- Introduzione
Il libro di Craig Gent Cyberboss. The rise of algorithmic management and the new struggle for control at work parte da una constatazione: il futuro del lavoro sembra prospettare uno scenario in cui si lavora di più, pagati poco e con meno protezioni e meno sicurezza. Le nuove tecnologie, invece di rendere il lavoro più facile e gratificante, sembrano togliere potere ai lavoratori tramite l’automazione, l’informatica e l’intelligenza artificiale. Questo mondo del lavoro povero sembra avere un legame con la proliferazione delle tecnologie computazionali o algoritmiche e con la loro applicazione al mondo del lavoro. Questo ci deve spingere a ragionare sul futuro del lavoro. Occorre riflettere criticamente sulle nuove tecnologie. Esse saranno benefiche o dannose per i lavoratori? Alcune di queste tecnologie sono dannose non per come vengono usate ma per come sono state progettate? Sono alcune questioni che possono essere affrontate tornando alla cara e vecchia analisi del laboratorio marxiano della produzione. L’archetipo del posto di lavoro moderno è il magazzino di Amazon. Si tratta di strutture con scarse tutele occupazionali, carichi di lavoro elevati e tecnologia avanzata che creano posti di lavoro ad alto turnover e un altissimo tributo in termini di esaurimento mentale e fisico. Condizioni di lavoro simili non sono circoscritte ad Amazon ma si estendono anche a tutta la cosiddetta gig economy in cui spadroneggiano le imprese del capitalismo delle piattaforme che vanno dal trasporto, come nel caso di Uber e Lyft, alla consegna del cibo, pensiamo solamente ai rider di Deliveroo. Ad unire tutte queste imprese è una tecnologia condivisa che Gent chiama gestione algoritmica. Si tratta di un’idea semplice ma con grandi implicazioni che è stata resa possibile dall’enorme potenza di calcolo ora a disposizione delle imprese più ricche. Il termine gestione algoritmica va associato ad un modo specifico di organizzare il lavoro in cui i lavoratori sono diretti, monitorati, tracciati e valutati, tutto in una volta, in tempo reale tramite un sistema informatico e senza fare affidamento su un manager umano per il controllo. Questa è al momento l’applicazione dell’automazione al lavoro, ovvero invece che portare ad una completa sostituzione dei lavoratori avviene un tentativo di automatizzazione dei sistemi decisionali. Al momento non è all’ordine la piena automazione delle fabbriche o dei magazzini per il semplice fatto che i lavoratori umani sono più economici, più affidabili e più facili da sostituire dei costosi robot. Quindi l’operaio non è banalmente sostituito da un computer perché lo scenario che abbiamo davanti ci dice altro. Nelle fabbriche di Industria 4.0, nel rider che consegna il nostro cibo a domicilio o nel magazzino di Amazon troviamo un lavoratore sempre più gestito dai computer perché soggetto ad algoritmi, codici computazionali o regole che una volta eseguiti convertono i dati in decisioni. Esattamente come la calcolatrice, un particolare tipo di macchina informatica, è in grado di superare l’aritmetica mentale, gli algoritmi riescono a fare cose impossibili per le persone. Riescono ad attingere ad una vasta gamma di informazioni per poi decidere e agire in tempo reale, monitorare e misurare con un alto grado di accuratezza. Tutti i dati raccolti in questo modo, oppure tramite il lavoro costante e l’interazione con gli utenti, sono archiviati e utilizzabili in situazioni future. A livello industriale possono interagire con un’ampia gamma di tecnologie modulari, specialmente quelle per il tracciamento, collegare azioni fisiche a registrazioni digitali, mediare tra diversi tipi di informazioni ed effettuare calcoli di efficienza basati su molte variabili. Per qualsiasi essere umano un lavoro simile sarebbe molto complesso e richiederebbe molto tempo qualore fosse possibile. Per un sistema informatico è qualcosa di rapido e facilmente ripetibile. Infine, i calcoli prodotti da un computer sembrano ad un primo sguardo obiettivi e dotati del dono dell’infallibilità che nell’ambito della gestione algoritmica si traduce nella subordinazione del lavoratore alle decisioni algoritmiche per poter rispettare degli standard definiti come oggettivi e stabiliti dall’analisi algoritmica.
Parlare di lavoratori e algoritmi fa emergere due questioni. La prima è quella del potere mentre la seconda è quella della cibernetica. Questo termine è usato per discutere di studi e concettualizzazioni dei sistemi di comunicazione e controllo. Uno dei principi più importanti della cibernetica è l’idea del ciclo di feedback, ovvero un circuito o un processo in cui un output viene reinviato ad un sistema come input con l’intento, in genere, di correggere oppure ottimizzare quel sistema. In questo lavoro Gent utilizza la cibernetica per parlare di cicli di feedback utili per controllare o guidare un sistema complesso come un posto di lavoro. Quindi il nostro punto di partenza è il seguente: i lavoratori sono gestiti dai computer invece di essere sostituiti da essi e queste macchine sono organizzate a partire da circuiti di feedback cibernetici che controllano e dirigono i posti di lavoro. Come possono rispondere i lavoratori ad una simile situazione? In generale i sindacati restano su posizioni difensive per quanto riguarda la tecnologia ma una simile posizione risulta ormai insostenibile essendo ormai gli algoritmi la linfa vitale dell’innovazione industriale mentre la gestione algoritmica rappresenta un punto di non ritorno che dobbiamo finalmente prendere sul serio come sinistra di classe. Il problema non può essere affrontato lottando per una certa sicurezza del posto di lavoro o per salari di riparazione che hanno lo scopo di mitigare l’azione della gestione algoritmica. Abbiamo bisogno di una sua comprensione politica con l’obiettivo non di rendere più eque queste tecnologie per individuare dei parametri di implementazione accettabili ma di impegnarsi sulle questioni di potere che hanno portato alla loro introduzione nei luoghi di lavoro. Questa vera e propria imposizione ai lavoratori serve per ridurre l’incertezza generata dal fatto che i lavoratori sono liberi e autonomi nel loro agire. Possono essere collaborativi come non collaborativi, creativi o pigri e in questo modo introducono incertezza nei calcoli finemente calibrati elaborati dai padroni per fare soldi. La conclusione di Gent è vedere l’ascesa della gestione algoritmica non come parte della generale diffusione dell’automazione o come un passo naturale nel percorso di sviluppo dell’informatizzazione ma come una parte del conflitto tra capitale e lavoro che si dipana all’interno delle tecnologie di controllo e comunicazione.
