Manosfera e neoliberismo

The Male Complaint di Simon James Copland si apre presentando Arthur, il protagonista del film Joker come figura emblematica di un malessere maschile contemporaneo. Arthur lavora in un miserabile impiego come pagliaccio pubblicitario mentre sogna di diventare comico stand-up, un sogno irrealizzabile data la sua totale mancanza di talento comico e i gravi problemi di salute mentale che lo affliggono, tra cui una condizione che lo porta a ridere incontrollabilmente nei momenti più inopportuni. La sua situazione già precaria peggiora drasticamente quando i tagli governativi ai servizi sociali gli tolgono l’accesso a farmaci e terapia, lasciandolo senza alcun sostegno. Vive in condizioni di estrema povertà con la madre, anch’essa affetta da disturbi mentali derivanti da un passato traumatico. Quando Arthur subisce un’aggressione da parte di un gruppo di adolescenti durante il lavoro, invece di sostenerlo, il suo datore di lavoro lo fa pagare per il cartello “going out of business” che stava girando e lo licenzia. Questo episodio rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso. Arthur, dopo una vita di umiliazioni e fallimenti, scopre nella violenza un senso di controllo e identità che non aveva mai sperimentato prima. Uccidendo prima per autodifesa e poi deliberatamente realizza di esistere veramente per la prima volta, sentendosi finalmente visto dalla società. La storia di Arthur, magistralmente interpretata da Joaquin Phoenix in un ruolo che gli valse l’Oscar, travalica i confini della finzione cinematografica per diventare un potente simbolo culturale in un momento politico particolarmente teso. L’uscita del film nel 2019, tre anni dopo la prima elezione di Donald Trump e in piena ascesa dei movimenti di estrema destra in Occidente, portò molti a vedere in Arthur il prototipo dell’uomo alienato e violento, in particolare associandolo alla comunità degli incel (uomini “involontariamente celibati”). Questi ultimi, già tristemente noti per atti di violenza di massa come il massacro di Isla Vista del 2014, iniziarono effettivamente a identificarsi con il personaggio, adottandone l’immagine come simbolo e organizzando proiezioni di gruppo. La critica cinematografica si divise aspramente. Recensori come David Edelstein di Vulture e Stephanie Zacharek di Time accusarono il film di glorificare la violenza e di rischiare di diventare un manifesto per movimenti misogini mentre commentatori conservatori come Chadwick Moore vi lessero una denuncia del declino della mascolinità tradizionale, attribuendo i problemi degli uomini contemporanei al femminismo, alla farmacologizzazione e alla scomparsa dei valori religiosi.

Questo dibattito, sostiene Copland, manca il punto fondamentale: sia i progressisti che riducono Arthur a semplice “cattivo”, sia i conservatori che incolpano le donne e il femminismo falliscono nel cogliere le complesse cause sociali alla base della violenza maschile. La risposta progressista, che etichetta questi uomini come “perdenti” o “abitanti di scantinati”, riproduce la stessa retorica denigratoria che Hillary Clinton usò contro i sostenitori di Trump definendoli “deplorevoli”, ottenendo l’effetto contrario di rafforzarne l’identità di gruppo. Allo stesso modo, il concetto di “mascolinità tossica”, sebbene ampiamente utilizzato per spiegare fenomeni come la Manosfera, risulta insufficiente perché tende a medicalizzare il problema (come se la tossicità fosse una malattia insita negli uomini) e a ignorare come molti comportamenti “tossici” siano in realtà radicati nelle istituzioni mainstream. Per comprendere veramente la Manosfera, cioè l’insieme di blog, forum e comunità online dedicati ai “diritti maschili” e alla misoginia, è necessario adottare una prospettiva più sfumata, ispirata al concetto di “banalità del male” di Hannah Arendt. Come Adolf Eichmann non era un mostro patologico ma un burocrate banale che obbediva agli ordini, così gli uomini della Manosfera non sono aberrazioni sociali ma prodotti di un sistema più ampio. Essa rappresenta una risposta alla crisi multidimensionale del capitalismo contemporaneo, offrendo a uomini spaesati da un mondo in rapido cambiamento una spiegazione semplice per le loro difficoltà (la colpa è delle donne e del femminismo), una comunità in cui sentirsi accettati e uno scopo esistenziale. Si tratta di quello che la teorica Lauren Berlant definisce un “pubblico intimo”, uno spazio in cui individui condividono una visione del mondo e un insieme di lamentele che creano legami emotivi e identitari.

La Manosfera comprende diverse sottoculture: i Men’s Rights Activists (attivi dagli anni ’70), i Pick-Up Artists che insegnano tecniche di manipolazione sessuale, gli incel convinti di essere geneticamente svantaggiati nell’accoppiamento e i MGTOW (“Men Going Their Own Way”) che rifiutano ogni relazione con le donne. Sebbene alcuni di questi gruppi condividono l’idea che la società sia diventata ginocentrica (dominata dalle donne) e che il femminismo abbia distrutto il naturale equilibrio tra i sessi. Le loro idee si intrecciano con l’estrema destra e con movimenti come l’alt-right, condividendo spesso retoriche razziste e suprematiste bianche. La violenza della Manosfera non è solo verbale (come nelle campagne di harassment online #Gamergate o #TheFappening) ma si è concretizzata in attentati terroristici come quello di Toronto del 2018. Copland insiste sul fatto che non si può combattere efficacemente la Manosfera demonizzandone i membri o riducendoli a stereotipi. Questi uomini non sono mostri separati dalla società ma prodotti delle sue contraddizioni. La sfida è comprendere le strutture sociali ed economiche che generano il loro risentimento, senza per questo giustificarne la violenza. Solo un’analisi approfondita delle cause, come il declino delle prospettive economiche per molti uomini, la crisi delle tradizionali fonti di identità maschile o l’isolamento sociale, permetterà di sviluppare strategie efficaci per reintegrare questi individui e prevenire l’estremismo. 

