazione individuale con la formazione di una coscienza collettiva. Le discipline tradizionali, dalla lingua russa alla matematica, dalla storia alle scienze, dovevano essere insegnate attraverso metodologie innovative basate sull’esperienza diretta, la ricerca sul campo, la documentazione visiva e la creazione di modelli, in un contesto di autogoverno scolastico che limitava al minimo indispensabile i controlli esterni, in nome della massima autonomia degli educatori e delle comunità locali.

Il Programma di Pozner, pur condividendo l’impianto generale della Dichiarazione, si caratterizzava per un approccio più pragmatico e radicale insieme, stabilendo norme precise come l’obbligatorietà scolastica dagli 8 ai 17 anni, l’abolizione totale di tasse, compiti a casa, punizioni ed esami, la garanzia della refezione scolastica e soprattutto l’istituzione di soviet di gestione che includevano insegnanti, studenti e rappresentanti della comunità in una logica di partecipazione allargata. Ma la differenza più significativa riguardava proprio il concetto di lavoro, interpretato dai moscoviti in termini più marcatamente produttivisti e collettivisti, come “lavoro produttivo socialmente necessario” piuttosto che come strumento pedagogico, con la scuola concepita come una comunità autosufficiente strettamente integrata con il tessuto sociale circostante, in una visione che anticipava in parte le esperienze di Anton Makarenko. Il compromesso finale tra queste due anime del Narkompros, per quanto fragile e talvolta contraddittorio, rappresentò comunque uno degli esperimenti pedagogici più audaci e innovativi del XX secolo che cercava di coniugare le più avanzate teorie educative occidentali con l’idea marxista di una scuola veramente popolare e democratica. Le tensioni irrisolte tra autonomia e centralismo, tra individualismo e collettivismo, tra teoria e pratica, avrebbero continuato a segnare il travagliato sviluppo del sistema educativo sovietico negli anni successivi, in un continuo braccio di ferro tra l’idealismo rivoluzionario delle origini e le dure esigenze della costruzione di uno Stato socialista in un paese ancora largamente analfabeta e devastato dalla guerra civile. La questione degli insegnanti si rivelò fin dai primi giorni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre come uno dei nodi più complessi e spinosi che il neonato Narkompros dovette affrontare, mettendo a dura prova sia i principi pedagogici rivoluzionari che la capacità concreta di gestione del nuovo potere sovietico. Anatolij Lunačarskij si trovò di fronte a una situazione paradossale perché da un lato la Dichiarazione sulla scuola unificata del lavoro elaborata dal Narkompros rappresentava forse il programma educativo più avanzato e progressista dell’epoca, ispirato alle migliori teorie pedagogiche occidentali e alla visione marxista dell’educazione politecnica, dall’altro lato la quasi totalità del corpo docente qualificato, l’unico in grado di comprendere e attuare effettivamente quelle innovazioni, si dimostrava ostile o apertamente contraria al nuovo regime rivoluzionario. L’élite intellettuale degli insegnanti russi, organizzata principalmente nell’Unione Panrussa degli Insegnanti (VUS) e nel Comitato Statale per l’Istruzione creato dal governo provvisorio, pur condividendo molti aspetti della riforma educativa proposta da Lunačarskij, come il principio della scuola unica, i metodi attivi di insegnamento e l’approccio anti-autoritario, rifiutò categoricamente qualsiasi collaborazione con il potere bolscevico, considerato illegittimo e distruttivo dei valori culturali nazionali. Già a una settimana dalla Rivoluzione d’Ottobre la sezione pietrogradese del VUS aveva preso la decisione di “non seguire le disposizioni del sedicente potere”, inaugurando quella che sarebbe diventata una lunga stagione di resistenza passiva e talvolta attiva al nuovo corso rivoluzionario nell’istruzione. Lunačarskij, che inizialmente nutriva sincere speranze di coinvolgere questi intellettuali progressisti nel progetto di rinnovamento educativo, dovette constatare con amarezza il loro netto rifiuto, testimoniato da episodi emblematici come quello del presidente del Comitato Statale per l’Istruzione che si rifiutò persino di stringergli la mano, definendolo sprezzantemente “un nemico della patria”. Questo atteggiamento di chiusura preconcetta e spesso visceralmente ostile da parte dell’establishment educativo precedente portò inevitabilmente allo scioglimento del Comitato Statale già il 20 novembre 1917 e a un durissimo scontro con il VUS, le cui sezioni di Mosca e Pietrogrado organizzarono prolungati scioperi che paralizzarono completamente il sistema scolastico per mesi, fino al gennaio 1918 a Pietrogrado e addirittura fino a marzo a Mosca, con il sostegno finanziario, secondo voci diffuse all’epoca, di influenti famiglie borghesi come i Rjabušinskij, in quella che apparve sempre più come una vera e propria battaglia politica oltre che pedagogica. La reazione iniziale del Narkompros a questa resistenza organizzata fu durissima e intransigente, con Lunačarskij stesso che in un acceso intervento minacciò di bandire definitivamente dalla professione gli insegnanti scioperanti, arrivando a definirli come traditori che nella “terribile lotta del popolo contro gli sfruttatori” avevano scelto consapevolmente di schierarsi dalla parte sbagliata della storia, accettando il denaro delle classi dominanti pur di sabotare il diritto all’istruzione delle masse popolari. La concreta impossibilità materiale di sostituire l’intero corpo docente esistente, composto da decine di migliaia di insegnanti sparsi in un territorio vastissimo e in gran parte ancora analfabeta, costrinse ben presto il commissariato a cercare soluzioni più pragmatiche e sfumate, come il sistema della rielezione degli insegnanti da parte dei soviet locali, che però si trasformò in molte regioni in una vera e propria epurazione politica su base ideologica, con questionari dettagliati, dichiarazioni pubbliche di fedeltà al regime e veri e propri esami di ortodossia rivoluzionaria che suscitarono aspre critiche persino all’interno dello stesso Narkompros. Nadežda Krupskaja, moglie di Lenin e figura chiave del commissariato, insieme a Ludmila Menžinskaja, denunciarono con forza queste pratiche come una “inammissibile violazione della libertà di coscienza” che umiliava e alienava ulteriormente la già diffidente categoria insegnante mentre lo stesso Lunačarskij dovette ammettere che il decreto sulla rielezione era stato interpretato in modo ben più repressivo e burocratico di quanto inizialmente previsto, trasformandosi da strumento di democratizzazione della scuola in un mezzo di controllo politico e di esclusione. All’interno del Narkompros emersero presto due linee profondamente contrastanti su come gestire il rapporto con il VUS e più in generale con il corpo docente nel suo complesso. V.M. Pozner e i cosiddetti “insegnanti internazionalisti” erano fautori di una linea dura e intransigente che vedeva nel VUS un’organizzazione essenzialmente controrivoluzionaria da sciogliere immediatamente e senza compromessi, sostituendola con un’organizzazione strettamente comunista composta esclusivamente da insegnanti fedeli al partito bolscevico. Krupskaja e Menžinskaja propugnavano una strategia più paziente, inclusiva e graduale, mirata a conquistare “dall’interno” la base più ampia possibile del VUS attraverso un lungo e paziente lavoro di persuasione e dialogo, considerando la massa degli insegnanti, soprattutto quelli rurali, come “terreno fertile per la propaganda socialista” piuttosto che come nemici da epurare e insistendo sulla necessità di distinguere tra la dirigenza reazionaria dell’Unione e la maggioranza dei semplici iscritti, spesso ostili al bolscevismo più per ignoranza e condizionamento sociale che per reale convinzione politica. Questo acceso dibattito interno raggiunse il culmine nel corso del 1918, quando lo stesso Lenin intervenne direttamente nella questione durante un discorso alla conferenza degli insegnanti internazionalisti, criticando senza mezzi termini il loro settarismo e invitando a un approccio più ampio e inclusivo verso la categoria insegnante nel suo complesso, pur senza rinunciare alla lotta senza quartiere contro la dirigenza reazionaria del VUS e i suoi legami con le forze controrivoluzionarie. Il I Congresso Panrusso degli Insegnanti del luglio 1918 rappresentò il momento più drammatico e simbolico di questo scontro epocale tra due visioni inconciliabili dell’educazione e del ruolo degli insegnanti nella nuova società socialista. Lunačarskij, dimenticando in un acceso intervento ogni cautela politica e diplomatica, attaccò frontalmente il VUS accusandolo di sistematico sabotaggio e di macchinazioni controrivoluzionarie mentre i rappresentanti dell’Unione, come il delegato Bogačev, difesero con fierezza e convinzione il principio dell’autonomia scolastica e della neutralità politica dell’educazione, rivendicando il diritto degli insegnanti a perseguire una “scienza obiettiva” libera da condizionamenti ideologici e a rifiutare qualsiasi forma di controllo politico sulla didattica e sui programmi scolastici. Lo scioglimento definitivo del VUS, deciso dal VTsIK nel dicembre 1918 su forte pressione delle organizzazioni sindacali e di alcuni commissariati come quello della Guerra (i cui rappresentanti, come Mežlauk, denunciavano il persistente carattere reazionario di molti insegnanti e il loro coinvolgimento in attività controrivoluzionarie durante la guerra civile), segnò la vittoria formale della linea dura rappresentata da Pozner e dagli internazionalisti, sebbene con importanti concessioni alle istanze più moderate della Krupskaja, come la formale garanzia che i semplici membri dell’Unione, a differenza dei suoi dirigenti, non sarebbero stati oggetto di rappresaglie o discriminazioni per la loro precedente appartenenza. Il problema della costruzione di una nuova organizzazione docente si protrasse però ben oltre lo scioglimento del VUS, rivelando persistenti e profonde divisioni all’interno dello stesso Narkompros e più in generale nel movimento sindacale sovietico. Gli insegnanti internazionalisti di Pozner, nonostante il formale invito di Lenin a superare il settarismo, continuarono ostinatamente a propugnare la creazione di un’organizzazione strettamente comunista ed elitaria che fungesse da “organo del potere statale” piuttosto che da sindacato di categoria, arrivando persino a esprimere pubblicamente scetticismo e critiche verso lo stesso movimento sindacale, giudicato insufficientemente legato al partito e al governo rivoluzionario. Questa posizione intransigente suscitò la ferma opposizione non solo della Krupskaja e della Menžinskaja ma anche del Consiglio Centrale dei Sindacati (VTsSPS) che rifiutò ripetutamente di riconoscere l’Unione degli insegnanti internazionalisti come legittimo rappresentante della categoria. Solo dopo un lungo e tortuoso processo politico e organizzativo, nell’estate del 1919 si giunse finalmente alla costituzione del Sindacato dei Lavoratori dell’Istruzione e della Cultura Socialista (Rabpros) che sotto la presidenza della stessa Menžinskaja, storica avversaria degli internazionalisti e sostenitrice di un approccio più inclusivo, riuscì in pochi mesi a trasformarsi in una vera organizzazione di massa, superando già nell’ottobre 1919 i 70.000 iscritti (contro i 50.000 che aveva il VUS al momento del suo scioglimento) e addirittura i 250.000 nel corso del 1920. Questo risultato impressionante, ottenuto attraverso un difficile ma necessario compromesso tra le diverse anime del Narkompros e tra le esigenze spesso contrapposte di controllo politico e partecipazione democratica, dimostrò la concrete possibilità di conciliare i principi rivoluzionari con un approccio ampio e inclusivo verso la categoria insegnante, anche se il percorso fu segnato da tensioni, contraddizioni e momenti di dura repressione che lasciarono cicatrici profonde nel sistema educativo sovietico e nel rapporto tra potere bolscevico e intellettuali. Il nuovo sistema educativo sovietico, implementato dal Narkompros dopo la Rivoluzione d’Ottobre, si trovò ad affrontare una serie di sfide complesse nel tentativo di tradurre in pratica i suoi principi rivoluzionari. Abbiamo già detto che si cercò di costruire un sistema scolastico basato sulla scuola unificata del lavoro, un modello che univa istruzione generale e formazione pratica, eliminando le divisioni di classe e promuovendo un’educazione politecnica. L’attuazione di questo ambizioso progetto si scontrò con la realtà di un apparato amministrativo frammentato, la resistenza delle autorità locali e la cronica mancanza di risorse durante gli anni turbolenti della guerra civile. Uno dei principali problemi che il Narkompros dovette affrontare fu la sua limitata capacità di controllo sulle strutture educative locali. Formalmente i dipartimenti dell’istruzione delle province (gubernii) e dei distretti (uezd) erano subordinati sia ai soviet locali che al commissariato centrale ma nella pratica rispondevano principalmente agli ispolkom, i comitati esecutivi dei soviet locali. Questo rendeva difficile per il Narkompros imporre la propria linea politica poiché le autorità educative locali dipendevano finanziariamente e amministrativamente dalle istituzioni territoriali piuttosto che dal centro. I fondi per le scuole elementari provenivano principalmente dai bilanci locali mentre i funzionari dei dipartimenti dell’istruzione erano stipendiati attraverso il Commissariato degli Affari Interni (NKVD), rafforzando la loro autonomia rispetto al Narkompros. Inizialmente il Narkompros abolì il sistema di ispezioni scolastiche, considerato un retaggio dell’epoca zarista, sperando che il controllo potesse essere esercitato dai soviet dell’istruzione locali. Questa scelta si rivelò inefficace, poiché molti di questi organismi non furono mai creati o rimasero inattivi. Solo nel 1920 il Narkompros reintrodusse un sistema di ispettori