- Il lavoro algoritmico
Un primo esempio di lavoro algoritmico sono i magazzini dei supermercati. Per capirne il funzionamento dobbiamo partire da come sono stati messi in ginocchio dalla pandemia del COVID-19. La carenza di beni sugli scaffali prodotta dagli acquisti di panico non era legata ad una carenza di beni prodotti ma dalle difficoltà create al sistema logistico che consente ai supermercati di essere sempre ben riforniti. I grandi supermercati, infatti, sono specializzati in acquisti efficienti, stoccaggio e analisi predittiva. Questo spiega perché anche l’articolo non deperibile più particolare raramente rimane sullo scaffale tanto a lungo da prendere la polvere. Allora perché i supermercati sono entrati in crisi con la pandemia? La loro rete logistica non è stata abbastanza rapida nel rispondere ai cambiamenti nel nostro modo di fare la spesa durante la fase del lockdown nazionale. I supermercati, infatti, non immagazzinano abbastanza unità di beni essenziali per consentire a tutte le famiglie di acquistare in contemporanea tante unità di carta igienica, detergente per le mani e sacchetti di farina. Le persone, normalmente, non fanno la spesa in questo modo secondo le analisi predittive di queste imprese e di conseguenza i supermercati non erano preparati per questi cambiamenti. Questo non significa che periodicamente non sono in grado di fare aggiustamenti stagionali. Per esempio accade durante le festività natalizie quando vengono assunti dipendenti stagionali sia nei negozi che nella rete logistica ma sono operazioni che richiedono almeno quattro mesi per essere messe in campo. Questi processi implicano decisioni e calcoli su come le merci e la forza lavoro si sposteranno nel tempo e nello spazio. Però l’idea principale che guida la logistica è sempre il tentativo di minimizzare gli sprechi per massimizzare l’efficienza, e quindi i profitti, attraverso la riduzione di quanto più tempo e spazio in eccesso possibile. Questo si traduce in una forte avversione per i grandi e costosi magazzini che consentono di ottenere grandi scorte di beni. Al loro posto troviamo hub di distribuzione dinamici con un’elevata rotazione delle scorte e flussi di merce in entrata e in uscita costanti. Questo sistema ha un’elevata domanda e scorte molto ridotte per questo motivo simili hub logistici hanno bisogno di collegamenti ben calibrati lungo tutta la supply chain. Ciò comporta una combinazione di inventario algoritmico e gestione degli ordini da parte di lavoratori dequalificati, mal pagati e facilmente sostituibili. Il principio che guida il funzionamento di questi magazzini è lo spostamento lungo ogni fase della supply chain appena in tempo per soddisfare la domanda e non prima. Si tratta della classica logica del just in time. Tutto il processo non elimina la centralità del lavoro perché le catene di fornitura dipendono dai lavoratori della logistica senza i quali non si può smistare e distribuire le merci oppure consegnare, tramite i camionisti, gli articoli in ogni negozio ogni giorno. Il just in time, però, tratta come uno spreco la forza lavoro e per questo motivo va ridotta al minimo mentre occorre renderla altamente produttiva. Pensiamo solamente agli operatori di cassa di un supermercato economico che si affrettano a raggiungere gli obiettivi di scansione velocemente per non incorrere in misure disciplinari. La pandemia ha anche mostrato a tutti come il settore in più rapida crescita nel mondo, anche grazie al capitalismo delle piattaforme, è la logistica. Quindi l’economia digitale è sorretta da processi fisici come, non dovrebbe sorprenderci, lo stesso internet che non esisterebbe senza cavi, server, data center che coinvolgono ogni genere di lavoro manuale e cognitivo. Mentre l’economia digitale ha iniziato ad invadere le nostre vite molti dei lavori ad essa associati sono diventati sinonimo di cattive condizioni lavorative. Gent fa l’esempio di Sports Direct, un noto rivenditore di e-commerce della Gran Bretagna. Questa azienda, come altri siti di e-commerce, utilizza dei magazzini che sono stati studiati per le loro pratiche di gestione algoritmica del lavoro, in particolare l’uso e l’abuso di rigorosi obiettivi di produttività e sorveglianza. Questi cambiamenti tecnologici hanno utilizzato a loro favore l’aumento della precarietà occupazionale a livello internazionale e, sotto una patina di flessibilità e autonomia, troviamo l’uso della tecnologia per facilitare il sorgere di forme di lavoro autonomo prive di diritti sul luogo di lavoro e anche dell’autonomia propria dei freelance. Come abbiamo visto nel caso dei rider altrove, questi lavoratori subiscono l’uso di app con l’intento di penalizzare coloro che rifiutano il lavoro assegnato, aggressivi meccanismi di tracciamento e sorveglianza e regimi di produttività nei magazzini di e-commerce così rigorosi da costringere alcuni lavoratori ad urinare in bottiglie. Non deve quindi sorprendere il tentativo di rendere il lavoro digitalizzato più umano attraverso una maggiore trasparenza del processo decisionale algoritmico, nella raccolta dati e nella definizione degli obiettivi. Un altro elemento su cui si è molto insistito è l’ottimizzazione del modo in cui le decisioni sui gruppi dei lavoratori sono calcolate includendo valori come equità e correttezza per bilanciare l’organizzazione basata sul freddo calcolo matematico. Questa maggiore sensibilità verso il lavoro digitale da parte dei sindacati è ben evidente nello sviluppo delle lotte sindacali contro Amazon, un vero e proprio laboratorio di resistenza e una metafora delle condizioni imposte ai lavoratori dal cosiddetto lavoro digitale sia nella logistica che nella gig economy. Nell’ultimo decennio, a partire dalle lotte del 2013 in Germania guidate dal sindacato Ver.di, sono state sempre più intense le battaglie tra lavoratori e Amazon. Inizialmente lo scopo di Ver.di era raggiungere un accordo collettivo con l’impresa, richiesta finalizzata a collegare il riconoscimento e la rappresentanza sindacale con riconoscimenti in termini salariali e di condizioni di lavoro. Questi obiettivi si sono scontrati spesso con una feroce repressione antisindacale, talvolta condite da violenza poliziesca come in Spagna e in Italia. Negli