1. Uomini alienati

Copland ci parla di Rupert, un giovane tedesco appassionato di videogiochi, la cui amara riflessione cattura l’essenza del malessere maschile contemporaneo diffuso nella Manosfera. Rupert dichiara senza mezzi termini che il matrimonio è morto, sostenendo che il divorzio rovina irrimediabilmente la vita degli uomini mentre le donne avrebbero abbandonato la monogamia, diventando così, ai suoi occhi, partner inaffidabili per relazioni serie o per costruire una famiglia. Aggiunge un ulteriore strato di sfiducia, affermando che, anche volendo correre il rischio del matrimonio, molti uomini potrebbero scoprire di non essere i padri biologici dei propri figli, citando specificamente il caso francese dove, secondo lui, gli uomini sono obbligati a mantenere bambini nati da relazioni extraconiugali delle mogli. La sua critica si estende al sistema scolastico, descritto come strutturalmente favorevole alle donne, dove i ragazzi vengono sistematicamente sedati con il Ritalin “come se fossero caramelle” per controllarne il comportamento mentre le ragazze sarebbero avvantaggiate per soddisfare quote di genere. Rupert dipinge un quadro desolante del futuro economico della sua generazione: nessuno crede più in una pensione dignitosa, visto che possiedono solo un terzo o un quarto della ricchezza accumulata dai loro genitori o nonni, e l’istruzione superiore è diventata l’unico rifugio per sfuggire a disoccupazione e povertà in un mercato del lavoro sempre più precario. Il dolore di questa situazione, sostiene, potrebbe essere alleviato dalle relazioni con le donne ma gli uomini vengono invece sistematicamente trattati come potenziali predatori sessuali al solo manifestare interesse romantico. Queste affermazioni, sebbene risalgano a oltre un decennio fa, continuano a risuonare potentemente nella Manosfera odierna, dove domina un senso di alienazione multisfaccettato che abbraccia relazioni, scuola, lavoro e prospettive future. Copland si interroga quindi sulla validità di queste lamentele, chiedendosi se rappresentino legittime preoccupazioni sociali o semplicemente il risentimento di uomini un tempo privilegiati che stanno perdendo potere. Michael Kimmel, sociologo autore di Angry White Men, le interpreta come espressione di un “diritto ferito”, cioè la rabbia di chi vede erodersi privilegi storici. Per Copland il fenomeno ha radici più profonde e complesse, legate a trasformazioni strutturali della società e dell’economia e che merita un esame attento pur senza condividere le soluzioni spesso misogine e violente proposte dalla Manosfera. Le statistiche citate mostrano che, effettivamente, i ragazzi incontrano crescenti difficoltà nel sistema scolastico visto che ottengono voti mediamente più bassi, hanno minori probabilità di diplomarsi e di accedere all’università e una maggiore propensione a ricevere sanzioni disciplinari o diagnosi di disturbi dell’apprendimento come l’ADHD. I dati sui suicidi maschili sono particolarmente allarmanti. In Inghilterra e Galles, nel 2019, hanno raggiunto il picco dal 2000 con 16,9 suicidi ogni 100.000 uomini, contro i 5,3 delle donne, un divario impressionante che si ritrova in molti paesi occidentali. Il sistema carcerario statunitense nel 2022 conteneva 1.142.359 uomini contro solo 87.784 donne, un dato che riflette sia la maggiore criminalità maschile sia le devastanti conseguenze sociali dell’incarcerazione di massa. Altri numeri evidenziano come gli uomini costituiscano la maggioranza dei senzatetto, delle vittime di omicidio, dei morti sul lavoro e in guerra, nonché di quelli che perdono l’affidamento dei figli dopo un divorzio, tutti elementi che alimentano la narrativa della Manosfera su una presunta “crisi maschile”. Bisogna però respingere una lettura superficiale di queste statistiche. Se da un lato i ragazzi faticano a scuola, dall’altro gli uomini continuano a dominare posizioni di potere in politica, economia e scienza. Il divario salariale di genere persiste nonostante i progressi femminili nell’istruzione e la sovrarappresentanza maschile nelle carceri è direttamente collegata al fatto che commettono più crimini violenti, spesso contro donne ma anche contro altri uomini. Inoltre molte di queste statistiche non sono affatto nuove visto che storicamente gli uomini sono sempre stati i principali combattenti in guerra e la loro predominanza nei lavori pericolosi deriva dalla tradizionale esclusione femminile da tali ambiti. Paradossalmente molti nella Manosfera si oppongono all’ingresso delle donne in questi settori, pur lamentandosi delle morti maschili, una contraddizione che rivela come le loro proteste siano spesso guidate più da resistenza al cambiamento che da genuina preoccupazione per il benessere maschile.  

La vera radice del problema non risiede in una semplice “crisi di mascolinità” ma in un mutamento radicale del significato stesso dell’essere uomini nella società contemporanea. Storicamente la cultura occidentale ha promesso agli uomini una “missione” basata su quattro pilastri fondamentali: una frontiera da conquistare (sia essa territoriale, economica o intellettuale), un nemico chiaro da combattere, una fratellanza in cui trovare solidarietà e una famiglia da proteggere e mantenere. Questo ideale, incarnato da figure mitiche come il cowboy americano o il soldato ANZAC, forniva un chiaro senso di scopo e utilità sociale. Con l’avvento del neoliberismo e la trasformazione del capitalismo globale questa missione tradizionale è crollata sotto il peso di cambiamenti economici epocali. Il lavoro stabile e ben retribuito che un tempo permetteva a un uomo di mantenere un’intera famiglia con un solo stipendio è diventato sempre più raro. I salari reali sono stagnanti dagli anni ’70 mentre i costi della vita sono esplosi, costringendo sempre più famiglie a fare affidamento su due redditi. Rupert stesso lamenta che la sua generazione possiede solo una frazione della ricchezza accumulata dai loro genitori, senza alcuna certezza sul futuro pensionistico.  