centrali, chiamati “istruttori”, inviati nelle province per monitorare l’attuazione delle riforme. Anche la distribuzione dei finanziamenti era problematica: nel 1919, il Narkompros tentò di allocare crediti alle gubernii ma molte di queste non fornirono alcuna rendicontazione sull’uso dei fondi, lasciando il centro all’oscuro di come venissero spese le risorse destinate all’istruzione. Già nell’aprile 1918 Lunačarskij aveva espresso preoccupazione per le “interpretazioni locali” dell’autonomia concessa ai soviet che rischiavano di minare l’autorità dei commissariati centrali. Nonostante ciò, egli continuò a sostenere la necessità di concedere una certa libertà d’azione alle amministrazioni locali, nella speranza che questo favorisse un’adesione spontanea alle riforme. La mancanza di coordinamento centrale portò a situazioni caotiche. Durante un viaggio nella regione del Volga nel 1919 la Krupskaja constatò che molte scuole e dipartimenti dell’istruzione erano lasciati a se stessi o sottoposti a direttive contraddittorie delle gubernii che spesso annullavano le iniziative locali più innovative. Scrisse amaramente che il Narkompros era “imperdonabilmente staccato dal lavoro nelle province”, evidenziando il divario tra le direttive centrali e la loro applicazione concreta. Particolarmente problematico fu il rapporto con i dipartimenti dell’istruzione di Mosca e Pietrogrado che godevano di una maggiore autonomia grazie al loro legame diretto con i soviet cittadini. A Pietrogrado il commissariato dell’istruzione, inizialmente guidato dallo stesso Lunačarskij, fu presto sostituito da un’amministrazione rivale sotto la guida dell’ingegnere F.F. Su, contrario al modello politecnico del Narkompros e favorevole invece a una scuola tecnica specializzata fin dai primi anni. Nonostante i tentativi del Narkompros di riprendere il controllo istituendo un commissariato di circoscrizione, il soviet di Pietrogrado, guidato da Zinovjev, riuscì a mantenere la sua autonomia, creando un dipartimento dell’istruzione indipendente sotto la direzione di Zlata Lilina, moglie di Zinovjev. Lilina adottò un approccio più autoritario verso gli insegnanti, in contrasto con la linea più tollerante del Narkompros, e osteggiò l’impiego dell’intelligencija non bolscevica nelle scuole, un’altra divergenza rispetto alla politica centrale. A Mosca il dipartimento dell’istruzione (MONO) inizialmente aveva sostenuto posizioni radicali, promuovendo il modello della scuola-comune, ma nel 1919-20 virò verso un approccio più conservatore, reintroducendo elementi come la disciplina rigida, il controllo individuale sugli studenti e un maggiore ruolo per gli insegnanti esperti. Nel 1920 il MONO pubblicò una serie di tesi che proponevano un rafforzamento dell’autorità docente e una riduzione dell’autonomia scolastica, misure che il Narkompros giudicò un “abbandono della linea comunista nell’istruzione”. Nonostante le proteste del commissariato centrale, il MONO mantenne le sue posizioni, dimostrando ancora una volta la difficoltà del Narkompros di imporre la sua autorità sulle amministrazioni locali più influenti. A livello delle scuole stesse l’attuazione della scuola unificata del lavoro incontrava enormi difficoltà pratiche. Il Narkompros aveva emanato direttive vaghe e spesso contraddittorie, lasciando agli insegnanti il compito di interpretare come applicare i nuovi principi pedagogici. In molte scuole rurali il “lavoro” si riduceva a semplici attività di autosostentamento (samoobsluživanie), come tagliare legna o trasportare acqua, senza alcun vero valore educativo. Le attrezzature erano spesso inesistenti e i laboratori scolastici, quando esistevano, consistevano in poco più di qualche attrezzo portato da un artigiano del villaggio. La Krupskaja, durante il suo viaggio, osservò con disappunto che molti insegnanti non avevano alcuna idea di come implementare la scuola del lavoro e che le direttive del Narkompros erano spesso incomprensibili o completamente ignorate. Le scuole sperimentali del Narkompros, come la colonia “Vita attiva” di Šacskij o la scuola-comune di Lepešinskij, rappresentavano modelli innovativi però erano isole di eccellenza in un mare di caos. Queste istituzioni, spesso frequentate da orfani e ragazzi di strada (besprizornye), combinavano istruzione, lavoro produttivo e vita collettiva, cercando di creare una nuova generazione di cittadini sovietici. Erano anche costrette a fare i conti con la scarsità di risorse e molti dei loro metodi risultavano inapplicabili nelle scuole ordinarie, dove gli insegnanti mancavano di formazione e motivazione. Nonostante le pressioni per un cambiamento di rotta, il Narkompros mantenne la sua linea, ribadendo nel 1920 i principi della scuola unificata del lavoro in una nuova edizione della Dichiarazione del 1918, corredata solo da una breve introduzione esplicativa. Lunačarskij dovette ammettere, però, che il commissariato aveva commesso l’errore di credere che le riforme si sarebbero realizzate spontaneamente “dalla vita stessa”, senza una guida centrale forte. La mancanza di direttive chiare, unita alla resistenza delle autorità locali e alla scarsa partecipazione delle comunità, aveva reso l’attuazione delle riforme disomogenea e spesso fallimentare. La politica educativa del Narkompros riguardo all’istruzione tecnica rappresentò uno dei nodi più complessi e controversi nel panorama post-rivoluzionario, un vero e proprio campo di battaglia ideologico e amministrativo dove si scontravano visioni radicalmente diverse sul futuro della formazione in Russia sovietica. Il cuore del dibattito ruotava attorno alla contrapposizione tra il modello della scuola unificata del lavoro, con il suo approccio politecnico e antiautoritario, e le pressanti esigenze di una rapida formazione professionale specializzata che il paese, devastato dalla guerra civile e dal collasso economico, disperatamente reclamava. In linea teorica il Narkompros escludeva categoricamente che ai ragazzi in età scolare potesse essere impartita una preparazione tecnica specialistica, posizione che portò alcuni dipartimenti scolastici più radicali a lanciare lo slogan provocatorio “Chiudiamo le scuole professionali e usiamo le loro attrezzature per creare la scuola del lavoro”. Questo estremismo trovava le sue radici nella convinzione che le scuole professionali rappresentassero un retaggio dell’oppressivo sistema zarista, vere e proprie fabbriche di sfruttamento che condannavano i figli delle classi popolari a un destino di manodopera semiqualificata senza prospettive di emancipazione culturale. Il presidium del Narkompros assunse una posizione più sfumata e pragmatica. Esso bollava queste istituzioni come “gironi infernali per i ragazzi delle classi più povere” da eliminare ma riconosceva la necessità di mantenerle laddove persistesse una concreta domanda popolare, arrivando persino a prevedere la creazione di nuove scuole professionali nelle aree dove non esistevano. La situazione reale era però ben più complicata delle dichiarazioni di principio, poiché il Narkompros si trovava a dover affrontare una strenua resistenza burocratica al suo progetto di centralizzare sotto un’unica autorità tutto il sistema educativo. La maggior parte delle scuole tecniche e professionali erano storicamente cresciute all’ombra dei vari ministeri zaristi, industria e commercio, finanze, agricoltura, comunicazioni, e non avevano mai fatto parte del tradizionale ambito di competenza del ministero dell’istruzione pubblica. Il governo provvisorio aveva avviato un timido processo di unificazione ma alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre questo trasferimento di competenze era ancora largamente incompiuto. I nuovi commissariati popolari ereditarono così queste istituzioni educative specializzate e, con un’ironia storica non priva di amarezza per i dirigenti del Narkompros, dimostrarono la stessa tenace riluttanza dei loro predecessori a cederne il controllo al commissariato dell’istruzione. Le resistenze erano talmente radicate che, nonostante i ripetuti decreti del Sovnarkom tra maggio e giugno 1918 che sancivano il passaggio di tutte le istituzioni educative (con l’eccezione di quelle militari e navali) sotto la giurisdizione del Narkompros, nella pratica molti commissariati continuarono a opporre un muro di gomma. Un caso emblematico fu quello del Commissariato del commercio e dell’industria che, come riferì con amarezza un rappresentante del MONO in una riunione del settembre 1918, aveva consegnato al Narkompros “10 o 15 scuole di nessuna importanza” omettendo deliberatamente dalle liste di trasferimento “le principali scuole commerciali di Mosca”. Lunačarskij non esitò a definire questo comportamento “un sabotaggio da parte del Commissariato del commercio e dell’industria” ma le sue proteste rimasero in gran parte inascoltate. La battaglia per il controllo dell’istruzione tecnica non si combatteva però solo tra i corridoi del potere sovietico. Un fronte altrettanto cruciale era rappresentato dal personale delle scuole tecniche superiori, in particolare dai membri più attivi della ex Società tecnica russa che, come testimoniò Olga Anikst (nominata nel 1919 vicedirettrice della sezione per l’istruzione professionale del Narkompros), scatenarono una vera e propria campagna contro il trasferimento delle scuole sotto il controllo del commissariato dell’istruzione. Questi tecnici e ingegneri trovarono un alleato potente nel Vesencha (il Consiglio supremo dell’economia nazionale) che inizialmente aveva mostrato scarso interesse per le questioni educative ma che, sollecitato da un memorandum di un gruppo di specialisti, cominciò a vedere nell’istruzione tecnica un tassello fondamentale per la ricostruzione industriale del paese. Il compagno N.P. Gorbunov, capo del dipartimento scientifico-tecnico (NTO) del Vesencha, abbracciò con entusiasmo l’idea di creare un centro unico per l’istruzione professionale all’interno del Vesencha stesso, progetto che di fatto rappresentava una sfida diretta all’autorità del Narkompros. Sindacati, commissariati economici e personale delle scuole professionali condividevano un profondo scetticismo verso le capacità del Narkompros di gestire l’istruzione tecnica, accusando il commissariato di mancare completamente dell’esperienza necessaria e di perseguire una politica politecnica che minacciava l’esistenza stessa delle scuole specializzate. Queste preoccupazioni non erano del tutto infondate: il dipartimento scolastico del Narkompros portava avanti una linea chiaramente orientata all’abolizione delle scuole professionali inferiori, politica che non incontrava una significativa opposizione all’interno dello stesso presidium del commissariato. I numeri parlano chiaro, secondo un esponente sindacale, tra il 1918 e il 1921 furono chiuse e abolite oltre 200 scuole tecniche ben attrezzate mentre gli storici dell’educazione Hans e Hessen registrarono un crollo da 1.500 scuole professionali con 170.000 allievi nella Russia europea prebellica a soli 475 istituti con 33.259 studenti nel 1918-19. A peggiorare le cose, il trasferimento sotto il Narkompros spesso si traduceva in un sensibile peggioramento delle condizioni materiali delle scuole poiché tradizionalmente i ministeri tecnici avevano investito più risorse nelle loro istituzioni educative rispetto al ministero dell’istruzione. In questo panorama generale Pietrogrado rappresentava un’eccezione significativa. Qui il dipartimento locale dell’istruzione, sotto la guida di F.F. Su, aveva stabilito che nessuna scuola professionale o tecnica potesse essere riorganizzata secondo il modello della scuola unificata del lavoro senza l’esplicita approvazione del dipartimento per l’istruzione professionale e tecnica. Su, nel 1919, poteva quindi affermare con una certa soddisfazione che “non c’è da nutrire particolare preoccupazione per il destino delle istituzioni educative tecnico-professionali dell’oblast settentrionale”, una dichiarazione che suonava come una velata critica alla politica più radicale adottata a Mosca e in altre regioni. All’inizio del 1919, nel tentativo di trovare una mediazione tra queste opposte esigenze, il Narkompros istituì una sezione speciale per l’istruzione professionale. La composizione di questo organo era significativa: il presidente, F.V. Lengnik, era membro sia del Narkompros che della segreteria del Vesencha; la vicepresidente, Olga Anikst, rappresentava contemporaneamente il commissariato dell’istruzione e quello del commercio e dell’industria; tra i membri figuravano poi rappresentanti dei commissariati delle comunicazioni e dell’agricoltura, dei sindacati e, non a caso, F.F. Su in rappresentanza del dipartimento pietrogradese. Questa sezione, forte del sostegno delle istituzioni che rappresentava, iniziò a esercitare una pressione sempre più insistente sul presidium del Narkompros perché adottasse una politica più decisa a difesa e rafforzamento delle scuole tecniche. Le pressioni sul Narkompros raggiunsero il culmine quando cominciarono a circolare voci sulla possibile creazione di un Commissariato dell’istruzione tecnica completamente autonomo dal Narkompros e quando il presidium venne a sapere che “il presidium del VTsSPS [il Consiglio centrale panrusso dei sindacati] stava considerando la possibilità di costituire un Comitato per l’istruzione tecnica senza informare il Narkompros”. Alcune delle proposte avanzate dai sostenitori dell’istruzione tecnica non si limitavano a criticare la scarsa attenzione dedicata dal Narkompros alle scuole specializzate ma mettevano direttamente in discussione l’intera politica educativa del commissariato. Su, per esempio, elaborò un “piano generale per la creazione di una scuola tecnica unificata” che di fatto proponeva di sostituire completamente la scuola unificata del lavoro. Nel suo progetto solo le scuole elementari avrebbero mantenuto “un carattere educativo generale” mentre le scuole secondarie avrebbero dovuto prevedere “una divisione in studi specialistici” già dai primi anni e