Comunisti come noi

  1. Reinventare il comunismo

Antonio Negri e Félix Guattari in Nuovi spazi di libertà, tradotto dal francese da Carlo Crosato, Diego Arturo Giordano e Gioacchino Lavanco, definiscono il comunismo come la via della liberazione delle singolarità individuali e collettive per distinguersi dall’applicazione concreta di questo ideale nei regimi del socialismo reale. Nonostante il loro fallimento permangono i problemi del capitalismo, con l’umiliazione dell’uomo attraverso la miseria e la disoccupazione. Il lavoro, sia nell’organizzazione capitalistica che socialista, è fonte di irrazionalità e costrizione e i sistemi di riproduzione amplificano questi problemi fino a giungere nelle coscienze e nelle soggettività collettive. Questa macchina di assoggettamento capitalistico mette in piedi un sistema di sorveglianza collettiva e di autosorveglianza che cerca di impedire una fuga dal sistema e di contrastare ogni tentativo di mettere in discussione questo sistema. Gli autori invitano a reinventare tutto. Le finalità del lavoro, la disposizione del socius, i diritti e le libertà. Per questo motivo Negri e Guattari chiamano comunismo la lotta collettiva per liberare il lavoro. Non esistono solo la via capitalista e socialista. La loro vitalità dipende dalla nostra incapacità di ricostruire un progetto di liberazione.

“Noi chiamiamo l’insieme delle pratiche sociali di trasformazione delle coscienze e delle realtà a livello politico e sociale, storico e quotidiano, collettivo e individuale, consapevole e inconsapevole. Il discorso è già un atto. Realizzare un altro discorso sull’esistente può innescare la sua distruzione”1.

Si tratta di un comunismo pensato come immaginazione basata sui processi collettivi e individuali che attraversa il mondo non sotto forma di una fantasma ma come un’onda di rifiuto e speranza. Il comunismo è il grido di lotta e di vita contro l’accerchiamento dell’organizzazione capitalista e socialista del lavoro che sta portando il mondo, nel momento in cui il libro viene scritto, verso lo sterminio dell’umanità. Negri e Guattari parlano della minaccia della guerra e della distruzione via nucleare associata all’evoluzione dello sfruttamento. Per evitare un simile esito serve un’azione collettiva di libertà.

Descrivono, inoltre, una vita quotidiana soggetta alla paura trascendentale che si infiltra nelle coscienze individuali e porta alla polarizzazione dell’umanità attorno ad un punto di catastrofe. Le coscienze delle persone polverizzate si riducono ad abbandonarsi alla disperazione individualizzata e ad una implosione personale degli universi di valore. Guattari e Negri sostengono che tutte le forme di impotenza si ancorano a questo processo. Lo sfruttamento è diventata una paura universale fisica e metafisica che coinvolge le linee di singolarità del desiderio. Allo stesso tempo lo sviluppo della scienza e della potenza produttiva hanno raggiunto un tale livello da porre l’alternativa tra distruzione e comunismo che va inteso come liberazione del lavoro per valorizzare le potenzialità della produzione collettiva.

Il comunismo è la creazione delle condizioni per il rinnovamento della produzione sociale e dell’attività umana con il dispiegamento dei processi di autorganizzazione, autovalorizzazione con l’intento di riappropriarsi del lavoro come attività liberatrice e creatrice che modifica i rapporti tra soggetti per generare nuovi rapporti di desiderio per ribaltare la situazione presente.

Il lavoro, dicono Guattari e Negri, può essere liberato perché fa parte del modo di essere di un uomo razionale, solidale e collettivo. Tuttavia dobbiamo scontrarci con la capacità del Capitale nell’utilizzo della forza collettiva del lavoro nelle sue molteplici variazioni come variabile dipendente mentre si presenta come un invariante non delimitabile. Si tratta di un’aporia con cui i movimenti devono confrontarsi. Il rifiuto del lavoro diventa una prospettiva di lotta per distruggere le strutture che impediscono la vera liberazione del lavoro.