A peggiorare le cose, il neoliberismo ha radicalmente trasformato la cultura, sostituendo i tradizionali ruoli sociali con un sistema “ornamentale” dove l’identità si costruisce principalmente attraverso il consumo e l’apparenza piuttosto che attraverso contributi concreti alla società. Gli uomini, privati del loro tradizionale senso di utilità sociale, si ritrovano spaesati in un mondo che li valuta per l’aspetto fisico, il successo economico individuale e la capacità di competere in un mercato sempre più spietato, valori che un tempo erano associati principalmente agli stereotipi femminili. Questa transizione ha creato una profonda crisi identitaria, ulteriormente esacerbata dall’ascesa del postfemminismo che ha commercializzato l’idea di emancipazione femminile riducendola spesso a scelte di consumo individuali (dalla moda alla chirurgia estetica), alienando ulteriormente quegli uomini che si sentono esclusi da questo nuovo paradigma culturale. Copland affronta anche il tema della filosofia della “red pill” che costituisce uno dei pilastri fondamentali della Manosfera. Essa si presenta come una visione del mondo amara e disillusa, basata sull’idea che le relazioni tra uomini e donne siano governate da leggi biologiche immutabili, radicate in migliaia di anni di evoluzione. Questo concetto, mutuato dal film The Matrix, dove la pillola rossa simboleggia la scelta dolorosa ma liberatoria di conoscere la verità, viene rielaborato dalla Manosfera per descrivere un presunto risveglio alla realtà dei rapporti di genere, una realtà in cui le donne sarebbero dominate da un istinto ipergamico che le spinge a cercare sempre partner di status superiore mentre gli uomini sarebbero condannati a competere in un “mercato sessuale” spietato e squilibrato. Uno degli esempi più vividi di questa narrazione è il racconto Life of primitive Jane: the boys are hunting, pubblicato su un forum della Manosfera, che descrive una tribù preistorica in cui Jane, la donna alfa, è ossessionata da Chadrock, il cacciatore forte e dominante, mentre disprezza Bobnick, l’uomo più debole lasciato a guardia del villaggio. La storia, che culmina in una scena di violenza estrema in cui Chadrock uccide Bobnick e poi “reclama” Jane con la forza, viene presentata come una metafora delle dinamiche sessuali ancestrali, dove le donne sarebbero biologicamente programmate per desiderare gli “alpha male” e sfruttare gli uomini più vulnerabili. Il post si conclude con l’affermazione che questi comportamenti sarebbero durati per circa 200.000 anni mentre la società moderna esisterebbe solo da pochi secoli, suggerendo che i geni umani siano ancora “cablati” per seguire queste logiche primitive. Questa visione distopica delle relazioni di genere si basa su una lettura estrema e semplificata della psicologia evoluzionistica, una disciplina che, sebbene abbia avuto una certa popolarità negli anni ’90 con libri come Men Are from Mars, Women Are from Venus, è stata ampiamente criticata per le sue generalizzazioni pseudoscientifiche. La Manosfera ha abbracciato queste teorie sostenendo che le donne siano ipergame per natura, cioè geneticamente predisposte a cercare partner che offrano risorse e status, mentre gli uomini sarebbero programmati per diffondere il loro seme il più possibile. Rolo Tomassi, una figura influente nella comunità, descrive l’ipergamia come il problema più oscuro delle donne, affermando che esse controllerebbero l’accesso al sesso e all’amore, costringendo gli uomini a conformarsi alle loro esigenze biologiche. Questa narrazione si declina in diverse forme all’interno della Manosfera. Nelle comunità MGTOW (Men Going Their Own Way), per esempio, l’ipergamia viene associata allo stereotipo razzista della gold digger, la donna afroamericana che sfrutta economicamente i partner, un tropo ripreso dalla cultura popolare in canzoni come Gold Digger di Kanye West. Un post particolarmente diffuso mostra una coppia afroamericana in cui l’uomo regala alla donna, invece di doni natalizi, bollette da pagare, con il commento sarcastico dei membri del forum che la accusano di avidità. Allo stesso tempo, negli ambienti incel (involuntary celibates), l’attenzione si sposta sull’aspetto fisico. Gli incel credono che solo i Chad (uomini alti, muscolosi e con lineamenti marcati) abbiano successo con le donne mentre loro, definiti beta o cuck, sarebbero condannati all’esclusione sessuale a causa di presunti difetti genetici come una mandibola debole o statura bassa. La “red pill” è una sorta di esperienza quasi religiosa di risveglio in cui gli uomini credono di scoprire una verità sconvolgente ma inevitabile. Come scrive un utente di r/TheRedPill, “la pillola rossa mi ha cambiato la vita”, descrivendo il momento in cui ha realizzato che le donne hanno sempre più uomini in ballo e che, se una non è ossessionata da lui, significa che non è la sua prima scelta. Questo tipo di rivelazione, spesso accompagnata da un linguaggio drammatico (“la verità fa male, ma è necessaria”), crea un senso di appartenenza a una comunità di iniziati, uomini che si vedono come i pochi coraggiosi disposti ad affrontare la cruda realtà. Questa filosofia è intrinsecamente fatalista, non offre soluzioni ma solo una giustificazione biologica alla frustrazione sessuale e sentimentale. Riduce le relazioni a un calcolo economico in cui ogni gesto affettivo viene interpretato come una strategia riproduttiva. Come nota la studiosa Debbie Ging, la Manosfera ripropone una versione ancora più rigida dell’eteronormatività in cui gli uomini sono costretti a performare una mascolinità tossica e le donne vengono dipinte come predatrici opportuniste. Il risultato è una visione del mondo cinica e disperata che anziché aprire a un reale cambiamento rinchiude i suoi adepti in una gabbia di risentimento e autocommiserazione. Nonostante ciò il successo della “red pill” dimostra quanto questa narrativa riesca a dare un senso, seppur distorto, al malessere di molti uomini contemporanei, offrendo una spiegazione semplice a problemi complessi ma è una spiegazione che, negando ogni possibilità di evoluzione culturale e emotiva, condanna chi la abbraccia a una vita di solitudine e rancore. Gli uomini affiliati alla Manosfera costruiscono una narrazione collettiva di oppressione, presentandosi come vittime di un sistema sociale che, a loro dire, ha smantellato i tradizionali privilegi maschili a favore delle donne, in particolare attraverso l’ascesa del femminismo. Questa retorica, che si inserisce in un più ampio contesto di politica identitaria, viene utilizzata per creare un senso di coesione tra i membri di queste comunità online, attirando nuovi aderenti e rafforzando la loro permanenza al loro interno. La sensazione di essere ingiustamente marginalizzati, spesso definita come “crisi della mascolinità”, diventa il fulcro attorno al quale si sviluppano discorsi, teorie e strategie di reclutamento all’interno della Manosfera. Uno degli aspetti più rilevanti è l’appropriazione, da parte di questi uomini, di un linguaggio tipicamente associato ai movimenti per i diritti delle minoranze. Ad esempio, in un post preso da un forum MGTOW, viene mostrata l’immagine di un parcheggio riservato alle donne con il commento: “Gli uomini sono i nuovi n*****, lo giuro. Sono stanco di questa merda del movimento femminista”. Questo tipo di retorica non solo equipara la presunta discriminazione contro gli uomini alla storica oppressione subita dagli afroamericani ma ignora completamente il contesto di razzismo sistemico e violenza che ha caratterizzato la segregazione negli Stati Uniti. Il post, inoltre, riflette una dinamica più ampia in cui la Manosfera assume implicitamente che i suoi membri siano bianchi, escludendo le esperienze degli uomini neri che potrebbero far parte della comunità ma le cui storie di discriminazione razziale vengono completamente ignorate. La narrazione dell’oppressione maschile non nasce in un vuoto sociale, in quanto si colloca all’interno di un fenomeno più ampio analizzato da studiosi come Wendy Brown che ha esaminato come, a partire dagli anni ’80, alcuni gruppi abbiano iniziato a costruire la propria identità politica attorno a un senso di “ferita” (injury) sociale. Secondo Brown questa dinamica porta i gruppi a definire se stessi principalmente attraverso il loro status di vittime, trasformando la marginalizzazione in un elemento identitario centrale. Gli uomini della Manosfera adottano esattamente questo schema. Sostengono che il femminismo abbia “ferito” la loro posizione nella società, privandoli del loro ruolo tradizionale di capofamiglia, della loro autorità nelle relazioni e, più in generale, di quella che percepiscono come la loro legittima superiorità maschile. Un esempio lampante di questa mentalità è il concetto di “invidia della vagina”, discusso in un post su un forum red pill. L’autore del post critica gli uomini che, a suo dire, hanno rinunciato alla loro mascolinità per adottare comportamenti più “femminili”, come esprimere emozioni, cercare relazioni romantiche stabili o mostrare vulnerabilità. Il post contrappone questa presunta debolezza all’”invidia del pene” delle donne che cercherebbero invece di emulare gli uomini in ambiti come la carriera e la sessualità libera, finendo però, secondo l’autore, “miserabili e sole”. Questa dicotomia riflette una visione rigidamente binaria dei generi, in cui uomini e donne dovrebbero conformarsi a ruoli precisi e immutabili, con gli uomini come dominanti e razionali e le donne come emotive e sottomesse. Per Copland questa rappresentazione è piena di contraddizioni. Gli uomini della Manosfera denunciano una “femminilizzazione” della società, sostenendo che gli uomini moderni siano diventati troppo emotivi e deboli ma le stesse comunità sono piene di espressioni di fragilità, risentimento e insicurezza, spesso sotto forma di lunghi sfoghi personali o di richieste di supporto emotivo da parte di altri membri. Inoltre, molti dei leader della Manosfera, come Andrew Tate o Jordan Peterson, incarnano tutt’altro che l’ideale dell’uomo tradizionale lavoratore o fisicamente imponente. Sono spesso figure mediatiche che guadagnano vendendo corsi di autostima, libri di self-help o contenuti online piuttosto che attraverso un’effettiva dimostrazione di quelle che loro stessi definiscono “virtù maschili”. La retorica della Manosfera si basa anche sull’idea che il femminismo abbia creato una società in cui gli uomini sono sistematicamente svantaggiati, un concetto che viene ripreso e amplificato da figure come Coach Corey Wayne, il quale sostiene che il “marxismo culturale” abbia reso gli uomini troppo sensibili e incapaci di affrontare le difficoltà della vita. Wayne, come molti altri influencer della Manosfera, vende soluzioni a questa presunta crisi sotto forma di coaching, integratori o programmi di “ripristino della mascolinità”, sfruttando la paura e il risentimento dei suoi follower. Alla base di tutto questo c’è un profondo senso di perdita: perdita di status, perdita di certezze, perdita di un’identità maschile che, nella loro visione, un tempo era chiara e indiscutibile. Studi sociologici alla mano, però, sappiamo che non esiste alcuna prova concreta che gli uomini siano effettivamente diventati più “femminili” o meno dominanti nella società. Al contrario, statistiche su disparità salariali, violenza di genere e rappresentanza politica mostrano che gli uomini, specialmente quelli bianchi e benestanti, continuano a detenere un potere sproporzionato. La narrazione dell’oppressione maschile nella Manosfera è solo uno strumento retorico che serve a giustificare il risentimento verso le donne e il femminismo, offrendo al contempo una risposta semplice a problemi complessi, ovvero riaffermare un’idea tossica e stereotipata di mascolinità. Questo meccanismo, basato su presupposti falsi, rischia di alimentare ulteriormente sentimenti di alienazione e rabbia, spingendo alcuni uomini verso ideologie ancora più estreme e pericolose.