USA, a partire dalle lotte in Alabama, i lavoratori sono riusciti ad ottenere il riconoscimento del sindacato in un magazzino Amazon di New York nel 2022. In Gran Bretagna, invece, i sindacati hanno dovuto affrontare la difficoltà nello stabilire un rapporto con tutti i lavoratori, poiché divisi tra varie agenzie del lavoro, e quindi hanno affrontato enormi difficoltà nel penetrare nei luoghi di lavoro. Inoltre nei magazzini della logistica spesso troviamo accordi vantaggiosi per i padroni sottoscritti da sindacati gialli. Contemporaneamente alle prime lotte contro Amazon si sono verificati i primi scioperi nelle piattaforme coinvolte nei servizi di consegna del cibo come Foodora, Deliveroo e Uber Eats nonché in settori affini, come quello del trasporto urbano legato a piattaforme come Uber. Questi conflitti hanno rovesciato la tesi padronale che sosteneva la natura autonoma del rapporto di lavoro dei rider e degli autisti rispetto alla piattaforma. La loro lotta si è tradotta in un massiccio rifiuto ad accedere alle loro app di lavoro. Questo dato è molto importante perché davanti al carattere sempre più logistico dell’organizzazione del capitalismo globale i lavoratori hanno iniziato a concentrare le loro energie verso azioni di blocco delle catene di fornitura attraverso occupazioni, picchetti e blocchi. A partire dal 2020 i sindacati inglesi hanno anche iniziato ad esaminare più nel dettaglio il regime di tracciamento di dati e di sorveglianza di aziende come Amazon. Inizialmente il focus era sulle questioni legate alla salute e alla sicurezza sul posto di lavoro ma più recentemente i sindacati si sono spinti verso il terreno dei diritti digitali, dell’elaborazione dei dati e dell’applicazione dell’intelligenza artificiale. In Gran Bretagna questi sforzi si sono tradotti nel Manifesto sull’IA del TUC del 2021. Questo documento chiede nuove tutele legali in un contesto dove il diritto del lavoro è rimasto indietro rispetto all’uso della tecnologia digitale nel luogo di lavoro. Le sue raccomandazioni parlano di un nuovo diritto alla revisione umana, di principi etici incentrati sull’occupazione e un dovere di consultare i sindacati per quanto riguarda tutte le proposte di implementazione dell’IA sul luogo di lavoro che portano ad una forte automatizzazione del processo decisionale. L’obiettivo è rendere le decisioni algoritmiche trasparenti e più facilmente spiegabili. Tuttavia, dice Gent, i sindacati si illudono che una maggiore trasparenza possa portare ad un lavoro meno stressante, più equo e sicuro. Il rischio è infatti perdere di vista il fatto che si sta provando ad implementare una soluzione tecnica ad un problema politico. La trasparenza non porta al cambiamento nei differenziali di potere tra impresa e lavoratori. Gent però ci invita a non rifugiarci nell’astratto per evitare di perdere di vista la forte connessione tra gestione algoritmica e organizzazione del lavoro. Per raggiungere questo scopo è necessario sezionare come i luoghi di lavoro funzionano nella pratica.
Prendiamo come esempio i lavoratori della logistica. Nello Yorkshire troviamo un gigantesco centro di distribuzione a tre piani al cui interno i vestiti vengono impilati su enormi pallet e preparati, sotto forma di pacchi, per essere spediti a migliaia nelle case di tutto il mondo. Questo magazzino sorge dove un tempo si trovava una miniera di carbone chiusa nel 1993. Da allora il territorio ha sofferto i danni causati dalle deindustrializzazione prima di vedere sorgere al posto delle miniere hub logistici, call center e centri commerciali. Il magazzino in questione è legato ad una società di e-commerce che gestisce unicamente il marketing e gli acquisti dei clienti mentre l’evasione degli ordini dipende dal centro di distribuzione di proprietà di un’azienda completamente diversa, una multinazionale americana della logistica che si occupa di gestire il magazzino e il suo personale. Ovviamente il sindacato non può entrare nel magazzino ed è costretto ad operare all’esterno dei suoi cancelli. Si stima che circa metà del personale è impiegato da un’agenzia interinale mentre l’altra metà è assunta direttamente dall’azienda. I contratti dei lavoratori sono molto flessibili, ciò si traduce in orari di lavoro che all’occorrenza possono essere estesi o ridotti pur mantenendo una retribuzione costante. Gent ci parla di lavoratori messi in situazioni difficili da questa tipologia di contratto. Ad esempio ci sono stati lavoratori che hanno appreso mentre si stavano dirigendo al lavoro o erano già arrivati in azienda della cancellazione del loro turno, del suo accorciamento o della sua estensione. In questo modo si sono verificate situazioni in cui i lavoratori sono stati costretti ad aspettare, non pagati, nella sala del personale prima di iniziare il turno. L’estensione del turno di lavoro, inoltre, complica la vita a chi ha responsabilità di cura. Grazie al sindacato questa situazione è stata modificata e ora l’azienda, nonostante non riconosca il sindacato, ha l’obbligo di dare un preavviso di 24 ore per quanto riguarda le modifiche dei turni. Il livello di fiducia dell’azienda nei confronti dei lavoratori è inoltre molto basso. Appena arrivati in sedi, infatti, devono superare diversi controlli di sicurezza che prevedono diversi livelli di ricerca dettagliata che sono randomizzati. Nel magazzino, invece, le scorte provenienti da HGV devono essere disassemblate e smistate per lo stoccaggio ad una velocità di 65 articoli all’ora. Chi si trova più avanti nel processo produttivo è dotato di una pistola con scanner per i codici a barre, un display digitale e un cinturino da polso. Il dispositivo informa il dipendente su cosa prendere e dove si trova. La linea del prelievo è disposta a forma di serpente ed è progettata per evitare la congestione. I lavoratori sono costretti ad operare percorrendo la linea produttiva da una estremità all’altra più e più volte durante il turno. La pistola registra anche il tasso di prelievo del dipendente che deve mantenersi intorno ai 185 articoli all’ora ma il dato varia in base agli ordini effettuati online. Non esiste un limite massimo. I tassi di prelievo medi dei lavoratori sono calcolati per tutto il tempo in cui sono