l’istruzione superiore si sarebbe ridotta essenzialmente alle “istituzioni educative tecniche superiori esistenti”, con la conseguente marginalizzazione delle facoltà universitarie non tecniche. Queste proposte, inizialmente considerate estreme, guadagnarono terreno man mano che la guerra civile aggravava la già disastrosa situazione economica del paese. La penuria di lavoratori specializzati diventò sempre più drammatica, convincendo molti dirigenti industriali e economici che l’istruzione politecnica propugnata dal Narkompros fosse un lusso che la Russia sovietica non poteva permettersi in quel momento storico. La necessità di formare rapidamente operai qualificati per far ripartire la produzione industriale divenne un’imperativa priorità nazionale che il modello della scuola unificata del lavoro, con il suo approccio olistico e il rifiuto della specializzazione precoce, sembrava incapace di soddisfare. Nonostante queste pressioni il Narkompros riuscì inizialmente a mantenere il controllo della situazione. Nel giugno 1919 il Sovnarkom emanò un decreto che rafforzava la posizione del commissariato dell’istruzione: la sezione per l’istruzione tecnica e professionale sarebbe stata guidata da un presidium di 11 membri, di cui 6 (incluso il presidente) rappresentanti del Narkompros, contro solo 2 del VTsSPS e uno rispettivamente per Vesencha, commissariato dell’agricoltura e commissariato delle comunicazioni. Il decreto ribadiva inoltre con forza che tutte le istituzioni educative tecniche dovevano essere trasferite sotto il controllo del Narkompros e che i vari commissariati avrebbero dovuto sciogliere i loro comitati per l’istruzione tecnica, salvo “casi eccezionali” da valutare singolarmente. Questa vittoria del Narkompros si rivelò però di breve durata. Alla fine del 1919, con la creazione della Commissione per la coscrizione del lavoro diretta da Trotskij, la situazione cambiò radicalmente. La commissione, istituita dal Sovnarkom il 27 dicembre con il compito di attuare una mobilitazione quasi militare della forza lavoro per far fronte al collasso industriale, rappresentava un concentrato di potere senza precedenti. Ne facevano parte, oltre a Trotskij (commissario alla guerra) nella veste di presidente, i commissari del lavoro, degli interni, degli approvvigionamenti, dell’agricoltura e delle comunicazioni, insieme ai presidenti del Vesencha e del VTsSPS. Significativamente il commissario dell’istruzione non era incluso tra i membri e il Narkompros non aveva alcuna rappresentanza ufficiale nella sottocommissione creata per occuparsi specificamente dell’istruzione professionale e per formulare “proposte pratiche immediate destinate ad assicurare la produzione di lavoratori qualificati”. Lengnik, pur non essendo un rappresentante ufficiale del Narkompros, partecipava ai lavori della sottocommissione in qualità di direttore della sezione per l’istruzione professionale del commissariato e teneva il presidium costantemente informato sulle discussioni in corso. Questi rapporti allarmarono non poco i dirigenti del Narkompros, poiché emergeva chiaramente che la sottocommissione intendeva sostanzialmente sottrarre il controllo dell’istruzione tecnica al commissariato dell’istruzione per distribuirne la gestione tra i vari commissariati interessati. Il presidium del Narkompros reagì approvando una risoluzione in cui condannava questa prospettiva come “una riproposizione di un ristretto professionalismo e settorialismo, cosa che il Narkompros giudica un grande passo indietro” e come un tentativo di “reinserire elementi deleteri dell’istruzione professionale caratteristici del vecchio regime”. Dopo questa ferma presa di posizione Lunačarskij riuscì a raggiungere un improvviso accordo con Trotskij, tanto da poter riferire al presidium che le tesi approvate dalla commissione erano “del tutto accettabili” per il Narkompros. Apparentemente Lunačarskij aveva accettato che l’istruzione professionale iniziasse già nelle ultime classi della scuola secondaria (dai 14 anni in su), in cambio della conferma che il controllo complessivo dell’istruzione tecnica e professionale sarebbe rimasto al commissariato dell’istruzione. Le tesi della commissione, pubblicate il 22 gennaio 1920 sulla Pravda, affermavano infatti che “misure per la formazione professionale della giovane generazione, a partire dall’età di 14 anni, devono essere prese su vasta scala in modo da assicurare la necessaria produzione di forza-lavoro qualificata” ma specificavano che questo sarebbe avvenuto “sotto la giurisdizione del Narkompros”, attraverso la creazione di un “organo sufficientemente forte e efficiente, nel quale siano presenti i rappresentanti di tutti i dipartimenti e delle istituzioni interessate”. Il progetto per questo nuovo “organo forte” fu elaborato da F.F. Su e, nella versione approvata dal presidium del Narkompros, prevedeva la trasformazione della sezione per l’istruzione professionale in un settore speciale del commissariato, direttamente sotto il controllo del commissario dell’istruzione. Questo settore avrebbe dovuto godere di “pieni poteri (polnomocie) come le organizzazioni militari e di sicurezza” e ricevere il massimo sostegno materiale da tutte le istituzioni della RSFSR. Il testo non nascondeva i toni marziali tipici della commissione di Trotskij, minacciando che individui e istituzioni che avessero rifiutato collaborazione “saranno puniti con tutta la severità della legge di un periodo militare-rivoluzionario”. Al nuovo organismo sarebbe stato assegnato un fondo speciale di un miliardo di rubli annui, oltre al normale budget, e sarebbe stata affiancata da un’assemblea permanente con rappresentanti di “tutti i dipartimenti interessati e i sindacati”. Sebbene il progetto non facesse esplicito riferimento all’età minima per l’inizio della formazione specialistica né alla possibilità di scuole tecniche sotto altri commissariati, in realtà il Narkompros aveva già accettato compromessi su entrambi i fronti. Lunačarskij informò il presidium che Lenin in persona “aveva dato disposizione al Narkompros di elaborare con urgenza le norme per l’apertura di scuole tecniche e professionali da parte di altre autorità”, una concessione significativa al principio dell’autonomia settoriale. Il progetto di Su fu formalizzato in un decreto del Sovnarkom pubblicato sull’Izvestija il 6 febbraio 1920 ma con importanti modifiche rispetto alla versione originale. Sparirono i riferimenti alle punizioni “con tutta la severità della legge di un periodo militare-rivoluzionario” e alla vaghezza dei “pieni poteri” propri delle “organizzazioni militari e di sicurezza”. Soprattutto il nuovo organismo non sarebbe stato un semplice “settore” del Narkompros perché assunse il nome più solenne di “Comitato nazionale per l’istruzione professionale e tecnica” (Glavprofobr), collocato sì all’interno della struttura del commissariato dell’istruzione ma con un grado di autonomia significativamente maggiore, inclusa la gestione di un proprio bilancio separato. Il commissario dell’istruzione ne sarebbe stato il presidente e il vicepresidente sarebbe stato nominato direttamente dal Sovnarkom ed entrato di diritto nel presidium del Narkompros, un dettaglio che lasciava intravedere possibili tensioni future. La composizione del presidium del Glavprofobr, annunciata il 12 febbraio, vedeva Lunačarskij come presidente, affiancato dal vicepresidente O. Ju. Schmidt, un giovane matematico di talento ed ex menscevico che in precedenza aveva servito nel presidium del Commissariato per gli approvvigionamenti. Gli altri membri erano F.V. Lengnik, Olga Anikst, B.G. Kozelev (rappresentante del VTsSPS) e A.I. Skvortsov. Schmidt, pur non avendo precedenti legami con i sostenitori dell’istruzione tecnica, si rivelò ben presto un convinto assertore delle loro posizioni mentre Kozelev portava nel presidium la voce esperta e determinata dei sindacati. F.F. Su, nonostante il suo ruolo chiave nella stesura del progetto, fu escluso dal presidium centrale e inviato a dirigere la sezione pietrogradese del comitato, una mossa che probabilmente rifletteva le tensioni tra Mosca e Pietrogrado e le divergenze tra Su e altri membri del Narkompros. Il compito del Glavprofobr, come delineato dalla commissione di Trotskij, era ambizioso: riformare su vasta scala il sistema della formazione professionale per rispondere all’urgente bisogno di lavoratori qualificati. Questo includeva sia la riorganizzazione dell’istruzione tecnica superiore sia l’introduzione della formazione professionale specializzata già nella scuola secondaria. Il comitato si trovò immediatamente di fronte a due ostacoli formidabili. In primo luogo la scuola secondaria rimaneva sotto il controllo del dipartimento della scuola unificata del lavoro del Narkompros, guidato da Ludmila Menžinskaja, che continuava a opporsi fermamente a qualsiasi forma di professionalizzazione precoce, trovando sostegno nella maggioranza del presidium del commissariato. In secondo luogo, lo stesso presidium del Glavprofobr era profondamente diviso al suo interno: Lunačarskij, nella sua veste di presidente, era personalmente contrario alla professionalizzazione mentre Schmidt e Kozelev ne erano ferventi sostenitori. La situazione si complicò ulteriormente quando, con lo scoppio della guerra con la Polonia nell’estate del 1920, il movimento per la coscrizione del lavoro perse gran parte del suo slancio iniziale. L’idea stessa della mobilitazione obbligatoria della forza lavoro, strettamente legata a Trotskij, venne progressivamente screditata dagli avversari politici del commissario alla guerra. Il Glavprofobr, pur continuando a godere di un certo sostegno da parte dei commissariati economici e dei sindacati, vide svanire la sua momentanea posizione di forza e con essa la possibilità di imporre cambiamenti radicali al sistema educativo. Parallelamente le forze contrarie alla professionalizzazione, cioè il Narkompros e i sostenitori della scuola unificata del lavoro, riguadagnarono terreno. Il dibattito sulla professionalizzazione della scuola secondaria infuriò per tutto il 1920, raggiungendo il suo apice in due occasioni particolarmente significative. Ad aprile, al III Congresso panrusso dei sindacati, Kozelev presentò una serie di tesi che proponevano di subordinare l’istruzione generale a quella tecnica, scatenando la veemente reazione della Krupskaja e di Ludmila Menžinskaja, inviate dal presidium del Narkompros per contrastare queste posizioni. La Krupskaja, con un discorso appassionato, sostenne che “l’istruzione professionale non deve bloccare l’uomo facendone fin da ragazzo uno specialista a senso unico, non deve restringere il suo orizzonte, ma deve aiutare sotto tutti gli aspetti il suo sviluppo complessivo”. Secondo la vedova di Lenin, la proposta di Kozelev peccava di miopia tecnocratica: “affronta i problemi dell’istruzione professionale con l’ottica del tecnico, che si interessa esclusivamente dell’industria e non si interessa affatto del lavoratore”. La critica più dura riguardava la visione riduttiva della formazione: “Il compagno Kozelev propone di porre in secondo piano l’istruzione generale e di dare assoluta priorità all’istruzione tecnico-professionale. Dimentica però che l’istruzione professionale e tecnica richiede ad ogni livello una certa preparazione generale degli studenti”. A giugno Schmidt e Lengnik tentarono invano di convincere il presidium del Narkompros a rivedere la politica della scuola unificata del lavoro ma la mozione fu respinta con 4 voti contro 2. In ottobre i sostenitori della professionalizzazione ottennero una significativa vittoria durante una riunione del consiglio del Glavprofobr, organo creato appositamente per definire “l’orientamento generale” della politica del comitato e coordinare l’attività degli organi governativi nel campo dell’istruzione professionale. La composizione di questo consiglio era tale da garantire la preminenza delle istanze economiche: su 23 membri, solo 5 rappresentavano il Narkompros, contro 8 del Vesencha e 10 dei sindacati. Lunačarskij, pur intervenendo con un discorso cauto e ambiguo sui pericoli di una professionalizzazione troppo spinta, non riuscì a evitare che l’assemblea si schierasse “completamente con il punto di vista del Glavprofobr, come espresso nelle tesi di O. Ju. Schmidt”, approvando una risoluzione che invitava il presidium del Narkompros a “riconsiderare la questione della scuola unificata del lavoro e ad inserire l’istruzione professionale nel sistema educativo generale”. Le posizioni del Glavprofobr ricevettero un ulteriore sostegno dall’Ucraina, dove Schmidt si recò in visita nello stesso periodo. Qui operava un Commissariato dell’istruzione indipendente sotto la guida di G.F. Grinko che nell’estate del 1920 aveva creato un proprio dipartimento per l’istruzione professionale ed era personalmente favorevole alla professionalizzazione sia della scuola secondaria che superiore. Nonostante questi successi parziali, alla fine del 1920 la situazione complessiva dell’istruzione professionale non era sostanzialmente diversa da quella dell’inizio dell’anno. Il Narkompros manteneva saldamente il controllo amministrativo sulla scuola secondaria, continuando a opporsi alla professionalizzazione precoce, mentre il Glavprofobr, pur avendo ottenuto importanti riconoscimenti formali, si trovava di fatto impossibilitato a realizzare il suo programma. Questa situazione di stallo rifletteva una divisione profonda che andava ben oltre le semplici questioni organizzative o le contingenze economiche del momento. Per il Narkompros e per i suoi dirigenti più impegnati, Lunačarskij, Krupskaja, Pokrovskij, la questione della professionalizzazione toccava i principi stessi su cui si fondava la loro visione dell’educazione socialista. Come dimostrarono le dimissioni di Lunačarskij nel 1929 (seguite, secondo alcune fonti, da analoghi gesti della Krupskaja e Pokrovskij), si trattava di una posta talmente alta da meritare persino l’abbandono delle proprie posizioni istituzionali. Il nocciolo