Secondo queste comunità il femminismo avrebbe sistematicamente privato gli uomini dei loro privilegi tradizionali, danneggiandoli in modo profondo e irreparabile, in particolare attraverso il controllo della sessualità maschile. Un documento citato da Copland, il “red pill primer for boys”, sostiene che a partire dagli anni ’60 la mascolinità sia stata sotto attacco da più fronti, con termini come “cultura dello stupro”, “misoginia” e “patriarcato” utilizzati per demonizzare il comportamento sessuale degli uomini e limitare il loro potere sociale. La critica al femminismo assume spesso la forma di una presunta preoccupazione per le donne stesse, come dimostra l’esempio di Erica Jong, che in un articolo del 1986 su Vanity Fair denunciò di essere stata fischiata da un pubblico femminista per aver celebrato la maternità e la forza delle donne. Jong accusò il femminismo di essersi trasformato in un’ideologia “febbrilmente anti-maschio e anti-famiglia nucleare”, perdendo il contatto con le donne comuni che desiderano vivere con uomini e avere figli. Lauren Berlant, analizzando questo episodio, lo interpreta come sintomo di una crisi interna al femminismo riguardo al significato stesso dell’essere donna, una crisi che il postfemminismo ha cercato di superare proponendo un nuovo “contratto sessuale non detto”. Secondo Angela McRobbie, il postfemminismo invita le donne a rinunciare alle rivendicazioni più radicali del movimento in cambio di accesso al mercato del lavoro e a nuove libertà sessuali ma la Manosfera accusa le femministe contemporanee di non aver rispettato questo patto, continuando a lottare per vantaggi economici e sessuali che svantaggerebbero gli uomini. La loro retorica è profondamente influenzata dal concetto nietzschiano di ressentiment, un risentimento che cerca un capro espiatorio per giustificare il proprio malessere. In questo caso il bersaglio è il femminismo, visto come un movimento che ha “esagerato”, trasformandosi in una “strategia sessuale” finalizzata a controllare e opprimere gli uomini. Un post introduttivo al subreddit r/TheRedPill afferma senza mezzi termini che “il femminismo è una strategia sessuale”, sostenendo che la crescita della Manosfera sia una risposta necessaria alla presunta distorsione del mercato sessuale a favore delle donne. Questo risentimento si traduce in una vera e propria guerra culturale, combattuta su più fronti, dai dibattiti sulla mascolinità tossica alle polemiche sul movimento #MeToo. La Manosfera rifiuta con veemenza il concetto di “mascolinità tossica”, interpretandolo come un attacco generalizzato alla natura stessa dell’uomo, mentre allo stesso tempo promuove l’idea di una “femminilità tossica”, descritta come un insieme di comportamenti manipolatori tipicamente femminili, come la distruzione della reputazione altrui. Un esempio emblematico di questa contraddizione è la reazione alla campagna pubblicitaria di Gillette del 2019 che invitava gli uomini a contrastare comportamenti come il bullismo e le molestie sessuali. La Manosfera ha interpretato il messaggio come un attacco alla mascolinità in sé, organizzando un boicottaggio del brand mentre continuava a utilizzare il termine “femminilità tossica” per descrivere presunti comportamenti distruttivi delle donne. Oltre al femminismo un altro bersaglio della Manosfera è lo Stato, accusato di favorire sistematicamente le donne a discapito degli uomini, specialmente in ambiti come gli alimenti, la custodia dei figli e il trattamento dei veterani. Un post su Reddit mostra un veterano di guerra che, nonostante il servizio prestato in Iraq e Afghanistan, si ritrova a dover pagare migliaia di dollari di mantenimento per i figli senza averne la custodia. Questo caso viene presentato come prova di un governo ormai dominato dal femminismo che avrebbe tradito gli uomini che hanno sacrificato tutto per la nazione. I commenti al post rivelano un profondo risentimento verso le donne, descritte con termini dispregiativi come “thot spouse” (un’espressione che denigra le mogli dei militari, accusate di tradire i mariti durante le missioni) e “foids” (un termine misogino che riduce le donne a oggetti). Simili pensieri si inseriscono in un più ampio sentimento di “anti-politica”, diffuso in Occidente, che sfiducia le istituzioni democratiche e le considera corrotte e distanti dai bisogni reali della popolazione. Jordan Peterson incarna questa critica allo Stato, sostenendo che governi e grandi corporations colludono per limitare le libertà individuali, come dimostra il suo rifiuto di usare i pronomi preferiti delle persone non binarie in nome della libertà di espressione. Nonostante questa sfiducia nelle istituzioni molti nella Manosfera mantengono un attaccamento nostalgico all’idea di nazione e capitalismo, incolpando invece femminismo e politici corrotti per i mali sociali. Come riassume un commentatore: “ama il tuo paese, odia il tuo governo”, riflettendo una contraddizione tipica del populismo di destra che idealizza il passato mentre rifiuta le strutture politiche attuali. La Manosfera evita di analizzare le cause strutturali del malessere maschile, come le disuguaglianze economiche del capitalismo neoliberale, preferendo attribuire tutte le colpe al femminismo e allo Stato. Wendy Brown osserva che, quando le ingiustizie del capitalismo vengono normalizzate e depoliticizzate, altre differenze sociali, come il genere, finiscono per diventare il bersaglio principale del risentimento popolare. È esattamente ciò che accade nella Manosfera, dove il femminismo viene trasformato nel capro espiatorio perfetto, responsabile di tutti i mali che affliggono gli uomini moderni, dalla precarietà economica alla solitudine emotiva. Questo meccanismo alimenta una guerra culturale sempre più polarizzata e distoglie l’attenzione dalle vere cause della crisi della mascolinità, rendendo impossibile qualsiasi soluzione costruttiva.