registrati, incluse le pause per andare in bagno. Il tempo di inattività, cioè la durata del tempo tra i prelievi, è monitorato dai supervisori per mezzo del ricevitore e i dati sul tasso di prelievo e sui tempi di inattività vengono utilizzati per disciplinare i lavoratori che non riescono a raggiungere i loro obiettivi. L’uso dell’informatizzazione nella logistica di per sé non è una novità ma il salto di qualità in questo caso è rappresentato dall’assegnazione, dall’amministrazione, dalla misurazione e dalla valutazione per mezzo di algoritmi in tempo reale. Questo uso degli algoritmi sta progressivamente sostituendo la tradizionale funzione manageriale o di supervisione. Sempre più lavoratori, infatti, sono diretti da software basati sull’elaborazione dei dati in tempo reale. Questa è a grandi linee una gestione algoritmica del lavoro e sfida il sindacato che tradizionalmente non è abituato a mettere in discussione le tecnologie impiegate dai padroni per ricercare il profitto, tranne nei casi in cui fossero utili per licenziare i lavoratori. Questa posizione venne definita da Panzieri nel 1964 come oggettivista. Si tratta dell’idea secondo cui esisterebbe un oggettività nello sviluppo e nell’uso dei macchinari. Il padre dell’operaismo affronta queste problematiche nell’epoca dei macchinari e delle grandi industrie, quando era più facile intravedere una loro diversa configurazione a beneficio dei lavoratori. Oggi la questione è invece se i lavoratori possono essere configurati a beneficio dei macchinari. Un tempo avremmo immaginato l’utilizzo dei computer come strumento a disposizione del lavoratore, oggi invece i lavoratori sono ridotti a strumenti messi a disposizione dei sistemi computazionali. Lo spostamento di prodotti da un magazzino al cliente è una grande capacità dell’economia on-demand ed è strettamente legato alla logistica e quindi all’organizzazione. Senza organizzazione dei lavoratori e dei luoghi di lavoro non è possibile lo spostamento di beni. Un altro elemento in questo processo è quello delle informazioni. Infatti beni, lavoratori e luoghi di lavoro sono intesi come informazioni. Le operazioni logistiche sono un processo continuo facilitato dalla tecnologia digitale ed eseguite da algoritmi. Quindi, dice Gent, la possibilità per il consumatore di ordinare generi alimentari, libri o vestiti a domicilio dipende da un’infrastruttura tecnica di computer, dispositivi e scanner collegati sia ai beni di una catena di fornitura che ai lavoratori nei luoghi di lavoro da software e codici che elaborano gli input e decidono gli output in tempo reale. Gli output portano allo spostamento di beni nello spazio e organizzano i lavoratori nel luogo di lavoro. Un simile modello è stato padroneggiato dai supermercati che basano il loro business sulla possibilità di acquistare all’ingrosso beni, sulla possibilità di distribuire le merci efficacemente tra i negozi e sulla loro vendita ai clienti. Il tutto, ovviamente, senza sprechi e scorte minime in magazzino. Gent si fa descrivere da un lavoratore di nome Lorenzo il funzionamento dei magazzini legati alle catene di supermercati più nel dettaglio. Lo scopo di queste hub è smistare e inviare merci ai negozi di Londra 24 ore su 24. All’arrivo in magazzino i lavoratori ricevono un Motorola WT4000 simile ad uno smartphone che serve per timbrare il cartellino tramite la scansione di un codice a barre e viene legato al loro avambraccio. Le interazioni con questo strumento regolano l’intera giornata lavorativa e tutte le singole attività svolte su questo dispositivo sono collegate al singolo dipendente che viene pagato solo per il tempo per cui ha timbrato utilizzando il Motorola WT4000. Una volta iniziato il turno i lavoratori vengono indirizzati verso la sezione refrigerata o quella della frutta. Entrambi gli ambienti sono freddi. La prima oscilla tra una temperatura di 0°C e di 2°C mentre la seconda mantiene una temperatura di 10°C. Il lavoro del turno si svolge lungo una delle sei griglie della seziona lunga circa 100 metri e su cui troviamo specifiche tipologie di merci. Lavorare con la frutta implica trasportare grandi scatole di frutta e verdura mentre se si è più fortunati ci si ritrova a confezionare panini e yogurt. Questi lavori riflettono anche una divisione di genere tra la forza lavoro. Per esempio gli uomini tenderanno a svolgere attività più pesanti e faticose. Ogni turno è composto da incarichi che prevede l’assegnazione di un pallet, la sua scansione, il suo spostamento tramite un carrello assegnato e lo scarico degli articoli del pallet lungo la griglia. Tutto ciò deve essere svolto ripetutamente per un periodo di tempo determinato per rispettare un tasso di produttività target che viene misurato dal ritmo con cui gli articoli vengono scansionati. I pallet possono ritrovarsi nella situazione in cui sono fisicamente pronti ma non possono essere ricevuti elettronicamente dall’addetto al prelievo e all’imballaggio perché non è stato registrato nel database, con l’effetto di rallentare la produttività del lavoratore. Il dispositivo che utilizza la forza lavoro contiene un’interfaccia a schermo, un tastierino numerico e uno scanner di codici a barre che viene agganciato all’estremità dell’indice per consentire ai lavoratori di maneggiare e scansionare gli articoli simultaneamente. Una volta che il lavoratore ha a disposizione il suo pallet, lo strumento indicherà il luogo dove recarsi e quali articoli scansionare e poggiare sulla griglia che trascina il prodotto verso il punto di ricezione, la quale dovrà essere confermata tramite specifici pulsanti. La scansione degli articoli consente ai manager di compilare i registri dei tassi di produttività dei lavoratori per incarico per ogni turno. Ai lavoratori in questo modo vengono comunicati due dati. Il primo è la percentuale basata sugli obiettivi di prelievo orari dall’azienda e i casi al minuto. Questi dati vengono comunicati dal supervisore dell’agenzia interinale se non sei un lavoratore a tempo indeterminato oppure da uno schermo all’interno del magazzino. Le pause vengono concesse a gruppi da dieci e i lavoratori sono tenuti a rimanere sul luogo di lavoro finché i pallet in magazzino non sono esauriti. A fine giornata viene