del problema risiedeva nella convinzione che il partito comunista, avendo preso il potere in nome dei lavoratori, avesse il dovere morale e politico di fornire a questi ultimi e ai loro figli non solo le competenze tecniche necessarie per lavorare ma gli strumenti culturali per diventare pienamente padroni del proprio destino. Un semplice apprendistato professionale, per quanto efficace nel breve periodo, avrebbe prodotto al massimo operai specializzati ma non quella classe operaia colta e consapevole che sola poteva garantire la costruzione del socialismo. Come aveva dichiarato Lunačarskij nel suo primo discorso da commissario all’istruzione, “il popolo è assetato di istruzione” e compito del Narkompros era garantire che questa sete non venisse disattesa o, peggio, ingannata con surrogati tecnici privi di sostanza culturale. Nel 1920, in un testo particolarmente significativo, Lunačarskij riconosceva apertamente la tensione tra necessità economiche e ideali educativi: “Comprendiamo che l’economia russa in dissesto ha bisogno di specialisti, [ma] noi socialisti, che abbiamo difeso i diritti della personalità dei lavoratori contro gli elementi che sotto il capitalismo tendevano a soffocarli, non possiamo fare a meno di protestare quando vediamo che la nuova fabbrica comunista sta rivelando, in questi anni difficili, le stesse tendenze”. Per il commissario all’istruzione la contrapposizione tra i due approcci rifletteva una divisione più profonda all’interno dello stesso marxismo: “È dunque inevitabile che vi sia una sorta di lotta tra quei marxisti che comprendono tutte le difficoltà del momento, la necessità di impegnare tutte le nostre forze, di rinunciare momentaneamente ai nostri ideali per far fronte alle esigenze immediate e quei marxisti che, a dispetto di tutto, non sono disposti ad accettare che questi tempi difficili calpestino i fiori delle prime speranze del proletariato e della gioventù proletaria, la possibilità di uno sviluppo umano multiforme”. Queste parole, scritte nel pieno del dibattito sull’istruzione tecnica, catturano con rara efficacia il dramma di un’intera generazione di rivoluzionari costretti a confrontarsi con il divario tra ideali e realtà, tra le grandi promesse dell’Ottobre e le dure necessità della sopravvivenza quotidiana. La battaglia per l’anima della scuola sovietica, di cui il confronto tra scuola unificata del lavoro e istruzione professionale specialistica rappresentava solo un capitolo, era destinata a continuare ancora a lungo, lasciando in eredità questioni che, in forme diverse, avrebbero attraversato l’intera storia dell’Unione Sovietica. Un’altra questione centrale riguarda il rapporto tra il Narkompros e il mondo accademico russo nel periodo post-rivoluzionario. L’approccio del Commissariato del Popolo per l’Istruzione verso l’Accademia delle scienze e le università si sviluppò lungo linee profondamente divergenti, rivelando una duplicità di trattamento che rifletteva sia considerazioni pragmatiche sia differenze ideologiche fondamentali. Mentre con l’Accademia delle scienze il Narkompros mostrò un’insolita cautela e disponibilità al compromesso, arrivando a concessioni impensabili in altri ambiti, il suo rapporto con le università fu caratterizzato da un conflitto aperto e irrisolto, dove il desiderio di preservare forme di autonomia accademica si scontrava con la necessità di rompere radicalmente con il passato zarista e con l’opposizione politica dell’intelligentsija accademica. I primi contatti tra il Narkompros e l’Accademia delle scienze iniziarono già nel gennaio del 1918, in un momento particolarmente critico quando la maggior parte dell’intelligentsija russa rifiutava ancora qualsiasi collaborazione con il nuovo regime bolscevico. La figura chiave di questo dialogo fu il segretario permanente dell’Accademia, S.F. Oldenburg, un ex ministro dell’istruzione del governo provvisorio e membro di spicco del partito cadetto, che nonostante il suo passato politico si dimostrò disponibile a stabilire un canale di comunicazione con le autorità sovietiche. Le trattative presero avvio con una lettera di L.G. Sapiro del dipartimento scientifico del Narkompros che propose all’Accademia di assumere un ruolo guida nella mobilitazione delle forze scientifiche del paese, continuando il lavoro di indagine sulle risorse naturali iniziato durante la guerra e impegnandosi nello studio di questioni urgenti per la ricostruzione economica. La risposta dell’Accademia, elaborata da una commissione speciale presieduta dallo stesso Oldenburg e approvata il 20 febbraio 1918, fu caratterizzata da un atteggiamento di disponibilità di principio ma anche da significative riserve. Si dichiarava pronta a intraprendere ricerche scientifiche sui problemi posti dallo sviluppo nazionale e a fungere da centro organizzativo delle forze scientifiche del paese però l’Accademia rifiutava esplicitamente di impegnarsi su compiti specifici proposti dal governo, come sottolineò l’accademico Fersman nella sua nota aggiuntiva, sostenendo che questo esulava dalle sue competenze tradizionali. Il tono cerimonioso ma sostanzialmente distaccato della corrispondenza tra Karpinskij e Lunačarskij nella primavera del 1918 rifletteva la profonda diffidenza reciproca che caratterizzava questi primi scambi. Karpinskij, nella sua risposta del 24 marzo, non nascose un certo atteggiamento di sufficienza verso i nuovi governanti, esprimendo preoccupazione per quello che definiva il “pregiudizio antintellettuale delle masse” e la concezione “profondamente falsa del lavoro qualificato come privilegiato e antidemocratico”, auspicando che uomini illuminati come lo stesso Lunačarskij potessero contrastare queste tendenze. Allo stesso tempo il presidente dell’Accademia evitò accuratamente qualsiasi espressione di sostegno esplicito al governo sovietico, limitandosi a proporre aree concrete di collaborazione immediata come la ricerca mineraria, lo sfruttamento delle energie naturali e gli studi agricoli, in un memorandum allegato alla lettera e firmato da Oldenburg. Come notò lo storico sovietico I.S. Smirnov, l’Accademia dimostrò un entusiasmo molto minore rispetto a quello mostrato nei confronti del governo provvisorio nel 1917, quando aveva unanimemente deciso di mettere le sue conoscenze al servizio della nazione, rivelando che la collaborazione con i bolscevichi era dettata più da necessità pragmatiche che da reale convinzione politica. Nonostante queste premesse poco promettenti, il Narkompros scelse di interpretare la risposta dell’Accademia come un’aperta disponibilità alla collaborazione, spostando le trattative a un livello superiore tra Lunačarskij e Karpinskij. La lettera di Lunačarskij del 5 marzo, estremamente rispettosa nel tono, riconosceva esplicitamente il valore dell’autonomia della ricerca scientifica e arrivava a sostenere che “nelle difficili circostanze attuali, forse soltanto l’Accademia delle scienze, con la sua tradizione di ricerca pura e autonoma, può riuscire a superare tutte le difficoltà e a riunire le forze colte del paese” attorno al compito della ricostruzione nazionale. Questo approccio conciliante portò a un accordo formale nell’aprile 1918, quando Lunačarskij e Oldenburg si incontrarono a Mosca per definire i termini della collaborazione, che prevedeva il riconoscimento del ruolo centrale dell’Accademia nella ricerca scientifica applicata e la garanzia di finanziamenti statali per questo lavoro. L’Accademia dimostrò subito la sua intenzione di mantenere una certa indipendenza dal Narkompros, presentando il suo primo progetto di bilancio direttamente al Sovnarkom anziché attraverso il commissariato dell’istruzione, giustificando questa scelta con la necessità di preservare il diritto storico dell’Accademia di rivolgersi direttamente alle massime autorità statali, come aveva fatto fin dalla sua fondazione due secoli prima. La questione del controllo sulla ricerca scientifica divenne presto terreno di scontro tra il Narkompros e il Vesencha che attraverso il suo dipartimento tecnico-scientifico (NTO) stava emergendo come principale promotore della ricerca applicata. Lunačarskij espresse forte preoccupazione per questa situazione, sostenendo alla Commissione statale per l’istruzione che “sarebbe stato auspicabile che tutta la mobilitazione del lavoro scientifico passasse esclusivamente attraverso il Narkompros” e denunciando le “spese estremamente antieconomiche del Vesencha” che rischiavano di rivelarsi rovinose per lo Stato sovietico. Nonostante gli sforzi del commissariato, nei primi sei mesi del 1918 solo una frazione minoritaria dei fondi statali per la ricerca (meno di 3 milioni su 10 milioni di rubli) fu gestita dal Narkompros, con la maggior parte delle risorse che continuarono a fluire attraverso il Vesencha e altri commissariati. Come osservò M.M. Novikov, rettore dell’università di Mosca e membro della commissione scientifica del NTO, molti scienziati preferivano lavorare con il Vesencha piuttosto che con il Narkompros, sia per la maggiore libertà garantita sia per la più generosa disponibilità di fondi, in una situazione in cui “proprio nel momento in cui il Narkompros iniziava ad esercitare il suo pesante controllo sulla scuola, il Vesencha offriva alle istituzioni scientifiche una relativa autonomia”. Il rapporto privilegiato tra Narkompros e Accademia delle scienze subì una prova significativa quando il dipartimento scientifico del commissariato elaborò un piano per la riorganizzazione dell’Accademia in una più ampia “Associazione delle scienze” che avrebbe assorbito altre istituzioni scientifiche e che prevedeva addirittura la demolizione della sede storica dell’Accademia per costruire una “città accademica modello”. Questo progetto, attribuito a Pokrovskij, Sapiro e Sternberg, trovò però la ferma opposizione sia di Lunačarskij sia dello stesso Lenin che mise in guardia il commissario contro qualsiasi “aggressione” all’Accademia, avvertendolo che “se qualche elemento focoso dovesse entrare all’Accademia come un elefante in un negozio di porcellane, i danni che dovrete pagare saranno molto salati”. Grazie a questa protezione di alto livello l’Accademia riuscì a sfuggire a qualsiasi riforma sostanziale e a mantenere la sua autonomia fino alla fine degli anni ’20, diventando un’eccezione significativa nel panorama generale della politica culturale bolscevica. La situazione era radicalmente diversa nel caso delle università, dove il Narkompros si trovò di fronte a una resistenza organizzata e politicamente motivata da parte del corpo accademico, particolarmente forte nell’università di Mosca. Qui il mondo accademico, dominato da professori liberali molti dei quali erano stati membri autorevoli del partito cadetto, oppose un rifiuto categorico a qualsiasi forma di collaborazione con il nuovo regime. Come ricordò amaramente Lunačarskij, entrare nelle aule universitarie era un’esperienza sconfortante: “Vedere le facce dei giovani studenti indifferenti, distratte, chiuse, ostili, pronte a contrarsi in smorfie di indignazione, e avere la sensazione che la giovane Russia era contro di noi, che non avevamo radici”. L’ostilità non si limitava all’atteggiamento passivo ma si traduceva in azioni concrete di boicottaggio contro i pochi professori simpatizzanti con i bolscevichi come l’astronomo Sternberg e il biologo Timirjazev, che venivano sistematicamente emarginati dai colleghi. Gli studenti, nella loro maggioranza, condividevano pienamente questa opposizione, creando un clima di aperta ostilità verso qualsiasi tentativo di riforma. Di fronte a questa resistenza il Narkompros elaborò nel 1918 un piano di riforma radicale dell’università che rifletteva la visione rivoluzionaria dei suoi dirigenti, in particolare di Pokrovskij, il quale nutriva un profondo disprezzo per il mondo accademico tradizionale, considerato un covo di reazionari e di accademici improduttivi. Il progetto, presentato da Lunačarskij, Pokrovskij, Sternberg e Reisner a un’assemblea sull’università tenutasi a Mosca nel luglio 1918, prevedeva una serie di misure drastiche: la divisione dell’università in tre settori indipendenti (ricerca, insegnamento universitario e istruzione popolare); l’elezione dei professori ogni sette anni senza requisiti di titoli accademici; l’ammissione libera degli studenti senza esami o titoli di studio; l’abolizione delle lauree e soprattutto la creazione di un “soviet popolare” con poteri di supervisione sull’ateneo, composto da rappresentanti delle organizzazioni locali, dei partiti politici, dei sindacati e delle cooperative, oltre che dalle autorità educative. Per i sostenitori della riforma, come Pokrovskij, questo sistema avrebbe finalmente costretto i professori a dimostrare il loro valore scientifico, impedendo loro di “dormire tranquillamente sugli allori di una tesi di laurea scritta vent’anni fa”. L’assemblea di luglio respinse con forza le proposte più radicali, in particolare la divisione in tre settori e la creazione del soviet popolare, ma accettò di istituire una commissione mista (composta da rappresentanti del Narkompros, professori, studenti e personale amministrativo) per riesaminare il piano. Il lavoro della commissione portò a un parziale accordo su alcuni punti, come il principio dell’accesso libero all’università (pur con la facoltà per i singoli corsi di limitare le iscrizioni e l’accesso ai laboratori) ma si concluse con la stesura di due progetti separati e contrapposti, uno del gruppo del Narkompros e uno dei professori, che furono distribuiti a tutte le università russe in preparazione di una nuova assemblea prevista per settembre. Tra i pochi accademici che sostennero apertamente il piano del Narkompros vi fu il biologo Timirjazev che difese l’idea del soviet popolare citando l’esempio svizzero del controllo cantonale sulle università e criticando apertamente il concetto di “autonomia universitaria” quando diventava sinonimo di autarchia e resistenza al cambiamento. Prima dell’assemblea di settembre il Sovnarkom emanò un decreto che sanciva il principio