2. La violenza e il nichilismo

La crisi della solitudine maschile contemporanea è un fenomeno sociale drammatico, documentato da una serie di studi recenti che dipingono un quadro allarmante. I dati rivelano come gli uomini, particolarmente nelle fasce più giovani e tra quelli non sposati, stiano sperimentando livelli senza precedenti di isolamento sociale. La ricerca di Equimundo del 2023 mostra che il 66% degli uomini americani tra i 18 e i 23 anni afferma di non essere veramente conosciuto da nessuno mentre le statistiche di Cox del 2021 dimostrano che la percentuale di uomini senza alcun amico stretto è quadruplicata dal 1990, raggiungendo il preoccupante 15%. Tra gli uomini single la situazione è ancora più grave, con uno su cinque che ammette l’assenza completa di relazioni significative e tra gli under 30 questa cifra sale a uno su quattro. Questo isolamento è il risultato di una complessa interazione tra norme di genere tossiche e trasformazioni socioeconomiche più ampie. Le radici di questa epidemia di solitudine affondano nella mascolinità egemonica che glorifica l’autosufficienza e reprime l’espressione emotiva, rendendo difficile per gli uomini costruire e mantenere legami profondi. Per Willis e Vickery queste caratteristiche tradizionalmente associate alla virilità si rivelano profondamente disfunzionali nella creazione di amicizie autentiche. Il fenomeno va letto anche nel contesto più ampio del neoliberismo e della sua trasformazione delle relazioni sociali. Sears sottolinea come la ristrutturazione capitalistica abbia progressivamente eroso il tempo libero e frammentato i legami comunitari, con persone costrette a lavorare più a lungo e studenti obbligati a conciliare studio e lavoro per sopravvivere. Parallelamente la cultura ornamentale ha promosso una visione iperindividualistica della società, dove ogni persona diventa un’entità in competizione nel mercato globale, come evidenziato dalle analisi di Brown sullo smantellamento del concetto stesso di “sociale” nell’era neoliberista. In questo panorama desolante la Manosfera emerge come apparente risposta alla disperata ricerca di connessione. Questa costellazione di comunità online, che include forum red pill, spazi MGTOW, ambienti incel e seguaci di figure come Jordan Peterson e Andrew Tate, offre agli uomini isolati sia un luogo per esprimere il proprio malessere sia un’identità collettiva con cui identificarsi. Come documentato da Kimmel molti giovani si avvicinano a questi ambienti per il semplice bisogno di essere ascoltati e riconosciuti. La potenza di questi spazi risiede nella loro capacità di funzionare come ciò che Berlant definisce “pubblici intimi”, dove gli uomini possono condividere le proprie frustrazioni e costruire un senso di appartenenza basato su una visione condivisa del mondo. Le testimonianze raccolte nei forum sono rivelatrici: “voi siete i fratelli che non ho mai avuto”, scrive un utente incel mentre un post MGTOW intitolato “Un altro post per dirvi quanto vi amo” esprime gratitudine per aver trovato nella comunità online l’unico luogo di comprensione reciproca. Questa apparente solidarietà nasconde dinamiche più complesse e spesso contraddittorie. La Manosfera non si limita a offrire compagnia ma propone un rigido percorso di automiglioramento che mescola elementi di self-help con una visione ipermascolinizzata del mondo. Figure come Jordan Peterson, con il suo 12 Rules for Life, e Andrew Tate, con la sua Hustler’s University, incarnano perfettamente questa tendenza, trasformando la crisi maschile in un’opportunità commerciale. La campagna “No Nothing November” (NNN) del subreddit r/TheRedPill rappresenta un caso emblematico. Gli uomini vengono incoraggiati a rinunciare a tre vizi (dall’alcol alla pornografia) e ad adottare abitudini “virtuose” come l’allenamento fisico o la meditazione. Sebbene i partecipanti si scambino messaggi di sostegno (“Continua così, fratello!”), il sottotesto è chiaro: l’ammissione alla comunità è condizionata all’adesione a specifici ideali di mascolinità performativa. Questo culto dell’autodisciplina si intreccia pericolosamente con narrative nazionaliste e suprematiste, dove il corpo maschile, scolpito, efficiente, militarizzato, diventa simbolo di resistenza contro il presunto declino occidentale. Un post significativo intitolato “Fai il tuo dovere civico: ALLENATI, CORRI, GIOCA” cita un discorso del tenente generale Mark Hertling che dipinge l’obesità come minaccia alla sicurezza nazionale, sostenendo che gli uomini debbano mantenersi in forma per difendere la società da immaginarie invasioni migratorie. L’eco di questa retorica risuona sinistramente nel manifesto dell’autore del massacro di Christchurch che accusava gli uomini europei di essersi “indeboliti”, permettendo la “sostituzione etnica”. La Manosfera, quindi alimenta una visione del mondo in cui le crisi maschili vengono strumentalizzate per promuovere un’agenda reazionaria.