timbrato digitalmente il cartellino e si conclude l’orario retribuito consegnando lo strumento al supervisore. Le merci smistate vengono organizzate per essere consegnate ai supermercati in base alle loro esigenza. In questo modo i market svolgono allo stesso tempo la funzione di spazi fisici utilizzati dai loro clienti e magazzini per i lavoratori che predispongono gli ordini per lo shop online consentito dal supermercato. Questi sono esempi di lavoro algoritmico. Alla loro base, dice Gent, c’è una tecnologia molto modesta utilizzata per la prima volta negli anni ‘70 per vendere i pacchetti di gomme da masticare. Si tratta del codice a barre. A livello funzionale si tratta di qualcosa di molto banale perché richiede quattro componenti iniziali che lavorano insieme: la grafica di linee spesse e sottili, uno scanner ottico in grado di decodificare la grafica, un database in base al quale il codice viene identificato con una descrizione o un valore corrispondente e un computer per elaborare i dati. Il quinto componente che assicura il buon funzionamento del tutto è un algoritmo, ovvero una sequenza di istruzioni operative che indica al computer come elaborare i dati. Può esserci un sesto componente, ovvero un display visivo accompagnato da un bit udibile per consentire all’utente di capire se l’intero processo è stato eseguito. La possibilità di leggere i codici a barre consente di risparmiare tempo e lavoro automatizzando l’inserimento manuale dei dati in una cassa. In questo modo il servizio al cliente è reso più veloce e viene ridotto il numero complessivo di cassieri necessari al negozio. Il processo è spesso condito da obiettivi di prestazione che rendono il tutto ancora più rapido lanciando velocemente le merci al cliente. Alcuni negozi si sono spinti ancora più avanti incoraggiando i clienti a leggere in autonomia la propria spesa davanti ad uno scanner grazie all’integrazione di hardware e database che permette di pesare in autonomia i beni acquistati. A livello strategico la tecnologia dei codici a barre facilita l’interazione tra prodotto fisico e database di scorte digitali. La scansione delle merci consente al supermercato di conoscere in tempo reale la quantità di scorte sugli scaffali e in questo modo viene ridotta al minimo la possibilità di acquistare troppe scorte. L’applicazione degli algoritmi al supermercato, utilizzando dati come ora del giorno, affluenza e acquisti dei clienti con la carta fedeltà consentono di pianificare l’intera attività del negozio riducendo la probabilità di lasciare dei beni invenduti sugli scaffali e gli sprechi. Alla base di tutto ciò, dice Gent, c’è l’analisi predittiva che l’analisi algoritmica consente di fare sulle attività passate e presenti con lo scopo di pianificare le attività dell’azienda per soddisfare le esigenze future in maniera più efficiente grazie ad un articolato sistema di feedback.
- La gestione algoritmica
L’ottimizzazione del lavoro si accompagna anche ad un maggiore controllo del lavoratore. Gent a tal proposito cita un brevetto di Amazon depositato nel 2017 indicativo della direzione di marcia intrapresa dalla digitalizzazione del lavoro. Stiamo parlando di occhiali per la realtà aumentata che possono essere indossati dai lavoratori nel magazzino per aiutarli a localizzare gli articoli e lo spazio disponibile sugli scaffali nelle aree di stoccaggio. Questi occhiali sostituirebbero le pistole scanner e in più hanno un sistema di localizzazione integrato che utilizza identificatori di posizione all’interno del campo visivo del lavoratore per posizionarlo in un dato momento e per segnalare eventuali deviazioni dal percorso indicato. Questi strumenti non servono solo per controllare il lavoratore ma lo trasformano anche in un tracker di dati in tempo reale. Un simile strumento mette sul tavolo il tema della gestione che è in primo luogo un progetto politico. Si tratta di una divisione formale e intenzionale di potere, informazioni, comunicazione e controllo all’interno del luogo di lavoro. I suoi obiettivi sono molteplici e vanno dall’elusione dell’antagonismo tra lavoratori e capi, con l’intento di giungere ad una forma di cooperazione, all’acquisizione di valore dal lavoro. La gestione, assieme alla relazione salariale, è la principale modalità con cui i lavoratori sperimentano ogni giorno il capitalismo sulla propria pelle. La gestione algoritmica è l’evoluzione di un pensiero manageriale già presente nelle nostre fabbriche e di una tradizione precedente alla nascita del capitalismo ma che viene enormemente sviluppata da questo modo di produzione. Pensiamo solamente a Taylor nel XX secolo. Le imprese tipiche del capitalismo di piattaforme, però, funzionano diversamente. La diversità non significa netta rottura con il passato, infatti un’azienda come Amazon integra alcuni elementi dell’evoluzione del taylorismo, ovvero il toyotismo, ma allo stesso tempo operano principi cibernetici capaci di dare un nuovo significato alle performance. Diversamente dalle fabbriche di Taylor, infatti, i magazzini di Amazon non sono realmente organizzati e gestiti da manager in quanto tali. Non a caso la logistica moderna riesce ad essere così efficace perché nei punti cruciali è in grado di organizzarsi a gestirsi da sola. Ma nonostante tutto anche in simili realtà rimane in piedi il principio taylorista della separazione tra concezione ed esecuzione. Esso agisce come principio organizzativo fondamentale della gestione moderna del posto di lavoro nel modo di produzione capitalistico ed è in grado di fornire un ciclo di feedback con cui governare la forza lavoro e determinare gli standard in base ai quali viene misurata la cooperazione. Questo principio, però, nella pratica funziona in modi particolari nei posti di lavoro mediati computazionalmente. Come ci ricorda Toni Negri, infatti, il controllo in senso lettare non è più una condizione necessaria per la produzione. Allora cosa significa controllare per una società come Amazon? In un ambiente ricco di informazioni, come un posto di lavoro moderno, è più appropriato parlare di valutazione delle prestazioni e degli effetti invece che di tentativo di sapere tutto ciò che può essere conosciuto. Questo sistema di controllo viene