dell’accesso libero all’università “a qualsiasi persona, senza riguardo di cittadinanza o sesso, che abbia compiuto il sedicesimo anno di età”, abolendo tasse, esami di ammissione e qualsiasi requisito di titolo di studio. La misura ebbe un impatto immediato: all’università di Mosca, che aveva ricevuto 2.632 domande di iscrizione prima del decreto, ne arrivarono altre 5.892, per la maggior parte da persone senza diploma secondario, con un’affluenza particolarmente massiccia verso le facoltà di medicina e di matematica e fisica. Come osservò il professor Reisner, però, a rispondere all’appello non furono tanto le “masse proletarie” quanto piuttosto “l’intelligentsija”, in particolare piccoli impiegati statali che vedevano nell’università una possibilità di avanzamento sociale. L’assemblea di settembre si rivelò ancora più ostile al Narkompros di quella di luglio, con Pokrovskij che denunciò un “sabotaggio sistematico” delle proposte governative e una “chiara volontà di rendere moralmente impossibile” qualsiasi riforma. Di fronte a questo muro di opposizione il Narkompros dovette abbandonare l’idea di una riforma organica e passare a una strategia di cambiamenti graduali attraverso decreti specifici. Tra l’autunno del 1918 e il 1920 il Narkompros cercò di imporre la sua autorità sulle università attraverso una serie di misure sempre più drastiche. Nell’ottobre 1918 due decreti del Sovnarkom dichiararono vacanti tutte le cattedre occupate da più di dieci anni dallo stesso professore (obbligando a nuove elezioni) e conferirono agli assistenti lo status e il titolo di professori, nella speranza di favorire il ricambio generazionale. I risultati furono deludenti. Come ammise lo stesso Pokrovskij, “queste speranze si realizzarono in misura minima. Gli assistenti non ebbero l’ardire di mettersi contro i grandi accademici e i ‘signori delle cattedre’ rimasero quasi tutti ai loro posti”. A Mosca, su novantanove professori sottoposti a rielezione, solo pochissimi non furono riconfermati, tra cui il comunista Sternberg e Timirjazev, che ottenne la riconferma “con una ristrettissima maggioranza”. Contemporaneamente il Narkompros procedette alla chiusura delle facoltà più ostili (diritto e storia) sostituendole con una Facoltà di scienze sociali che divenne terreno di scontro tra le nomine politiche del commissariato (come Bucharin e Steklov) e i professori tradizionali, in un clima di tensione crescente che raggiunse il culmine durante l’avanzata di Denikin su Mosca, quando molti esitavano a iscriversi a una facoltà considerata “sediziosa” dal punto di vista controrivoluzionario. La creazione delle “facoltà operaie” (rabfaki) nel febbraio 1919 rappresentò un tentativo di aggirare la resistenza dell’università tradizionale creando un canale alternativo di accesso all’istruzione superiore per i lavoratori. Il primo rabfak, aperto all’Istituto commerciale Zamoskvoretskij, offriva inizialmente corsi di contabilità, fisica, geografia economica e diritto commerciale ma dovette presto introdurre insegnamenti più elementari (lingua russa, aritmetica, scienze naturali) per colmare le lacune di preparazione degli studenti. L’8 ottobre 1919 fu istituito un rabfak anche all’università di Mosca, dove gli studenti lavoratori dovettero affrontare un clima di ostilità e disprezzo da parte dei professori e degli studenti tradizionali. Come ricordò A.Ja. Vysinskij, allora insegnante nel rabfak, ai nuovi arrivati venivano negati persino i mezzi più elementari per studiare: “Non si riuscivano a trovare per gli studenti del rabfak aule, tavoli, banchi, lampadine elettriche, gesso per le lavagne”. In risposta a queste difficoltà, il soviet dei rabfaki sviluppò una visione radicale che vedeva queste istituzioni come il nucleo di una futura università proletaria destinata a sostituire completamente l’ateneo tradizionale, arrivando a proporre l’esclusione totale degli studenti borghesi e l’obbligo del passaggio attraverso il rabfak per accedere all’istruzione superiore. La svolta autoritaria nella politica universitaria si verificò nel 1920 con l’introduzione della “coscrizione scolastica” che trasformava gli studenti in dipendenti statali soggetti a disciplina militare e con la riorganizzazione dell’amministrazione accademica. Il decreto del Sovnarkom del 9 giugno, elaborato da una commissione del Glavprofobr presieduta da O.Ju. Schmidt, stabiliva che l’insegnamento doveva corrispondere ai bisogni immediati dello Stato, riduceva la durata dei corsi a tre anni, introduceva ampi periodi di lavoro pratico in fabbrica e sottoponeva gli studenti a sanzioni per scarso rendimento o assenteismo. In agosto furono “mobilitate” le facoltà di medicina, con il richiamo obbligatorio degli ex studenti ancora non laureati, e in settembre la coscrizione fu estesa ai rabfaki. Parallelamente il Narkompros annunciò una radicale riforma dell’amministrazione universitaria: il 29 settembre 1920 Pokrovskij firmò la dichiarazione che istituiva un “presidium temporaneo” all’università di Mosca, sostituendo il tradizionale consiglio accademico con un organo in cui il Narkompros aveva una forte rappresentanza e il cui presidente (di fatto il nuovo rettore) era nominato dal commissariato e dotato di ampi poteri, compreso quello di veto sulle decisioni delle facoltà. La nomina di D.P. Bogolepov (ironicamente omonimo del ministro dell’istruzione zarista) a rettore nell’autunno del 1920 segnò il culmine di questa offensiva autoritaria che rivelò anche i limiti del controllo governativo. Nonostante i poteri formali del presidium, l’università continuò a funzionare secondo le sue logiche tradizionali. Le facoltà più conservatrici (matematica e fisica, filologia e in parte medicina) ignoravano le direttive del nuovo organo, continuavano a tenere elezioni per le cattedre e a conferire lauree non riconosciute ufficialmente. Lo stesso Bogolepov, cercando di rafforzare la sua autorità creando un “presidium ristretto” di sole tre persone, provocò una tale ondata di proteste da dover rapidamente fare marcia indietro. Alla fine del 1920 il Narkompros si trovò così nella paradossale situazione di aver formalmente abolito l’autonomia universitaria senza però riuscire a imporre un effettivo controllo. Questa evoluzione fu sintetizzata nella nuova concezione dell’università che il Narkompros elaborò alla fine del 1920, dove i rabfaki diventavano la base obbligatoria per l’accesso a un’istruzione superiore divisa in due settori: scuole per la formazione massiccia di specialisti della costruzione sovietica (corrispondenti ai vari commissariati) e istituti per la preparazione di ricercatori e docenti universitari. Il sogno iniziale di un’istruzione superiore libera e democratica si era così dissolto di fronte alla dura realtà del conflitto con il mondo accademico tradizionale e alle pressanti esigenze della ricostruzione nazionale, lasciando spazio a un sistema sempre più burocratizzato e funzionale alle necessità immediate del regime, dove l’autonomia accademica sopravviveva solo come forma di resistenza passiva piuttosto che come principio organizzativo. La contraddizione tra questi due modelli, e l’incapacità del Narkompros di risolverla in modo soddisfacente, avrebbe segnato per decenni lo sviluppo dell’istruzione superiore sovietica.

3. La riorganizzazione

Il 24 novembre 1920 il Politburo del Comitato centrale del partito bolscevico istituì una commissione con il compito di elaborare un piano per la riorganizzazione del Narkompros. Anatolij Lunačarskij era formalmente incluso in questa commissione ma di fatto non partecipò ai suoi lavori. La figura dominante all’interno del gruppo era invece Evgenij Litkens, sostenuto dal suo principale alleato, V.I. Solovëv. Già il 26 novembre Litkens presentò a Lenin un progetto di riorganizzazione basato in parte sul lavoro di una precedente commissione interna al Narkompros, di cui egli stesso aveva fatto parte. Il piano di Litkens prevedeva una radicale ristrutturazione del commissariato, suddividendolo in tre amministrazioni centrali, denominate anche “comitati generali”. La prima avrebbe dovuto occuparsi dell’istruzione tecnica e superiore, la seconda del settore scolastico e la terza dell’educazione politica. Per garantire l’unità politica Litkens propose la creazione di un “centro accademico” incaricato di coordinare tutta l’attività teorica, scientifica ed estetica del Narkompros. Parallelamente un “centro organizzativo” avrebbe dovuto assicurare l’unità amministrativa, occupandosi delle forniture, dei finanziamenti e dei collegamenti tra i diversi settori. Litkens sottolineava con forza la necessità di trasformare il Narkompros in un organismo unico, dotato di una direzione coerente e di una volontà politica unitaria. Gli strumenti esecutivi di questa riorganizzazione sarebbero state le tre amministrazioni principali: il Glavprofobr (per l’istruzione professionale e superiore), il Glavsotsvos (per l’educazione sociale e politecnica) e il Glavpolitprosvet (per l’educazione politica). Il progetto di Litkens rappresentava una rottura significativa rispetto alla struttura esistente del Narkompros. Esso non prevedeva, ad esempio, un settore autonomo per le arti che invece avrebbero dovuto essere integrate nell’ambito del Glavpolitprosvet. Inoltre alcune funzioni precedentemente svolte dal presidium del commissariato sarebbero state trasferite al “centro accademico”, un organismo privo di poteri esecutivi. Il Glavprofobr, riorganizzato, avrebbe assorbito il dipartimento delle scuole superiori mentre il concetto di “scuola unificata del lavoro” sarebbe stato abbandonato in favore di un sistema che prevedeva un’istruzione politecnica fino ai quindici anni. Litkens era consapevole che la rigida separazione tra potere politico e potere esecutivo avrebbe potuto suscitare critiche però riteneva che questa fosse l’unica via per garantire efficienza e coerenza all’azione del commissariato. Le reazioni al progetto furono immediate e fortemente negative. Nadežda Krupskaja lo definì “del tutto inaccettabile”, sostenendo che si trattava di uno schema astratto, incapace di tener conto della realtà concreta del Narkompros. Anche Lenin espresse forti riserve, criticando il piano in due occasioni distinte, una volta quando gli fu presentato da Litkens e una seconda quando Solovëv lo ripropose praticamente identico. In una lettera a Lunačarskij, Lenin definì i progetti di Litkens e Solovëv “artificiosi”, respingendo gran parte delle loro proposte. L’unico elemento che approvò pienamente fu la creazione del “centro organizzativo” che tuttavia preferì chiamare “settore organizzativo”. Al contrario, rigettò l’idea del “centro accademico”, proponendo invece di ricostituire il GUS (Consiglio accademico statale), un organismo che avrebbe incluso i membri del presidium del Narkompros e i migliori specialisti, anche se di estrazione borghese. Lenin avanzò inoltre una controproposta per la suddivisione del commissariato che prevedeva cinque settori distinti: attività prescolastica, scuola elementare, scuola secondaria (che avrebbe incorporato il Glavprofobr), attività extrascolastiche (con il Glavpolitprosvet) e arti. Contrariamente a Litkens, che avrebbe voluto abolire il settore artistico, Lenin insistette per mantenerlo, a patto che vi fossero inseriti politici comunisti in posizioni chiave. Una divergenza fondamentale tra i due progetti riguardava l’approccio all’istruzione. Mentre Litkens proponeva un’impostazione fortemente tecnocratica, con le università poste sotto il controllo del Glavprofobr e una precoce professionalizzazione degli studi, Lenin difendeva il principio dell’istruzione politecnica, opponendosi a una riduzione dell’insegnamento generale a favore di una formazione strettamente professionale. Egli sostenne che la scuola secondaria avrebbe dovuto potenziare l’insegnamento politecnico e delle materie di cultura generale, anche se, in un secondo momento, ammise la necessità di introdurre misure temporanee di professionalizzazione a causa della grave situazione economica del paese. Un altro punto di attrito fu la proposta di creare la carica di pomnarkom (aggiunto del commissario del popolo), una figura con poteri amministrativi superiori a quelli dello stesso commissario. Questa idea, che sembra essere emersa come compromesso tra Lenin, intenzionato a mantenere Lunačarskij alla guida del Narkompros, e la maggioranza del Comitato centrale, che invece ne chiedeva la rimozione, avrebbe di fatto subordinato Lunačarskij a Litkens in tutte le questioni organizzative. L’8 dicembre il plenum del Comitato centrale, pur senza approvare definitivamente il progetto di Litkens, raccomandò la sua nomina a pomnarkom. Il Sovnarkom si oppose fermamente, ritenendo la proposta incostituzionale. Il 31 gennaio 1921 Litkens fu nominato secondo vicecommissario, una posizione con poteri più limitati.

Nel frattempo, tra il 31 dicembre 1920 e il 4 gennaio 1921, si tenne una conferenza del partito sull’istruzione, dominata dai sostenitori dell’istruzione tecnica, in particolare dai rappresentanti dei sindacati e del Narkompros ucraino. La conferenza approvò sostanzialmente il progetto di Litkens, nonostante l’opposizione di Lenin e dei sostenitori del politecnicismo. Due questioni rimasero controverse: il ruolo del pomnarkom e il futuro del settore artistico. La conferenza decise di nominare un secondo vicecommissario anziché un pomnarkom e di subordinare l’attività artistica al Glavpolitprosvet, anziché mantenerla come settore autonomo. Lenin reagì con irritazione agli esiti della conferenza, soprattutto dopo che la Pravda pubblicò per errore le direttive del Comitato centrale trasformando “istruzione politecnica” in “istruzione politica”. In una lettera pubblicata il 9 febbraio criticò aspramente la conferenza per aver messo in discussione un principio già sancito nel programma del partito. Difese inoltre Lunačarskij e Pokrovskij, sottolineando che gli altri funzionari del Narkompros dovevano concentrarsi sull’amministrazione, non su speculazioni teoriche.