Nonostante le promesse di fratellanza, queste comunità spesso falliscono nel fornire legami autentici, lasciando gli uomini ancora più isolati. Invece di affrontare le cause strutturali della solitudine, dal crollo dello stato sociale alla precarizzazione del lavoro, la Manosfera individua capri espiatori nelle donne e nelle minoranze, offrendo soluzioni individualistiche che perpetuano risentimento e alienazione. Questi spazi danno l’illusione di un sostegno collettivo mentre in realtà intrappolano i partecipanti in un ciclo di autocolpevolizzazione e rabbia. Il risultato finale è una comunità che, mentre parla ossessivamente di connessione, finisce per replicare e intensificare le stesse dinamiche di isolamento che pretende di combattere, lasciando gli uomini più soli e arrabbiati di prima, prigionieri di un’identità maschile sempre più tossica e disfunzionale. Il movimento MGTOW (Men Going Their Own Way) rappresenta forse l’espressione più pura di questa contraddizione poiché mentre predica un totale distacco dalla società e dalle relazioni con le donne, organizzandosi in una complessa gerarchia di quattro livelli che vanno dalla semplice consapevolezza (“pillola viola”) fino al completo ritiro sociale (“going ghost”), i suoi adepti continuano ossessivamente a cercare validazione proprio all’interno di quella comunità virtuale che dovrebbe insegnare loro a farne a meno. Il consumismo diventa in questo contesto un linguaggio cifrato, un codice attraverso cui questi uomini raccontano e misurano le loro trasformazioni personali. Quando un utente posta la foto di una moto quad che intende acquistare come premio per un anno di sobrietà, quel veicolo cessa di essere un semplice oggetto per trasformarsi in un feticcio carico di significati, un oggetto dotato di “aura religiosa”. Quel motoveicolo rappresenta simultaneamente la riconquista del controllo sulla propria vita, la prova tangibile dell’autodisciplina e soprattutto un trofeo da esibire alla comunità come certificato di appartenenza a una nuova élite di uomini liberi. Le decine di commenti entusiasti (“Super impressionante!”, “Congratulazioni! Anch’io ho smesso!”) non fanno che rinforzare questo rituale collettivo di autolegittimazione. Eppure, sotto questa superficie trionfalistica, scorre una vena profonda di ambivalenza. Gli stessi uomini che esibiscono con orgoglio i propri acquisti, dagli appartamenti minimalisti alle costose attrezzature tecnologiche che trasformano ogni abitazione in una moderna “caverna dell’uomo”, sono i primi a scagliarsi contro il presunto materialismo femminile. Un’immagine particolarmente rivelatrice mostra una stanza spoglia con solo una TV e una sedia, accompagnata dal commento sarcastico di una donna (“Vivete davvero in posti così e non ci trovate nulla di strano?”), a cui un utente ribatte: “fa impazzire le donne che gli uomini possano essere felici così”. Questa dialettica perversa, che condanna nel femminile ciò che viene celebrato nel maschile, svela l’artificio retorico alla base dell’intero sistema. Gli oggetti non sono mai solo oggetti ma diventano armi in una guerra di significati dove la vera posta in gioco è l’identità stessa. La fragilità di questo equilibrio emerge con forza quando si analizza la qualità delle interazioni all’interno di queste comunità. Se andiamo oltre l’apparente solidarietà, i dati dimostrano che i post più profondi e vulnerabili, persino quelli che esprimono pensieri suicidi, vengono sistematicamente sepolti dagli algoritmi che privilegiano contenuti più attrattivi come meme e battute. Un utente che confessa “mi sento come se stessi prendendo pillole per la follia” per la mancanza di connessioni reali, riceve poche risposte, la maggior parte delle quali semplicemente ribadiscono lo stesso senso di isolamento. Le conversazioni raramente evolvono in dialoghi sostanziali, creando invece un loop di monologhi paralleli dove ognuno parla senza mai veramente ascoltare. Questa dinamica trova la sua spiegazione più profonda nella struttura stessa dei social media. Sono reti, sistemi progettati per massimizzare il tempo di permanenza sugli schermi piuttosto che costruire legami autentici. Le piattaforme funzionano come “burattinai nascosti” che modificano costantemente le regole dell’interazione, rendendo impossibile qualsiasi forma di relazione stabile. Il risultato è una forma distorta di intimità pubblica dove gli uomini si ritrovano intrappolati in quello che Berlant definisce “ottimismo crudele”: continuano a partecipare perché credono che, con un po’ più di impegno, un altro acquisto simbolico, un altro ciclo di autodisciplina, riusciranno finalmente a raggiungere quella realizzazione che la comunità promette ma non potrà mai davvero fornire. La crudeltà di questo sistema risiede proprio nella sua inaccessibilità. L’ideale di mascolinità promosso, autonomo, disciplinato, economicamente indipendente, richiede risorse che molti uomini semplicemente non possiedono come tempo libero, denaro, assenza di responsabilità di cura. Chi non può permettersi la palestra costosa, l’appartamento minimalista o la moto quad come premio per la sobrietà, si trova automaticamente escluso dalla narrazione dominante. Ammettere questa esclusione è impossibile perché significherebbe confessare il fallimento nell’unica metrica che la comunità riconosce, cioè la capacità di performare con successo un’identità maschile iperindividualista. Il paradosso finale è che la Manosfera mentre si propone come cura alla crisi maschile contemporanea in realtà ne riproduce e amplifica tutte le contraddizioni. Offre comunità senza vera connessione, libertà senza emancipazione, identità senza autenticità. Gli uomini che vi si rivolgono cercano risposte a un malessere reale, la solitudine, la mancanza di senso, il crollo delle tradizionali forme di appartenenza, ma trovano solo uno specchio distorto che rimanda loro, ancora più ingigantiti, gli stessi problemi da cui cercavano di fuggire. La Manosfera è il sintomo più chiaro e, al tempo stesso, la più perfetta allegoria della crisi maschile.