spesso definito come agile, snello, adattabile e si differenzia dal sistema di gestione scientifico per l’enfasi posta sulla tecnologia fino ad arrivare al punto di dipingere una situazione in cui al lavoratore viene chiesto di servire la macchina. Questo significa il monitoraggio delle prestazione dei lavoratori, sia spazialmente che temporalmente e in alcuni luoghi di lavoro anche fisiologicamente. Attraverso la vasta gamma di tecnologie di monitoraggio a disposizione, i manager possono monitorare i lavoratori secondo dopo secondo, ottenendo sempre più informazioni su di loro e producendo nuove forme di conoscenza attraverso l’accumulo di dati. Nonostante i dati accumulati e la loro trasmissione in tempo reale, però, non è possibile per i manager sapere tutto. Persiste un’ontologia dell’inconoscibilità che viene completata da un sistema in cui i manager vengono supportati computazionalmente nello stabilire una relazione di prestazione soddisfacente con l’azienda per mezzo di un’infrastruttura avanzata di tecnologie di tracciamente per collegare i processi organizzativi con le prestazioni dei lavoratori. Un concetto fondamentale alla base di tutto ciò è che i dati presentati agli esseri umani dai computer sono neutri, oggettivi e razionali e di conseguenza validi, accurati e più affidabili dei giudizi qualitativi. Come sostiene l’azienda Klipfolio, impresa che vende dashboard sulle prestazioni aziendali, i dati non mentono e soprattutto sono utili per avere un’analisi oggettiva della prestazione lavorativa. Gli algoritmi di gestione portano queste idee ancora più avanti applicando il controllo ai dati. Tutti i posti di lavoro che prevedono un uso degli algoritmi sono caratterizzati da qualche forma di monitoraggio dei dati sulle prestazioni, in genere per mezzo di computer. Nei magazzini il monitoraggio viene effettuato tramite un dispositivo scanner, una pistola scanner oppure orologi da polso. In questo caso il monitoraggio si esprime sotto la forma di tasso di produttività, ad esempio articoli all’ora e, fatta eccezione per gli imballatori il cui lavoro richiede di rimanere statici, esiste una dimensione spaziale nella loro attività. Quando invece il lavoro comporta la raccolta di articoli da un magazzino i compiti sono assegnati in base alla loro ultima posizione scansionata. Nei lavori di consegna il monitoraggio avviene tramite il GPS dei cellulari o un ricevitore specializzato. I lavoratori che utilizzano un furgone aziendale, invece, sono tracciati tramite tracciamento telematico, CCTV e GPS integrato. Questo monitoraggio è evidente ai lavoratori in molti modi. I picker di Amazon hanno un tasso di prelievo visibile e un timer con il conto alla rovescia sui display dei loro telefoni cellulari. Altri picker-packer impegnati nella distribuzione ricevono sui loro telefoni le informazioni sulla prestazione del giorno precedente e se hanno lavorato sufficientemente bene per avere un altro turno. I lavoratori con cui ha comunicato Gent chiedevano informazioni sulla loro produttività o le ricevevano da un supervisore solitamente quando erano sottoperformanti. In ogni caso, nessun lavoratore è informato su come vengono stabiliti gli obiettivi di produttività. Questa mancanza di comunicazione è tipica del lavoro taylorista. Per esempio questa è la situazione in un supermercato Todd’s: “Per i fattorini, la prova più chiara del tracciamento proviene dal loro GPS. Lorenzo viene penalizzato per essersi trovato nella posizione sbagliata secondo il suo sistema GPS, ma per il resto la sua prestazione non si basa sulla capacità di raggiungere un alto tasso di produttività. Jamie e Noah, i fattorini, al contrario, non vengono penalizzati per aver preso percorsi alternativi, ma ricevono un’e-mail settimanale con i dati sulle prestazioni, nonché i calcoli dei guadagni, tramite un’app. In una serie di ruoli lavorativi, la prestazione basata sugli obiettivi, che sia relativa alla produttività o alla velocità di consegna, è la base della disciplina di supervisione e, in un caso, dell’assegnazione dei turni. Per Jamie e Noah, la combinazione di prestazione basata sul tempo e lavoro a cottimo significa che i fattorini spesso si assumono dei rischi sulla strada”1.
La trasmissione delle informazioni assume forme diverse in base al lavoratore coinvolto. I fattorini interagiscono con un’app o un dispositivo specifico che si collega all’azienda per mezzo del GPS e un segnale dati mobile. I magazzinieri invece interagiscono con un dispositivo mobile portatile che trasmette dati a un terminale dati radio incorporato. In tutti e due i casi i lavoratori interagiscono con un database del computer che gestisce lo stock e l’avanzamento degli ordini, tiene traccia del lavoro dei dipendenti, contrassegna l’attività con timestamp, calcola le prestazioni e assegna nuovi compiti dove necessario. In questo modo, ad eccezione dei lavori più statici, vengono assegnati nuovi compiti al lavoratore in base alla sua posizione tracciata più di recente, non importa se si tratta del prossimo articolo da prelevare o del prossimo ordine di cibo da ritirare, il prossimo pacco da consegnare o il prossimo percorso da seguire. Tuttavia, dice Gent, non stiamo parlando di grosse novità ma ci sono tre elementi di rottura da sottolineare. Il primo è la costante condivisione di dati in tempo reale da parte del dispositivo connesso, anche quando è inattivo, verso un database. Il secondo è la natura spaziale dei dati trasmessi. La trasmissione delle informazioni può essere istantanea ma è anche importante come e dove vengono spostati gli oggetti e svolti i compiti. Infine abbiamo l’opacità del sistema: cosa traccia e non traccia, come alloca il lavoro, come vengono prese le decisioni e cosa succede con i dati. Questi sono gli elementi alla base delle interfacce di gestione. Il tracciamento spaziale in tempo reale è per l’era della performance ciò che la misurazione del tempo e del movimento era per l’era del comando. Avviene il modellamento del rapporto dei lavoratori con il lavoro e con l’essere gestiti e infine consente l’intensificazione del lavoro. Ma, diversamente dagli studi sul tempo e sul movimento, il tracciamento spaziale in tempo reale supera la necessità di rappresentazione.