Nonostante gli sforzi di Litkens la riorganizzazione del Narkompros si rivelò un fallimento. Le resistenze interne, la mancanza di personale qualificato e le continue interferenze politiche resero impossibile attuare il piano. La commissione Larin, istituita nell’ottobre 1921 per ridurre il personale statale, smantellò gran parte della struttura proposta da Litkens, abolendo il Centro accademico e riducendo drasticamente il bilancio. Litkens, già indebolito, si ammalò e fu assassinato in Crimea nell’aprile 1922 da banditi. Alla fine il Narkompros rimase un’istituzione inefficiente, incapace di riformarsi radicalmente a causa delle sue complesse dinamiche interne e delle pressioni esterne. L’idea che una migliore amministrazione potesse risolvere i suoi problemi si rivelò un’illusione, dimostrando quanto fosse difficile applicare modelli razionali in un contesto di crisi politica ed economica. La vicenda della riorganizzazione del Narkompros rappresentò così un emblematico fallimento dei tentativi di modernizzazione burocratica nel primo periodo sovietico, segnato da contrasti ideologici, carenze organizzative e una permanente instabilità istituzionale. Il periodo successivo alla riorganizzazione del Narkompros rappresentò una fase cruciale e tumultuosa per il sistema educativo sovietico, caratterizzata da profondi contrasti ideologici e da un acceso dibattito sul futuro della scuola nel nuovo Stato socialista. La conferenza del partito sull’istruzione, svoltasi tra il 31 dicembre 1920 e il 4 gennaio 1921, si rivelò un momento decisivo in questo processo, segnando una svolta significativa nelle politiche educative del giovane Stato sovietico. Sebbene formalmente non vi fosse stato un esplicito ripudio del principio della scuola unificata del lavoro, l’assenza di qualsiasi riferimento a questo modello durante i lavori della conferenza e il silenzio degli oratori su questo tema fondamentale rappresentavano di per sé un chiaro segnale di cambiamento. La situazione divenne ancora più evidente con le immediate dimissioni di Ludmila Menžinskaja dalla carica di capo del dipartimento della scuola unificata del lavoro, un gesto che simboleggiava la crisi profonda che attraversava il progetto educativo rivoluzionario. Nello stesso giorno in cui si concludeva la conferenza, il 4 gennaio 1921, la Pravda pubblicò un articolo particolarmente critico di N. Baturin dal titolo “Il futurismo pedagogico e i compiti della scuola sovietica” che rappresentava una sistematica messa in discussione dell’intera politica scolastica del Narkompros. Baturin sosteneva con forza che i due anni di esperienza concreta avevano dimostrato in modo inequivocabile l’impossibilità di realizzare il passaggio dalla vecchia scuola alla scuola del lavoro ideale, individuando come principale causa di questo fallimento le circostanze eccezionali create dal periodo di violenta guerra civile e, soprattutto, la totale mancanza di un corpo docente preparato a tradurre in pratica i principi della scuola del lavoro. Le sue critiche si concentravano particolarmente sui programmi di insegnamento elaborati dal Narkompros che accusava di essere permeati da un idealismo populista del tutto estraneo alle reali esigenze del paese. Un esempio lampante di questa deriva, secondo Baturin, era rappresentato dal programma di scienze naturali recentemente formulato che invece di fornire una solida base scientifica si limitava a instillare un generico “amore per la natura”, un approccio che definiva tipico della piccola borghesia provinciale e completamente estraneo alla mentalità scientifica necessaria per lo sviluppo della grande industria. Con l’attuazione della riorganizzazione del Narkompros voluta da Litkens il dipartimento della scuola unificata del lavoro, ora ribattezzato Glavsotsvos, si trovò in una posizione sempre più marginale e debole all’interno della struttura del commissariato. Le dimissioni di Menžinskaja crearono un vuoto di leadership che si protrasse per diversi mesi, durante i quali Lenin e Krupskaja si trovarono a dover difendere quasi da soli il principio politecnico contro gli attacchi sempre più aggressivi provenienti dal Glavprofobr, guidato da O. Ju. Schmidt, e dalle potenti organizzazioni sindacali. La situazione raggiunse un punto critico nel febbraio 1921, quando Schmidt tenne un discorso particolarmente controverso durante una riunione di insegnanti di scuola elementare e secondaria. Mentre Schmidt sostenne in seguito di essersi limitato a parlare della trasformazione delle due classi superiori della scuola secondaria in corsi tecnici, in linea con le decisioni del Comitato centrale e della conferenza del partito, Ja. D. Linnik, rappresentante del dipartimento dell’istruzione della gubernija di Mosca, lo accusò sulla Pravda di aver dichiarato senza mezzi termini il “completo fallimento della scuola politecnica in Russia” e di aver sostenuto che lo stesso principio dell’istruzione politecnica si era ormai screditato. Il resoconto di Linnik forniva un quadro particolarmente vivido del clima di confusione e disorientamento che regnava tra gli insegnanti, riportando fedelmente i commenti scambiati tra i partecipanti alla riunione in attesa dell’arrivo di Schmidt che giunse con un’ora di ritardo. Gli insegnanti si interrogavano con preoccupazione sulla possibile trasformazione delle loro scuole in istituti tecnici, esprimendo perplessità sulla fattibilità pratica di tale operazione e manifestando una sostanziale ignoranza riguardo alle nuove direttive governative. Particolarmente significativo era il dialogo tra due insegnanti che confessavano apertamente la loro incapacità di comprendere cosa fosse esattamente una “scuola tecnica socio-economica”, ammettendo di non essere al corrente degli ultimi sviluppi nel campo dell’istruzione e lamentando la mancanza di informazioni chiare e di occasioni di confronto con le autorità competenti.

Di fronte a questa situazione esplosiva il presidium del Narkompros si riunì a porte chiuse per esaminare i gravi problemi sollevati dall’articolo di Linnik. La questione centrale da risolvere era stabilire se Schmidt avesse effettivamente violato la linea ufficiale del partito e del Narkompros. La riunione rivelò una profonda spaccatura all’interno del presidium: da un lato Lunačarskij, Pokrovskij e Z.G. Grinberg si schierarono decisamente contro le posizioni espresse da Schmidt, dall’altro lo stesso Schmidt trovò il sostegno di Litkens e dei tre rappresentanti sindacali che erano stati recentemente inseriti nel presidium su raccomandazione della conferenza del partito. In assenza della Krupskaja e senza alcun rappresentante del Glavsotsvos, la linea tecnicistica ottenne la maggioranza e il presidium concluse che le affermazioni attribuite a Schmidt erano state distorte e che non vi erano state violazioni della linea ufficiale. Nelle conclusioni della riunione venne inoltre sottolineato con una certa amarezza che la redazione della Pravda avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione alla pubblicazione sistematica di articoli critici nei confronti del Narkompros, evitando di diffondere materiale non adeguatamente verificato e bilanciando tali interventi con la pubblicazione dei documenti ufficiali forniti dallo stesso commissariato. Schmidt, su mandato del presidium, preparò una replica a Linnik che fu pubblicata sulla Pravda il 21 febbraio. Data la posizione assunta da Lenin, che dopo il discorso di Schmidt alla riunione degli insegnanti aveva definito “del tutto inammissibili per un comunista” le posizioni antipolitecniche, Schmidt cercò con ogni mezzo di evitare di essere identificato con tali posizioni. Nel suo articolo spiegò con cura di non avere alcuna intenzione di confutare il principio politecnico in sé, limitandosi a sostenere che il suo discorso si era concentrato esclusivamente sul problema pratico della trasformazione delle due classi superiori della scuola secondaria in corsi tecnici. In realtà, sostenne Schmidt, il suo intervento aveva semplicemente messo in luce come il principio politecnico e del lavoro, perfettamente valido sul piano teorico, fosse stato gravemente distorto nella pratica concreta. Secondo la sua analisi il principio del lavoro, che nella sua forma più autentica faceva parte integrante del programma del partito, aveva finito per attirare nel Narkompros soprattutto idealisti tolstoiani e pedagoghi anarchici, trasformando quello che doveva essere un mezzo per la conquista della natura e l’accrescimento del potere umano in un fine a se stesso, in un principio etico svuotato del suo reale significato rivoluzionario. Concludendo la sua replica, Schmidt non esitò a definire “una fantasia malevola e calunniosa” la versione del suo discorso fornita da Linnik. La Krupskaja entrò nella polemica con un articolo pubblicato sulla Pravda il 23 febbraio, in cui sostenne con forza la veridicità delle affermazioni attribuite a Linnik riguardo alle posizioni antipolitecniche di Schmidt. Pur non avendo partecipato personalmente alla riunione degli insegnanti la Krupskaja affermò senza mezzi termini che Schmidt aveva espresso opinioni simili in numerose altre occasioni. La sua critica alla replica di Schmidt fu particolarmente dura, accusandolo di voler mantenere la scuola politecnica del lavoro come semplice ornamento del programma del partito mentre nella pratica concreta ne proponeva la soppressione. Per la Krupskaja questa rappresentava una concezione del tutto distorta del ruolo del programma del partito che non poteva essere ridotto a una mera dichiarazione di principio slegata dalla realtà concreta. Schmidt aveva cercato di giustificare le sue posizioni facendo riferimento alle decisioni della conferenza del partito sull’istruzione ma la Krupskaja replicò citando le Direttive della commissione diretta da Lenin che avevano confermato il programma del partito nella parte concernente l’istruzione, limitandosi a ridurre temporaneamente da nove a sette anni la durata della scuola politecnica del lavoro a causa delle precarie condizioni economiche del paese. Con un’osservazione particolarmente significativa la Krupskaja aggiunse che questa risoluzione aveva in realtà un’importanza relativa, dato che l’istruzione secondaria obbligatoria di fatto non esisteva ancora e che il vero problema da affrontare era piuttosto quello di creare una scuola obbligatoria di sette anni. L’intervento della Krupskaja conteneva anche una serie di puntuali osservazioni sulla mancanza di prospettiva storica e internazionale dimostrata da Schmidt che sosteneva la necessità di produrre nel più breve tempo possibile i tecnici di cui l’economia nazionale aveva bisogno mentre la Krupskaja ribatteva che l’interesse reale dell’economia nazionale richiedeva invece il maggior numero possibile di persone realmente capaci e il minor numero possibile di sedicenti specialisti privi di qualsiasi capacità di iniziativa. Con un tono particolarmente sarcastico, osservava che se Schmidt avesse dedicato anche solo un minimo di attenzione allo studio della storia della scuola del lavoro avrebbe saputo che questa si era dimostrata in grado di elevare le capacità generali di lavoro degli allievi, al punto che i maggiori paesi industriali avevano cominciato a competere tra loro proprio su questo terreno. Ma evidentemente, concludeva amaramente la Krupskaja, queste erano questioni che non interessavano minimamente a Schmidt. La polemica raggiunse il suo culmine quando la Krupskaja mise in discussione la stessa fattibilità pratica delle scuole tecniche proposte da Schmidt. Attraverso un ragionamento stringente, osservò che se la scuola del lavoro non era riuscita a organizzare un lavoro pratico efficace nelle fabbriche e a ottenere le attrezzature necessarie, non si vedeva come le scuole tecniche avrebbero potuto riuscire dove la scuola politecnica aveva fallito. “Le scuole che saranno chiamate tecniche e che saranno poste sotto il controllo di O. Schmidt”, scriveva la Krupskaja, “si scontreranno esattamente con gli stessi ostacoli con cui si sono scontrate le scuole politecniche”. Questa osservazione coglieva nel segno, mettendo in luce come il problema fondamentale non risiedesse nella natura politecnica o tecnica della scuola ma nelle oggettive difficoltà materiali che entrambi i modelli dovevano affrontare. Fin dai primi anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre il Narkompros si trovò impegnato anche in una complessa battaglia per il controllo delle politiche assistenziali rivolte all’infanzia, un campo che divenne terreno di scontro tra diverse visioni pedagogiche e competenze istituzionali. La questione dell’assistenza ai ragazzi rappresentò infatti un banco di prova fondamentale per il nuovo Stato sovietico mettendo in luce le tensioni tra l’idealismo rivoluzionario e le concrete difficoltà organizzative, tra le aspirazioni pedagogiche e le esigenze del controllo sociale. Il Narkompros rivendicò con determinazione la giurisdizione su tutte le istituzioni dedicate all’infanzia, dai nidi d’infanzia ai giardini per l’infanzia, dalle case per ragazzi (detskie doma) all’educazione speciale per bambini handicappati e delinquenti, fino alla fornitura di cibo e vestiario per i ragazzi in età scolastica. Questa pretesa entrò inevitabilmente in collisione con le competenze di altri commissariati, in particolare con il Commissariato per la sicurezza sociale che aveva ereditato la gestione degli orfanotrofi dal vecchio ministero zarista dell’assistenza. Per il Narkompros il concetto stesso di orfanotrofio era inaccettabile, carico com’era di connotazioni caritative e assistenzialiste tipiche del vecchio regime. Al contrario, le nuove case per ragazzi dovevano rappresentare vere e proprie istituzioni educative alternative alla scuola tradizionale, in grado di sottrarre i ragazzi all’influenza borghese delle famiglie e di abituarli fin da piccoli alla vita comunitaria. Lunačarskij, dopo aver visitato personalmente le colonie per ragazzi gestite dal Commissariato per la sicurezza sociale nel distretto di Smolensk, sostenne con forza che “l’intero personale e tutti i ragazzi senza eccezione desiderano passare al dipartimento dell’istruzione”. Le sue critiche si concentravano in particolare sul vecchio personale assistenziale, considerato inadeguato alla nuova missione pedagogica: “Non bisogna sopravvalutare le capacità del vecchio personale ‘assistenziale’ […] È fuori di dubbio che le persone che oggi lavorano presso il Narkompros sono di un livello incomparabilmente superiore”. Questo scontro tra commissariati si risolse nel 1919 con una vittoria del Narkompros, quando il Sovnarkom decise di trasferire l’amministrazione delle case per ragazzi al commissariato dell’istruzione. Si