Ora, dice Copland, immaginiamo per un attimo quel post straziante su un forum incel, dove un utente, con la precisione chirurgica di chi ha vissuto ogni ferita, racconta la sua caduta a pezzi: l’infanzia segnata dall’emarginazione, forse per un lieve disturbo dello spettro autistico, forse per una timidezza inguaribile, l’adolescenza trascorsa ai margini dei gruppi, osservando da lontano i coetanei che sembravano muoversi nel mondo con una naturalezza per lui incomprensibile, i tentativi falliti, uno dopo l’altro, di costruire legami, di essere desiderato, di contare qualcosa. Poi, il crollo. La depressione che si insinua come una nebbia, la sensazione di essere un fallito persino nell’arte di arrendersi. Questo racconto non è un’eccezione ma la norma in questi spazi digitali, dove migliaia di uomini si riconoscono in un coro di voci spezzate, accomunate dalla convinzione che il mondo li abbia esclusi senza appello. Copland, scavando in queste narrazioni, va oltre le spiegazioni superficiali. Certo, la mascolinità tossica gioca un ruolo cruciale, quel modello di virilità che impone agli uomini di essere dominanti, stoici, sessualmente irresistibili, condannando chi non ci riesce all’autoflagellazione, ma c’è di più, molto di più. Il vero motore di questa spirale distruttiva è il nichilismo, inteso come esperienza concreta, quotidiana, di chi ha smarrito ogni fiducia nel futuro. Non il nichilismo di Nietzsche, legato alla crisi della religione, ma un nichilismo moderno, figlio del capitalismo in frantumi e delle promesse tradizionali, la carriera, la famiglia, il successo, che si sono rivelate illusioni. Prendiamo, ad esempio, quei thread in cui gli utenti smontano pezzo per pezzo il “sogno americano”. Un uomo descrive con amaro sarcasmo una vita condannata a lavorare 60 ore a settimana per mantenere una moglie infedele per poi finire solo, malato e divorziato. Un altro, in un forum MGTOW, si interroga sul perché il sesso sia diventato un’ossessione sociale, un nuovo dio a cui sacrificare tutto. “Ero in macchina con questa ragazza che mi faceva un bocchino,” scrive, “e non capivo perché tutti ne facciano un dramma. È davvero solo questo?”. Questi uomini non sono semplicemente arrabbiati, hanno smesso di credere nel significato stesso delle cose che la società considera desiderabili. Ed è qui che Copland compie una svolta cruciale, distinguendo tra due volti del nichilismo. Abbiamo il nichilismo passivo, quello che si annida nelle stanze buie della depressione, nell’abbandono di ogni speranza, nei post che parlano di suicidio come unica via d’uscita, e il nichilismo radicale che invece della rassegnazione sceglie la rabbia, la distruzione, la vendetta. Per capire quest’ultimo Copland ci porta dentro la mente di Elliot Rodger, il killer di Isla Vista, attraverso il suo manifesto. Rodger non era un poveraccio emarginato, veniva da una famiglia benestante, con genitori inseriti nell’alta società hollywoodiana. Eppure si sentiva un reietto, umiliato dalle donne che lo rifiutavano e dagli uomini, specialmente quelli di colore, che invece avevano successo. La sua violenza era il gesto disperato di chi, convinto che il mondo avesse respinto i suoi valori, decideva di annientarlo. “Se non posso averlo, lo distruggerò,” scriveva, trasformando la sua frustrazione in un’ideologia della distruzione. La Manosfera è una cassa di risonanza che amplifica e trasforma il dolore in identità collettiva. Prendiamo il concetto della “red pill”, non è solo una metafora ma un vero e proprio rito di passaggio. “Prendere la pillola rossa” significa svegliarsi da un sonno dogmatico per vedere la realtà nuda e cruda, un mondo dove le donne sono calcolatrici, gli uomini “alfa” dominano e i “beta” come loro sono condannati all’invisibilità. Questa rivelazione, anziché liberarli, li imprigiona in una visione del mondo senza speranza, dove l’unica scelta è tra arrendersi (nichilismo passivo) o far esplodere tutto (nichilismo radicale). E qui l’analisi si fa ancora più sottile, mostrando come questi uomini non rifiutino semplicemente la società ma ne sovvertano i valori in modo deliberato. Thread che sostengono che “il suffragio femminile è stato un errore”, articoli che propongono di legalizzare lo stupro (“se avviene in proprietà privata”), meme che glorificano la violenza, tutto questo non è solo odio ma un tentativo di ribaltare ogni norma, di dichiarare che nulla ha più valore. È lo stesso impulso che si vede in certi politici contemporanei che giocano a frantumare le convenzioni solo per il gusto di vederle in pezzi. Copland scava più a fondo, mostrando come questa deriva nichilista sia anche il sintomo di un malessere più grande, ovvero un’epoca in cui il futuro non promette più miglioramento, in cui il lavoro non dà stabilità, in cui le relazioni sono terreno minato. La violenza della Manosfera è l’estrema conseguenza di uomini che non si sentono solo falliti ma superflui e che, nella mancanza di alternative, trasformano la loro disperazione in un’arma. Alla fine, ciò che rimane è un quadro complesso e disturbante: non una semplice galassia di odio online ma un riflesso distorto delle paure di un’intera generazione. La domanda che Copland lascia sospesa è se la società saprà offrire a questi uomini qualcosa in cui credere prima che il loro nichilismo li consumi completamente e li porti a consumare gli altri.

Copland in seguito si sofferma sul fenomeno del nichilismo passivo e del suicidio nelle comunità incel, rivelando una crisi esistenziale che travalica la semplice frustrazione sessuale per configurarsi come un vero e proprio collasso del significato esistenziale. Nel corso della sua ricerca etnografica digitale si è imbattuto in un flusso costante di note suicide postate su forum incel, con una frequenza stimata di almeno una alla settimana solo sulla piattaforma Reddit, dove un utente ha creato l’account u/incelgraveyard per documentarne sistematicamente ben novantaquattro casi. Questi messaggi, spesso lasciati da utenti che poi cessavano ogni attività online (lasciando supporre l’avvenuto suicidio), si distinguono per una crudezza emotiva che colpisce profondamente il lettore, mostrando come per questi individui la morte rappresenti l’unico atto di agency in un’esistenza percepita come totalmente priva di valore. L’analisi si concentra in particolare su una nota emblematica intitolata “My Time is Over”, dove l’utente, in data 14 luglio 2018, annuncia il proprio suicidio imminente con un tono che mescola disperazione e lucidità. Il testo demolisce sistematicamente i cliché ottimistici (“andrà meglio”, “troverai qualcuno”) che la società propina come palliativi esistenziali, definendoli senza mezzi termini “bullshit”. Ciò che emerge non è solo la rabbia verso un mondo fallace ma un’autocolpevolizzazione radicale che investe ogni aspetto dell’io: l’aspetto fisico, l’intelligenza, la personalità, in una spirale di autodisprezzo che Heidegger avrebbe definito come il crollo totale di quei valori esistenziali che permettono all’uomo di orientarsi nel mondo. La disperazione dell’utente si estende a una condizione di isolamento totale. Oltre all’assenza di relazioni romantiche (dove le donne vengono descritte come “awful”), ci sono la mancanza di amici e una famiglia descritta come totalmente indifferente al suo destino (“couldn’t care less if I roped”). Questo quadro rispecchia perfettamente quella che Cover definisce “la maledizione dell’aspirazione frustrata”, dove il soggetto si percepisce come intrinsecamente inadatto a raggiungere gli standard sociali di successo, sia in termini di genere che più ampiamente esistenziali. La ricerca citata dimostra come proprio questo senso di inadeguatezza rispetto ai modelli dominanti di mascolinità sia uno dei principali fattori predisponenti al suicidio maschile.  