La logistica non è solo accelerazione dei processi ma anche calibrazione del tempo in base a vari fattori e interessi. I dati raccolti sul processo di lavoro vengono legati a questi calcoli che comportano un necessario allineamento delle relazioni sociali, non nel corso di un giorno o di una settimana, o in istantanee regolari, ma costantemente. Tutto deve poter funzionare insieme tutto il tempo. Ciò significa che il miglioramento del processo richiede la misurazione continua delle prestazioni. Questo è un aspetto dell’interfaccia di gestione. Al centro dell’organizzazione dei sistemi di gestione algoritmica troviamo un’architettura di calibrazione in corso che coinvolge simultaneamente la localizzazione delle merci, la trasmissione degli ordini, i mezzi di trasporto, la gestione dello spazio e l’attualizzazione e la gestione del lavoro. L’obiettivo è tentare di calibrare il controllo del lavoro in relazione ad altri fattori logistici per mezzo della quantificazione. In questo modo l’elemento non pianificabile, cioè l’uomo, del lavoro viene sottoposto ad un controllo tecnico che è sufficiente per consentire ai processi produttivi e all’accumulazione del capitale di procedere con poche turbolenze. L’interfaccia, quindi, non descrive tanto una tecnologia ma un modo di relazionarsi ad essa. Nell’ambito della gestione del lavoro l’interfaccia di gestione richiede poco coinvolgimento da parte di manager umani in un contesto algoritmico. Tuttavia questo insieme di relazioni viene incorporato in una superficie di uno schermo, cioè il collo di bottiglia attraverso il quale il lavoratore interagisce con i dispositivi. Quando un addetto al prelievo utilizza una pistola di scansione in un centro di distribuzione, è il dispositivo che si assume l’onere di supervisione e di trasmissione delle istruzioni al lavoratore e dei dati sulle prestazione al sistema, sia per essere archiviati nei database sia per essere reinseriti negli algoritmi. Si tratta di un altro aspetto dell’interfaccia di gestione, cioè la soglia che si trova tra il lavoratore e il sistema. Siamo davanti ad un’asimmetria fondamentale, cioè un punto di congiunzione tra corpi, hardware, software e utenti. Queste interfacce descrivono, nascondono e condizionano l’asimmetria tra gli elementi congiunti. Le prospettive sull’interfaccia di cui abbiamo parlato suggeriscono alcuni spunti sul lavoro. Il primo è che l’interfaccia di gestione si riferisce al modo in cui il lavoro è calibrato in relazione ad altri processi logistici e, per estensione, ad altri processi di lavoro lungo la supply chain. Per calibrazione si intendono tempi, ritmo e movimento attraverso il lavoro come l’assegnazione dei turni. Il secondo è che l’interfaccia si riferisce a come il lavoro è gestito in quanto lavoro vivo, cioè attraverso istruzioni, tracciamento, obiettivi e identificazione. In breve, pertiene all’equilibrio tra le forze sociali.
- Come resistere
Nel contesto dei lavori algoritmici gli scioperi possono essere indeboliti dal modo in cui sono organizzate queste attività. Esattamente come l’introduzione delle macchine nella grande industria ha imposto la necessità di organizzare diversamente la classe operaia, passando da modalità basate sulle conoscenze tecniche e sulle competenze dei lavoratori ad un sindacalismo di massa, la gestione algoritmica ci spinge a modificare le tradizionali forme di mobilitazione politica. Per favorire questo mutamento dobbiamo iniziare a leggere il lavoro come un sistema e determinare in ogni diversa tipologia di organizzazione del lavoro dove è possibile sfruttare il potere e il controllo nelle mani dei lavoratori. Gli scioperi di massa sono dirompenti perché comportano un grande ritiro dal lavoro ma cosa accade in un processo di lavoro abbastanza forte e intelligente da riuscire a colmare i buchi prodotti dagli scioperi oppure reindirizzare il processo di lavoro verso altre sedi in tempo reale? Per battere quelli che Gent chiama cyberboss dobbiamo pensare in maniera creativa. Se siamo capaci di anticipare le direzioni di marcia della gestione algoritmica allora siamo anche capaci di indicare le nuove direzioni nell’organizzazione politica dei lavoratori. Il nostro punto di partenza è l’analisi delle azioni messe in campo dai lavoratori contro queste forme di gestione. Queste informazioni ci servono per ampliare la nostra comprensione della lotta di classe. La composizione tecnica del lavoro gestito algoritmicamente è cibernetica perché si basa su una complessa disposizione di cicli di feedback intrecciati che comunicano informazioni aventi e indietro tra utenti umani e componenti computazionali. L’organizzazione del lavoro, come abbiamo già detto, si basa sull’interfaccia di gestione. Questo modo di pensare le relazioni tra lavoro e direzione è utile per comprendere gli effetti della resistenza sul potere algoritmico. La resistenza all’interfaccia interrompe il senso di calibrazione del regime manageriale tra processi e fattori logistici. Queste interruzioni sono facilmente visibili nei blocchi involontari del lavoro che derivano dall’organizzazione tecnologica, pratica o sociale del lavoro. Prendiamo come esempio i malfunzionamenti tecnici, comuni nei luoghi di lavoro basati sui computer. Essi possono creare blocchi nel regolare funzionamento del processo produttivi, soprattutto se questi luoghi di lavoro non hanno alternative non digitali su cui fare affidamento. I tempi morti creati dai malfunzionamenti, inoltre, possono essere usati dai lavoratori per perdere tempo e parlare. Questi momenti di resistenza accidentali sono paragonabili alla resistenza che ci aspetteremmo di trovare all’interno di un circuito elettrico. Viene bloccato il flusso di lavoro e, con l’interruzione tecnologica, anche le informazioni essenziali per il posto di lavoro gestito algoritmicamente. Non si tratta, però, di una vera resistenza dei lavoratori ma alcune loro azioni coscienti sono molto simili per quanto riguarda la resistenza prevista nell’interfaccia. Pensiamo al caso dei rider che collettivamente decidono di disconnettersi dall’app della loro piattaforma colpendo la sua capacità di soddisfare la domanda dei clienti. I rider hanno avuto l’intelligenza di sfruttare la loro condizione di lavoratori autonomi per sfuggire alle conseguenze penali di uno sciopero selvaggio illegali in paesi come il Regno Unito e hanno utilizzato a loro favore lo spazio geografico limitato in cui opera la piattaforma. Mentre Amazon può reindirizzare i pacchi verso un altro centro di distribuzione, una piattaforma che consegna cibo opera in un luogo specifico, coprendo ristoranti specifici e gestendo ordini urgenti in orari di punta ben definiti. La resistenza del lavoratore diventa efficace perché all’interno dell’interfaccia occupa una parte fondamentale del ciclo di feedback digitale che sostiene l’intero processo logistico. Altre forme di resistenza interessanti sono il tentativo di testare in continuazione i limiti di ciò che è considerato un buon lavoro. Alcuni