trattò di una delle poche battaglie amministrative in cui il Narkompros si trovò di fronte a un avversario di forza pari o addirittura inferiore ma la vittoria non fu priva di conseguenze. Anna Elizarova, sorella di Lenin e capo del dipartimento per l’assistenza ai ragazzi nel Commissariato per la sicurezza sociale, accettò a malincuore di trasferirsi al Narkompros, portando con sé un atteggiamento di diffidenza che avrebbe caratterizzato i successivi rapporti tra i due organismi. La visione pedagogica del Narkompros trovò la sua espressione più radicale nel concetto di “comune dei ragazzi”, elaborato all’inizio del 1919. Queste comuni, dotate di scuole proprie, centri ricreativi e laboratori, autogestite dagli stessi ragazzi, rappresentavano per il Narkompros un modello di distruzione dell’istituzione della famiglia borghese. Come affermava un documento ufficiale del 1919: “Le comuni dei ragazzi devono essere lo strumento per la distruzione dell’istituzione della famiglia borghese. Organizzando la vita su basi comuniste, esse non solo preparano i futuri cittadini comunisti, ma […] costituiscono i centri vitali del comunismo, che stimolano e garantiscono la costruzione della società su nuove basi”. Tra queste nobili aspirazioni e la realtà concreta si apriva un abisso incolmabile. Nonostante i ragazzi avessero formalmente la priorità nell’assegnazione delle razioni e numerosi decreti garantissero loro cibo e vestiario senza limitazioni, i risultati pratici erano disastrosi. Le richieste del Narkompros si scontravano sistematicamente con l’impossibilità dei commissariati economici di soddisfarle. I dati del 1920 sono particolarmente eloquenti, su 9.298.725 paia di scarpe richieste ne furono promesse solo 550.000 e consegnate appena 250.000 mentre per le calze la situazione fu ancora più grottesca perché su 5.632.000 paia richieste non ne fu consegnato neppure un paio. Gli agenti del Narkompros inviati nelle province per verificare l’effettiva distribuzione delle razioni potevano fare ben poco più che esercitare una presenza simbolica, come ammesso con amarezza in un rapporto ufficiale: “Il fatto stesso della presenza di questi agenti nelle province richiama l’attenzione delle autorità responsabili dell’approvvigionamento sulla condizione dei ragazzi e dunque ottiene un miglioramento delle razioni alimentari e delle altre forniture”. Il Consiglio per la difesa dei ragazzi, organo del Narkompros responsabile delle forniture, si dimostrò completamente inadeguato di fronte all’immensità dei compiti assegnatigli, ottenendo scarsi risultati pratici nonostante alcuni successi simbolici, come il recupero di un gruppo di ragazzi di una colonia di Pietrogrado che, secondo le fonti ufficiali, erano stati “rapiti” in Siberia dalla Croce Rossa americana. Sul piano politico il Consiglio elaborò una linea particolarmente illuminata verso la delinquenza giovanile, arrivando a negare l’esistenza stessa del concetto di “delinquenza minorile”: “Noi non crediamo all’esistenza della delinquenza giovanile. Noi conosciamo soltanto ragazzi malati, sviati da un ambiente e da un’educazione sbagliati”. Questa visione trovò espressione nel decreto del Sovnarkom “Sui minorenni accusati di atti socialmente pericolosi” del 1920 che proibiva il processo e l’imprigionamento dei minori di diciotto anni, destinandoli invece a scuole di recupero gestite dal Narkompros. Purtroppo questa politica avanzata sul piano teorico coincise con un’esplosione senza precedenti di delinquenza e vagabondaggio minorile nel periodo post-rivoluzionario, creando una frattura insanabile tra le belle intenzioni del centro e la dura realtà locale. Le stesse case per ragazzi divennero spesso focolai di indisciplina e delinquenza, con casi che coinvolgevano persino la scuola sperimentale dell’Istituto per istruttori scolastici di lavoro manuale di Mosca, seguita personalmente dai membri del presidium del Narkompros. Lo scrittore H.G. Wells, visitando la Russia nel settembre 1920, osservò acutamente che “molti uomini e molte donne politicamente sospetti o apertamente scontenti della situazione politica esistente ma al tempo stesso desiderosi di servire la Russia hanno trovato in questi posti un lavoro che possono svolgere con piena tranquillità di coscienza”. La situazione raggiunse livelli drammatici quando A.D. Kalinina, funzionaria del Narkompros, durante un viaggio ispettivo nelle regioni sud-orientali della Russia europea scoprì che le autorità locali avevano creato una sorta di cordone sanitario nel Caucaso e nella regione del Don, al di là del quale orde di ragazzi affamati e spesso armati terrorizzavano la popolazione. Questo rapporto allarmante portò a una riorganizzazione del Consiglio per la difesa dei ragazzi sul modello ucraino, trasformandolo in un organismo intercompartimentale che avrebbe dovuto coordinare i lavori dei commissariati dell’istruzione, della sanità, degli approvvigionamenti, del lavoro e dell’ispezione operaia (Rabkrin) sotto l’egida del VTsIK, con Kalinin come presidente e Lunačarskij come vice. Prima che questo progetto potesse realizzarsi intervenne inaspettatamente Feliks Dzeržinskij, il temibile capo della Ceka, con una proposta shock: creare una commissione speciale sotto il controllo del VTsIK, da lui personalmente diretta e supportata dall’apparato della Ceka, per affrontare l’emergenza del vagabondaggio minorile. La descrizione che Lunačarskij fece del loro colloquio è particolarmente rivelatrice. Inizialmente perplesso sul perché il capo della polizia politica volesse discutere con lui, rimase sbalordito quando Dzeržinskij, con gli occhi accesi da quella “luce febbrile di eccitazione vitale” a lui caratteristica, propose di impegnare le energie della Ceka nel salvataggio dei ragazzi affamati, paragonando la situazione a bambini che stavano annegando e che necessitavano di un intervento immediato e massiccio di tutta la società sovietica. “Ho intenzione di impegnare parte delle mie energie personali e, cosa più importante, delle energie della Ceka, nella lotta contro il vagabondaggio dei ragazzi”, dichiarò Dzeržinskij a un Lunačarskij senza parole, aggiungendo: “Su questa questione dobbiamo precipitarci a prestar soccorso, come se vedessimo dei ragazzi che annegano. Il Narkompros da solo non ha forze sufficienti. È necessario che l’aiuto venga da tutta la società sovietica”. Nonostante le riserve di Lunačarskij la proposta di Dzeržinskij fu approvata e nel febbraio 1921 nacque la Commissione per il miglioramento delle condizioni di vita dei ragazzi, con Dzeržinskij presidente e Kornev della Ceka come vice. L’annuncio suscitò scalpore e preoccupazione negli ambienti pedagogici, al punto che lo stesso giornale del Narkompros si sentì in dovere di rassicurare i lettori che “il fatto che la questione sia stata affidata personalmente al capo della Ceka ha creato un certo panico negli ambienti pedagogici, ed è stato necessario stabilire esattamente quali metodi intendeva seguire la commissione nei suoi rapporti con le istituzioni per ragazzi”. Lo scambio di articoli tra Lunačarskij e Vetoškin del Rabkrin sulle Izvestija rivelò le tensioni latenti. Lunačarskij insisteva che il compito della commissione doveva essere di supporto piuttosto che di repressione (“Il problema non è quello di terrorizzare gli insegnanti agitando lo spauracchio di una nuova piaga d’Egitto […] ma quello di offrire loro un aiuto concreto”), Vetoškin sottolineò l’importanza di utilizzare l’autorità del VTsIK e l’efficienza dell’apparato della Ceka senza però menzionare il ruolo dirigente del Narkompros. Le istruzioni operative di Dzeržinskij alla Ceka mescolavano in modo ambiguo aiuti concreti e metodi repressivi, prevedendo sia la verifica delle condizioni dei ragazzi e il rispetto dei decreti sulle forniture, sia la denuncia al Tribunale rivoluzionario per abusi e maltrattamenti. Nonostante le rassicurazioni formali sul trattamento dei minori (“nella Russia sovietica non è consentito né il processo né l’imprigionamento dei ragazzi”), la GPU (successore della Ceka dal 1921) mantenne di fatto una rete parallela di case per ragazzi delinquenti che operò per tutti gli anni ’20 accanto a quelle del Narkompros. I rapporti tra Narkompros e la commissione di Dzeržinskij rimasero tesi, con il commissariato che dimostrò scarso interesse a partecipare attivamente ai lavori, cambiando più volte il suo rappresentante in modo apparentemente casuale, prima Z.G. Grinberg del Centro organizzativo, poi V.A. Nevskij del Glavsotsvos, infine un oscuro funzionario del Centro organizzativo. La situazione peggiorò con la carestia del Volga del 1921, quando Lunačarskij tentò un colpo di mano per sostituire la commissione di Dzeržinskij con un nuovo organismo sotto il controllo del Narkompros, approfittando della creazione della Commissione di aiuto alle popolazioni affamate del VTsIK. Nonostante un iniziale successo (il 21 luglio 1921 il presidium del Narkompros approvò la proposta di Lunačarskij di creare una sottocommissione speciale per l’aiuto ai ragazzi colpiti dalla carestia), la manovra fallì nel giro di pochi giorni, con la decisione di lavorare invece attraverso la commissione esistente e la cooptazione di Kornev nella nuova struttura.

I successivi tentativi di evacuazione dei ragazzi dalle zone colpite dalla carestia, compreso un ambizioso progetto di trasferimento in Cecoslovacchia attraverso la Croce Rossa (prima 600, poi 1.000 ragazzi), si rivelarono fallimentari mentre Mosca si riempiva di ragazzi senza tetto che né il Narkompros né la GPU riuscivano a gestire. Le denunce di Lunačarskij sull’indottrinamento controrivoluzionario dei ragazzi sovietici da parte degli emigrati russi in Cecoslovacchia (“I nostri ragazzi vengono istruiti dai seguaci di Vrangel”, titolò sull’Izvestija del 2 febbraio 1922) portarono nell’autunno 1922 al rimpatrio forzato di molti minori, un’operazione resa necessaria, secondo le memorie della vedova di Dzeržinskij, dal fatto che molti stavano già tornando da soli. L’ultimo tentativo di sciogliere la commissione di Dzeržinskij nel marzo 1922, su proposta di Leplevskij del Malyj Sovnarkom, fallì grazie alla veemente protesta dello stesso Dzeržinskij che in una lettera a Kalinin difese con successo l’operato della sua struttura: “Protesto nel modo più deciso contro tale decisione, e ritengo che nessun altro organismo sia in grado di fornire ai ragazzi l’aiuto che finora ha fornito loro la commissione del VTsIK”. Negli anni seguenti il Narkompros rimase quindi confinato a un ruolo secondario nel campo dell’assistenza ai ragazzi, subordinato all’apparato repressivo della GPU, in una contraddizione stridente tra gli ideali pedagogici rivoluzionari e la dura realtà del potere sovietico.

4. Gli effetti della NEP

Prima della Grande Guerra e della Rivoluzione d’Ottobre il sistema educativo dell’Impero russo presentava una struttura finanziaria articolata che rifletteva la complessa organizzazione amministrativa del paese. Le istituzioni scolastiche erano sostenute attraverso un delicato equilibrio tra risorse locali e centrali, con le università e gli istituti superiori interamente finanziati dal Ministero dell’Istruzione Pubblica mentre le scuole elementari dipendevano principalmente dagli zemstvo (organi di autogoverno locale) e dalle amministrazioni municipali, particolarmente nelle grandi città come Pietroburgo, dove oltre il cinquanta percento della spesa per l’istruzione proveniva da fonti locali. Questo sistema, che aveva conosciuto una significativa espansione negli anni precedenti il conflitto mondiale, si basava su un apparato fiscale locale relativamente efficiente e su una certa stabilità economica, condizioni che la guerra e la successiva rivoluzione avrebbero radicalmente compromesso. Con l’instaurazione del potere bolscevico e la creazione del Narkompros si tentò inizialmente di mantenere questa tradizionale suddivisione di competenze tra centro e periferia. La Dichiarazione sull’organizzazione dell’istruzione nella repubblica russa, diffusa nel giugno 1918, ribadiva infatti la distinzione tra bisogni “locali” (scuole elementari e professionali inferiori) e “generali” (ginnasi, scuole tecniche e superiori). Questa impostazione si scontrò ben presto con la realtà post-rivoluzionaria: il collasso dell’apparato amministrativo zarista, la disorganizzazione del sistema fiscale e le drammatiche condizioni economiche resero impossibile qualsiasi forma di coordinamento efficace tra il centro e le province. Già nei primi mesi del 1919 il Presidium del Narkompros dovette ammettere la propria incapacità di pagare gli stipendi arretrati agli insegnanti, riconoscendo che né il commissariato centrale né i dipartimenti locali disponevano di dati attendibili sull’ammontare complessivo dei debiti accumulati. Le comunicazioni tra Mosca e le province erano estremamente problematiche, infatti su trentacinque assegnazioni di crediti inviate ai dipartimenti dell’istruzione locale all’inizio del 1919, solo ventinove ricevettero risposta e di queste appena cinque giunsero via telegramma mentre le altre arrivarono con considerevole ritardo attraverso il servizio postale ordinario, già gravemente compromesso dalle condizioni del paese. In questo contesto di estrema difficoltà molte amministrazioni locali furono costrette a sviluppare soluzioni autonome per mantenere in funzione il sistema scolastico. A Voronež il soviet locale riuscì a moltiplicare per otto la spesa per l’istruzione rispetto al periodo precedente la rivoluzione mentre a Nižnij Novgorod quasi un milione di rubli su un bilancio complessivo di 8,5 milioni fu destinato alle scuole, a fronte dei soli 910.000 rubli ricevuti dal centro per tutti i settori amministrativi. Questi sforzi erano inevitabilmente disomogenei e dipendevano interamente dalla capacità fiscale di ogni singola regione, lasciando vaste aree del paese, in particolare quelle rurali, in condizioni disastrose. La situazione si aggravò ulteriormente con il progredire della guerra civile tra il 1919 e il 1920, quando la crescente centralizzazione delle risorse e il collasso dell’economia monetaria trasformarono radicalmente il sistema di finanziamento dell’istruzione. I dipartimenti scolastici divennero sempre più dipendenti dalle razioni di generi alimentari, combustibile, vestiario e attrezzature distribuite dal governo centrale ma il controllo su queste risorse vitali era saldamente nelle mani del Commissariato per gli Approvvigionamenti e non del Narkompros che si trovò così in una posizione di permanente subalternità, costretto a condurre una battaglia quotidiana per ottenere quanto necessario al mantenimento delle scuole. Il sistema delle “učreždenija udarnoj neobchodimosti” (istituzioni