Paradossalmente l’unico barlume di conforto viene identificato nella comunità incel stessa, descritta come l’unico gruppo che “ha mostrato come è davvero il mondo” e che “è sempre stato al mio fianco”. Questa presunta solidarietà si rivela inconsistente visto che il post riceve poche risposte rispetto ai contenuti più frivoli del forum, dimostrando come la Manosfera, nonostante la retorica della fratellanza, sia incapace di fornire un vero sostegno emotivo. Le reazioni degli altri utenti oscillano tra tiepidi tentativi di dissuasione (“Don’t do it”) e commenti rassegnati che normalizzano il gesto (“RIP”, “see you in incelhalla”), rivelando una comunità che, più che offrire alternative, funziona da cassa di risonanza per la disperazione collettiva.  

Il suicidio ha una natura paradossale perché è insieme un atto passivo e attivo. Se da un lato rappresenta la resa definitiva al nichilismo, dall’altro viene vissuto da molti incel come ultimo gesto di affermazione della propria agency. Jaworski dimostra come gli uomini tendano a scegliere metodi più violenti e definitivi (come armi da fuoco), interpretando il suicidio come atto di coraggio e resistenza. Wendy Brown lo definisce “apocalisse personale”, l’estrema risposta di chi, non potendo dominare il mondo, sceglie di annientarsi per sottrarsi al suo dominio. La nota si conclude con una richiesta struggente: “Non dimenticatemi” che suona particolarmente ironica in un contesto di anonimato digitale dove ogni utente è ridotto a un nickname intercambiabile. L’ultimo messaggio, “realizzate il mio sogno e cambiate il mondo”, rivela tutta l’ambivalenza di questo nichilismo: un’apparente speranza che nasconde la più totale sfiducia nel cambiamento, tanto che l’utente preferisce investire i suoi ultimi soldi in un kit per il suicidio indolore piuttosto che in qualsiasi progetto vitale. Copland sottolinea l’impotenza etica del ricercatore di fronte a queste tragedie digitali perché in un’intervista tradizionale è possibile stabilire una connessione umana e indirizzare verso aiuti professionali, sui forum la struttura stessa della piattaforma (mancanza di geolocalizzazione, algoritmi che seppelliscono i post drammatici) rende qualsiasi intervento praticamente impossibile. Questa impotenza rispecchia quella della comunità incel stessa, capaci di diagnosticare il proprio dolore ma incapaci di trovare soluzioni costruttive, intrappolati in quello che Berlant definisce “ottimismo crudele”, dove la stessa speranza diventa fonte di tormento.

3. Conclusioni

Per Copland la crisi esistenziale della mascolinità tradizionale è da legare al declino dei settori industriali tradizionali, all’erosione dello stato sociale e alla frammentazione delle comunità locali che hanno creato un terreno fertile per la radicalizzazione. Gli uomini, specialmente quelli giovani e con basso capitale culturale, si trovano intrappolati in una doppia crisi. Non riescono più a soddisfare le aspettative tradizionali del ruolo maschile (il sostentamento economico, la stabilità familiare) mentre vengono esclusi dai nuovi modelli di mascolinità più progressisti. È in questo vuoto identitario che la Manosfera prospera, offrendo una narrazione semplice ma potente che trasforma la complessità del reale in una guerra tra i sessi. L’analisi linguistica condotta sui forum più influenti rivela come il lessico della Manosfera sia studiato per risignificare la realtà. Termini come “redpill” suggeriscono che i membri abbiano accesso a una verità nascosta, “MGTOW” (Men Going Their Own Way) promette autonomia da un sistema ostile, “incel” (involuntary celibate) medicalizza la mancanza di relazioni sessuali trasformandola in un’ingiustizia sistemica. Questa risemantizzazione opera una doppia violenza perché deresponsabilizza gli individui e costruisce un universo simbolico alternativo sempre più scollegato dalla realtà empirica.

Particolarmente illuminante è la sezione che esamina l’infrastruttura tecnologica della Manosfera. Copland dimostra come piattaforme come Reddit, 4chan e Telegram siano veri e propri acceleratori di radicalizzazione. Gli algoritmi di raccomandazione, ottimizzati per massimizzare l’engagement, creano camere di risonanza sempre più estreme mentre le architetture anonime permettono la diffusione di contenuti che altrove verrebbero censurati. Uno studio longitudinale citato nel libro mostra come un utente che inizia seguendo contenuti sul miglioramento personale possa, in poche settimane, essere indirizzato verso forum apertamente misogini, attraverso un processo graduale di desensibilizzazione. La parte più sconvolgente della ricerca riguarda l’impatto concreto di queste ideologie. Attraverso un meticoloso lavoro di archivio Copland collega decine di episodi di violenza di genere a precisi filoni della retorica manosferica. Oltre ai casi eclatanti come le stragi di Isla Vista o Toronto troviamo un continuum di aggressioni, molestie e abusi che seguono uno schema riconoscibile. Le analisi dei manifesti lasciati dagli aggressori rivelano una sorprendente uniformità lessicale e concettuale, dimostrando come questi individui si percepiscono come soldati di una guerra più ampia. Di fronte a questa realtà le soluzioni tradizionali si rivelano drammaticamente inadeguate. Copland smonta con dati alla mano l’inefficacia dei semplici ban online. Quando Reddit ha chiuso alcuni subreddit misogini il traffico complessivo è diminuito ma l’estremismo dei rimanenti è aumentato esponenzialmente. Allo stesso modo i tentativi di inserire la misoginia estrema nelle legislazioni antiterrorismo hanno prodotto risultati contrastanti, rischiando di criminalizzare il malcontento invece di affrontarne le cause. La proposta alternativa è tanto radicale quanto necessaria: solo un approccio sistemico che agisca simultaneamente su più livelli può sperare di contrastare efficacemente il fenomeno. Per Copland è essenziale intervenire sull’infrastruttura digitale, regolando gli algoritmi che favoriscono la radicalizzazione e sviluppando strumenti più sofisticati di rilevazione precoce ma occorre creare alternative concrete alla Manosfera come spazi fisici e digitali dove gli uomini possano elaborare le proprie fragilità senza ricadere nella trappola dell’odio. Tuttavia il cuore della soluzione sta nel riconoscere che la Manosfera è solo la punta dell’iceberg di un malessere più profondo. Le statistiche presentate mostrano una generazione maschile sempre più alienata, con tassi crescenti di isolamento sociale, dipendenze e suicidi. Interventi come il reddito universale, il potenziamento dei servizi mentali e la riconversione professionale diventano strumenti essenziali per privare la Manosfera del suo bacino di reclutamento. In un’epoca dove il valore delle persone è sempre più determinato dalla loro produttività economica e dalla loro visibilità sociale, gli uomini che non riescono a conformarsi a questi standard diventano facile preda di ideologie che trasformano la loro frustrazione in odio. La sfida che ci attende è ripensare radicalmente il modo in cui la nostra società concepisce il valore umano al di là dei tradizionali parametri di successo maschile.

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