lavoratori hanno iniziato a fare intenzionalmente un cattivo lavoro per verificare i limiti della segnalazione automatica per i propri ritardi nei centri di distribuzione di Amazon. I lavoratori iniziano a perdere deliberatamente tempo una volta concluso che i loro obiettivi assegnati fossero irraggiungibili. Queste sono forme di resistenza nell’interfaccia ma esiste anche la resistenza all’interfaccia. I lavoratori in questo caso sfidano l’asimmetria stabilita dalla governance algoritmica del posto di lavoro. Un esempio in tal senso sono le lotte dei lavoratori che utilizzano i dispositivi portatili. In alcuni magazzini indagati da Gent i lavoratori sono entrati in possesso dei codici utilizzati per verificare, tramite i dispositivi mobili utilizzati dalla forza lavoro, se hanno commesso errori e quindi valutare la loro produttività. In questo modo riescono a controllare da soli dove hanno sbagliato e potenzialmente possono utilizzare questo strumento per guadagnare delle pause non autorizzate. Ovviamente sono in una situazione precaria perché l’azienda potrebbe decidere di cambiare questi codici in qualunque momento. In un negozio che vendeva prodotti anche online i lavoratori hanno sfruttato i loro dispositivi per lavorare, cioè dei telefoni cellulari, per ottenere pause non autorizzate. I lavoratori, premendo un pulsante sulla loro pistola per le scansione, erano in grado di rimuovere degli articoli dal carrello che conteneva le merci degli ordini effettuati dai clienti perché non entravano più al suo interno. Questo permette di avere un metodo per andare in pausa o far andare più velocemente il carrello quando è troppo pesante e il lavoratore non ha più voglia di spingerlo. Il tutto poteva essere fatto anonimamente ma con l’introduzione di una nuova infrastruttura digitale non potevano più gestire il carrello autonomamente. In appena una settimana, però, è stata trovata una nuova strategia. Cambiare dispositivo mentre si era connessi consentiva al lavoratore di far sparire la propria attività. Il sistema era pensato per sfruttare questa possibilità nel caso in cui il dispositivo si fosse scaricato. I lavoratori, in entrambi i casi, hanno sfruttato le crepe nell’architettura digitale e l’organizzazione del lavoro per strappare tempo superando in astuzia il sistema. In questo modo, anche cooperando con altri lavoratori, sono riusciti a sfuggire allo sguardo del supervisore facendola franca. I lavoratori sono stati capaci di resistere in questo modo alle pressione di un sistema altamente produttivo che pretende una costante intensificazione del lavoro oppure a rigide regole sulle pause al lavoro sfruttando a loro vantaggio il distanziamento fisico dei manager e la loro cieca fiducia nella gestione algoritmica del lavoro, sia intesa come capacità di controllo dei lavoratori sia come capacità di tenere conto nei suoi calcoli delle prestazioni dei veri periodi di inattività dei lavoratori. Grazie alla loro resistenza i lavoratori sono stati in grado di sospendere il flusso di lavoro e quindi la trasmissione dei dati tra il loro dispositivo e il sistema, conquistando la capacità di muoversi sul posto di lavoro come desideravano per prendersi le pause alle proprie condizioni. In alcuni magazzini di distribuzione i lavoratori sono stati anche capaci di intervenire nello stesso flusso di lavoro grazie al rallentamento prodotto durante il turno dai lavoratori interinali. Dopo aver iniziato ad organizzarsi tramite una serie di riunioni dopo il lavoro, i lavoratori interinali hanno iniziato ad avanzare delle richieste che prevedono la parità salariale con i lavoratori interni all’azienda e turni garantiti. Infatti i lavoratori interinali erano pagati solo il 70% del personale interno che svolgeva il loro stesso lavoro. Per ottenere più soldi e un minimo di turni garantiti a settimana hanno iniziato a ridurre la produttività del 70% rispetto agli obiettivi richiesti. Il rallentamento è stato pensato come una protesta di un giorno appoggiata anche da altri lavoratori politicizzati e solidali con gli interinali con l’intento di colpire la relazione tra tasso di produttività e sistema di assegnazione dei turni tramite SMS. L’azione non ha visto la partecipazione dei lavoratori a tempo indeterminato e si è conclusa con una sanzione disciplinare e il licenziamento. Tuttavia è politicamente rilevante la capacità di aver utilizzato i briefing quotidiani prima di iniziare la giornata lavorativa per dare il via alla protesta e soprattutto la capacità di sovvertire la relazione dei lavoratori con l’infrastruttura digitale del sistema di produttività. I lavoratori erano abituati a scoprire la percentuale di produttività su base giornaliera tramite SMS mentre nella loro lotta che ha rallentato paurosamente il lavoro del magazzino hanno modificato la loro relazione incarnata con il flusso di lavoro per raggiungere il tasso di produttività desiderato. L’autorità del sistema algoritmico è stata così violata e sovvertita mettendo a nudo l’illusione del controllo manageriale e la sua dipendenza dalla cooperazione dei lavoratori. Dinamiche simili si trovano anche nei supermercati dove i lavoratori iniziano a commettere errori intenzionali eseguendo gli spostamenti dei prodotti in modo errato, confondendo il database e producendo errori di stock oppure abusando della funzione di sostituzione sul proprio dispositivo per sabotare il database di stock che si aggiorna in base agli input dei lavoratori. Il culmine di questo vero e proprio sabotaggio si ha con la possibilità di dare al cliente degli articoli sbagliati volontariamente. Queste azioni possono avere ovviamente delle ritorsioni e allora i lavoratori provano a capire nella gestione algoritmica del lavoro cosa possono o non possono fare senza essere scoperti. Per ottenere queste informazioni i lavoratori tentano di ottenere in ogni modo l’accesso ai computer dei loro manager per sapere cosa vedono loro. Per farlo possono sfruttare ogni opportunità utile per gettare uno sguardo sullo schermo del PC del manager oppure vi possono accedere di nascosto. In ogni caso, interviene una rivolta contro la conservazione manageriale dei dati generati dai lavoratori e usati per il loro disciplinamento. Si tratta certamente di azioni individuali e non collettive ma evidenziano come ci sia la consapevolezza sull’importanza dell’architettura dei processi alla base della gestione algoritmica e della lotta asimmetrica sulle informazioni rappresentate nell’interfaccia. Avere idea di come funzionino effettivamente questi posti di lavoro e come i lavoratori provano a difendersi dall’aggressione della gestione algoritmica potrebbe essere un buon punto di partenza per aggiornare le pratiche di lotta dei sindacati.
- Craig Gent, Cyberboss. The rise of algorithmic management and the new struggle for control at work, Verso Books, Londra 2024, Tutte le citazioni legate al libro sono prese da un ebook e pertanto non sono disponibili le pagine. ↩︎
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