di urgente necessità) che garantiva priorità nell’accesso alle risorse ai settori considerati strategici fu applicato solo temporaneamente e in misura limitata al Glavprofobr (Direzione per l’istruzione professionale) e al Glavpolitprosvet (Direzione per l’educazione politica) mentre le scuole ordinarie rimasero costantemente escluse da questo circuito privilegiato. Come osservò amareggiato Litkens, la mancanza di peso politico ed economico del commissariato si traduceva in uno svantaggio sistematico nella competizione per l’accesso alle risorse, condannando l’istruzione a un ruolo marginale nelle priorità del governo rivoluzionario. Le difficoltà principali che il Narkompros dovette affrontare durante gli anni della guerra civile non derivavano tuttavia soltanto da questo squilibrio di potere tra commissariati ma erano strettamente connesse alla generale crisi del paese e alla progressiva sostituzione dell’economia monetaria con forme primitive di baratto tra gli stessi organi governativi che rendevano particolarmente difficile la gestione di servizi complessi come l’istruzione. Con la fine della guerra civile nel 1920 le speranze di una ripresa del sistema educativo si scontrarono ben presto con la realtà della Nuova Politica Economica (NEP), introdotta nella primavera del 1921. Lunačarskij aveva pubblicamente denunciato come la quota del bilancio statale destinata all’istruzione durante il conflitto si fosse ridotta a un misero 3%, “senza dubbio uno scandalo per una nazione civile” disse, confidando in un significativo aumento delle risorse con il ritorno alla pace. La NEP, inizialmente concepita come misura temporanea per stimolare la produzione agricola attraverso la sostituzione delle requisizioni con un’imposta in natura, si trasformò invece in una radicale riforma economica che impose una drastica riduzione della spesa pubblica e il trasferimento di molte responsabilità alle autorità locali. Per il Narkompros questo si tradusse in un ulteriore peggioramento della già precaria situazione finanziaria: la quota del bilancio statale destinata all’istruzione scese al 2,2% nel 1921 e a un apparente 2,9% nel 1922, con valori effettivi probabilmente ancora più bassi considerando le difficoltà di effettiva erogazione dei fondi. Il principio dell’autosufficienza economica (chozrasčët) imposto dalla NEP a molte istituzioni statali coinvolse pienamente anche il Narkompros. Il Gosizdat (casa editrice di Stato), il Foto-Kino e alcuni teatri furono costretti ad adottare questo sistema mentre altre istituzioni culturali, incapaci di autofinanziarsi, furono affidate a gestioni private o semplicemente chiuse. L’editoria privata, pur tollerata con numerose limitazioni, riprese timidamente la propria attività e si concentrò principalmente su pubblicazioni commerciali (raccolte poetiche, riviste di intrattenimento) piuttosto che su testi educativi o scientifici, deludendo le aspettative di quanti nel Narkompros avevano sperato in una collaborazione costruttiva con il settore privato per la diffusione della cultura. Nel teatro la fine dei sussidi statali provocò una crisi senza precedenti. Il Bol’šoj, massimo simbolo della tradizione culturale russa, rischiò la chiusura nel 1921 per decisione della commissione Larin, incaricata di razionalizzare la spesa pubblica, e fu salvato solo grazie all’intervento personale di Lunačarskij mentre altre istituzioni come i teatri del Proletkult furono costrette a chiudere o a passare a gestioni private, con conseguenze spesso disastrose per la qualità artistica delle produzioni. Il settore più gravemente colpito dalla NEP fu però senza dubbio quello scolastico. Già nell’estate del 1921, con il crollo dei finanziamenti statali, migliaia di scuole in tutto il paese furono costrette a chiudere o a ricorrere a forme improvvisate di autofinanziamento, comprese tasse informali imposte alle famiglie degli studenti. Il decreto del Sovnarkom del 15 settembre 1921 tentò di regolarizzare questa situazione introducendo il sistema dell’autotassazione locale (samooobloženie), una tassa in natura destinata a finanziare scuole e insegnanti a livello di volost’ (distretto rurale). Questo provvedimento si rivelò largamente inefficace nelle aree urbane, dove mancava un apparato amministrativo in grado di gestire la riscossione, e fu apertamente osteggiato da molti soviet locali, a cominciare da quello di Mosca, che lo consideravano una copertura per reintrodurre le tasse scolastiche sotto altro nome. Boguslavskij, rappresentante del soviet moscovita, denunciò sulle pagine della Pravda come nelle riunioni per l’autotassazione fossero spesso i cosiddetti “mercanti rossi” (nuovi borghesi arricchitisi con la NEP) a dettare le condizioni, imponendo contributi che di fatto escludevano i figli delle famiglie operaie dall’accesso all’istruzione. Tra il 1921 e il 1923 il bilancio del Narkompros subì un crollo verticale, passando dal 6,6% al 2,9% della spesa statale complessiva. Il numero degli insegnanti stipendiati dallo Stato diminuì drasticamente da 513.000 a meno di 200.000 unità e migliaia di scuole in tutto il paese furono costrette a chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il definitivo abbandono del principio dell’istruzione gratuita fu sancito dal X Congresso dei Soviet nel dicembre 1922 che legalizzò l’introduzione delle tasse scolastiche a tutti i livelli del sistema educativo. Nonostante gli strenui sforzi di Lunačarskij e della Krupskaja per difendere l’autonomia delle scuole e garantire l’accesso universale all’istruzione, il Narkompros perse progressivamente ogni reale capacità di incidere sulla politica educativa del paese. La crisi del sistema scolastico sotto la NEP rifletteva un paradosso più ampio. L’economia mostrava i primi timidi segni di ripresa però i servizi pubblici fondamentali come l’istruzione subivano un tracollo senza precedenti. Come scrisse amaramente Lunačarskij nel 1922, “la NEP ha completamente distrutto quelle realizzazioni” culturali che la rivoluzione aveva faticosamente costruito negli anni precedenti. Senza il sostegno di Lenin, ormai gravemente malato e sempre più marginalizzato dalla vita politica, anche le ultime resistenze caddero. Già nell’estate del 1921 la combinazione della carestia e del collasso finanziario aveva ridotto le scuole a una condizione disperata, al punto che sembrava impossibile un ulteriore peggioramento, anche se in realtà la situazione era destinata a precipitare ancora. Il Narkompros si trovò paralizzato dall’incapacità cronica di pagare gli stipendi agli insegnanti, un ritardo che di fatto equivaleva alla sospensione dei finanziamenti statali alle scuole. In molte regioni la sopravvivenza delle istituzioni scolastiche dipendeva unicamente dagli sforzi delle comunità locali che ricorrevano a misure improvvisate come l’autotassazione spontanea nei villaggi. In altre zone, come la Crimea, i dipartimenti dell’istruzione furono costretti a cedere le scuole a privati, imponendo tasse scolastiche e contribuzioni obbligatorie ai genitori. In alcune aree gli insegnanti, ridotti alla fame, furono costretti a mendicare per sopravvivere. Litkens osservò con amarezza che nelle campagne gli insegnanti erano ormai economicamente dipendenti dai kulaki, i contadini più abbienti, una situazione che minava l’autonomia del sistema educativo e ne stravolgeva i principi egualitari. La crisi raggiunse il culmine quando il Narkompros iniziò a ricevere richieste sempre più pressanti dalle province, dove la situazione era ormai insostenibile. Un telegramma proveniente da Kursk, che descriveva la disperazione degli insegnanti e proponeva una tassa volontaria sulla popolazione locale per finanziare le scuole, fu l’evento che spinse il presidium del Narkompros a intervenire. Il 4 luglio 1921, dopo aver discusso la questione, il presidium decise di convocare una riunione urgente con i dirigenti dei dipartimenti locali dell’istruzione. L’incontro, svoltosi il 14 e 15 luglio, concluse che era indispensabile reperire fondi locali per integrare i finanziamenti statali ma con due condizioni fondamentali: l’istruzione doveva rimanere gratuita e accessibile a tutte le classi sociali e il controllo del sistema scolastico doveva restare nelle mani dello Stato. Si propose di coinvolgere la piccola borghesia, che grazie alla NEP stava accumulando una certa ricchezza, nel sostegno finanziario all’istruzione pubblica ma si stabilì che questo appoggio non avrebbe dovuto tradursi in alcuna forma di influenza privata sui contenuti educativi.

Le conclusioni della riunione furono presentate al presidium del Narkompros che le approvò senza particolari opposizioni. Una commissione composta da Litkens, Nevskij e Isaev fu incaricata di redigere il testo definitivo delle risoluzioni che furono poi inviate al Sovnarkom. Il 15 settembre 1921, dopo essere state approvate anche da altri commissariati e dal VTsSPS, le misure furono formalizzate in un decreto ufficiale intitolato “Sulle misure intese a migliorare il finanziamento delle scuole e delle altre istituzioni educative”. Questo decreto, che rappresentava l’applicazione della NEP al settore dell’istruzione, non fu imposto dall’alto né concepito come una riforma sistematica. Esso nacque piuttosto come risposta alle pressioni provenienti dalle province, dove i dipartimenti dell’istruzione, soprattutto nelle zone rurali, avevano già sperimentato soluzioni analoghe in forma spontanea. Il punto centrale del decreto era l’introduzione dell’autotassazione locale (samoooblozhenie), una tassa destinata al mantenimento delle scuole. L’unità territoriale scelta per la riscossione fu la volost’, un distretto rurale, perché un’area più ampia avrebbe trasformato la tassa in un’imposta statale mentre un’area più piccola avrebbe reso gli insegnanti economicamente dipendenti dai singoli villaggi e, di conseguenza, dai contadini più ricchi. L’autotassazione consisteva in contributi in natura: generi alimentari per gli insegnanti, legna da ardere per il riscaldamento delle scuole e lavoro volontario per la manutenzione degli edifici. Il decreto non specificava come la tassa dovesse essere riscossa, lasciando spazio a interpretazioni e abusi. Il Narkompros cercò di mantenere il controllo sul processo, evitando che fosse gestito dal Commissariato per gli Approvvigionamenti ma senza fornire linee guida precise fino alla fine di ottobre. Nelle città, dove l’autotassazione in natura era impraticabile, si optò per una tassa in denaro anche se il sistema per riscuoterla era ancora indefinito. Il decreto istituì inoltre i soviet economico-scolastici, organi locali incaricati di organizzare contributi volontari e autotassazioni tra i genitori degli studenti. Questa misura rischiava di reintrodurre de facto le tasse scolastiche, minacciando il principio della scuola gratuita. Lunačarskij ribadì più volte che l’istruzione doveva rimanere accessibile a tutti però la realtà era che lo Stato non poteva più garantire il finanziamento delle scuole. Il decreto incontrò forti resistenze all’interno del governo e del partito. Zinovjev lo criticò aspramente, definendolo un’introduzione di “principi commerciali” nell’istruzione, e il soviet di Pietrogrado si rifiutò di applicarlo. Anche Kamenev espresse riserve, e il soviet di Mosca, seguendo la sua linea, respinse il decreto come una capitolazione di fronte alle pressioni economiche. Il Narkompros ucraino e il Partito Comunista dell’Ucraina lo giudicarono un indebolimento del controllo centrale sull’istruzione. Lenin, tuttavia, sostenne il provvedimento, firmandolo in qualità di presidente del Sovnarkom. Pur riconoscendo i rischi di abusi, Lenin considerava l’autotassazione una misura necessaria per alleviare la miseria degli insegnanti e garantire la sopravvivenza delle scuole. Nonostante le intenzioni l’autotassazione si rivelò inefficace, soprattutto nelle città, dove si trasformò rapidamente in tasse scolastiche di fatto. Già all’inizio di ottobre 1921, Lunačarskij denunciò sull’Izvestija casi di scuole che imponevano tasse di ammissione elevate, escludendo chi non poteva pagare. In alcune regioni, come Kursk e la Crimea, le tasse erano così alte da costringere molti studenti ad abbandonare gli studi. Il Narkompros cercò di contrastare il fenomeno con minacce di sanzioni e procedimenti penali ma senza successo. Il soviet di Mosca, in particolare, rifiutò apertamente il decreto, sostenendo che l’autotassazione era solo una maschera per reintrodurre le tasse scolastiche e che avvantaggiava i “mercanti rossi”. La situazione finanziaria del Narkompros peggiorò ulteriormente nel 1922. Nonostante le promesse di aumentare il bilancio per l’istruzione, la percentuale destinata al commissariato fu drasticamente ridotta, passando dal 6,6% al 2,9% del bilancio statale. Il numero degli insegnanti stipendiati dallo Stato diminuì in modo drammatico, e molte scuole furono costrette a chiudere. Tra il 1921 e il 1923, il numero delle scuole elementari in Russia crollò da 76.000 a 49.000, con un calo corrispondente degli alunni. Lunačarskij, pur riconoscendo la necessità di ridurre il peso dello Stato nell’istruzione, ammise con amarezza che le finanze locali erano una “palude” in cui le scuole rischiavano di affondare. Di fronte al collasso del sistema scolastico il Narkompros fu costretto a rivedere le sue posizioni. Già nel febbraio 1922 Lunačarskij ammise la necessità di introdurre tasse scolastiche nelle scuole secondarie e superiori, pur mantenendo gratuita l’istruzione elementare. Entro la fine dell’anno anche questo principio fu abbandonato e le tasse furono estese a tutti i livelli dell’istruzione, con esenzioni per le famiglie più povere. Il X Congresso dei Soviet, nel dicembre 1922, sanzionò ufficialmente questa svolta, pur ribadendo l’opposizione alle scuole private e il mantenimento del controllo statale sull’istruzione. Questa decisione segnò la sconfitta degli ideali educativi del Narkompros che aveva promosso un’istruzione gratuita, obbligatoria e politecnica. Nonostante le sconfitte il commissariato riuscì a mantenere una certa autonomia nel campo delle arti e della ricerca scientifica, resistendo alle pressioni per un controllo ideologico totale. Alla fine del 1922 Lunačarskijj riconobbe che la NEP aveva distrutto molte delle realizzazioni culturali del Narkompros ma continuò a difendere l’importanza di un’istruzione accessibile a tutti, anche in un contesto di crescente austerità economica. La guerra civile e la crisi finanziaria avevano reso impossibile sostenere il sistema educativo senza compromessi e il Narkompros, nonostante gli sforzi, fu costretto ad adattarsi a una realtà sempre più difficile.

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