“Si tratta, ora e subito, di accumulare un altro capitale, quello di una intelligenza collettiva della libertà, capace di pilotare le singolarità fuori dall’ordine di serialità e di unidimensionalità del capitalismo. Si tratta di sostenere i processi di emergenza e di amplificazione dei progetti di liberazione, in altri termini, di una riconquista del controllo sul tempo della produzione, che è l’essenziale del tempo della vita”2.

Per raggiungere questo scopo si formano alleanze di nuovo tipo dentro le lotte che possono essere comprese con le categorie di antagonismo molare, cioè le lotte contro lo sfruttamento, la prospettiva della liberazione del lavoro e la critica della sua organizzazione, e proliferazione molecolare, ovvero i processi singolari che finiscono per trasformare in maniera irreversibile i rapporti tra gli individui e le collettività con il mondo materiale e dei segni.

  1. Il ‘68 e la reazione degli anni ‘70

Negri e Guattari sostengono che il ‘68 abbia aperto ad nuovo e superiore ciclo di lotte capace di aprire nuovi spazi di possibilità al concetto di comunismo. Il ‘68, riprendendo le analisi negriane su Keynes e la crisi del ‘29, è il capolinea di un modello di compromesso sociale, quello fordista, emerso per imbrigliare la lotta di classe. Questo evento è collegato anche a tutta una serie di trasformazioni nel lavoro. Il conflitto tra padroni e proletari aveva prodotto un sistema di produzione sempre più massificato ed integrato affiancato da un modello di gestione delle crisi che aveva introdotto elementi di pianificazione anche nel capitalismo. In questo sistema, dicono gli autori, la legge del valore non si può più incarnare nelle semiotiche monetarie ed economiche “in quanto semplice proporzione tra quantità di lavoro concreto, ma in quanto masse di lavoro astratto, deterritorializzate in gradi diversi e che si integravano ai fattori del tempo umano di lavoro direttamente assoggettato alla produzione, ‘capitali’ di conoscenza collettiva, di formazione, di disciplina, e di attrezzature tecnologiche, informatiche sempre più sofisticate e integrati su scala planetaria”3.

Questo scenario vede lo sviluppo dei processi di cooperazione nella forza collettiva del lavoro che ha contribuito a rendere la classe operaia una classe di consumo. Inoltre, queste trasformazioni rendono l’intera società una fabbrica dove il capitale negozia con i sindacati le quote di reddito con il proletariato. Per questo si parla di fabbrica diffusa, un concetto chiave nell’elaborazione negriana del periodo di Autonomia Operaia, e ciò ha ripercussioni notevoli sulla qualità del produrre dove si verificano processi di deterritorializzazione di componenti produttive che operano ad un alto livello di astrazione nelle fabbriche e che vengono trasferite al resto della società mentre la produzione viene rinforzata dalla socialità immediata. In questo modo viene stabilito un legame tra il senso di inerenza alla produzione e alla partecipazione alla macchina sociale e allo stesso tempo se ne crea uno tra sfruttamento e promozione. Quest’ultima incide sulla partecipazione perché il padrone attento alla socializzazione si dimostra capace di mantenerla in vita in un contesto di regole utile per rafforzare e riprodurre il suo comando e una ripartizione del prodotto sociale favorevole ai suoi interessi.

Il ‘68 si è scontrato anche con un potere politico incapace di leggere la trasformazione della soggettività collettiva se non dall’esterno, sotto la forma del blocco, della repressione e, più tardi, del recupero. Dal punto di vista dell’immaginazione politica collettiva, invece, questo movimento segna un punto di non ritorno. Non è più pensabile la politica al di fuori dei paradigmi e dei dispositivi di trasformazione emersi nel ‘68. La sinistra tradizionale sembra non averlo capito, dicono Negri e Guattari, ed è dimostrabile molto facilmente a partire dai comportamenti dei partiti comunisti prigionieri di vecchi schemi e figure della produzione che sono radicalmente cambiate, incapaci di analizzare e prendere atto del crollo del compromesso fordista. La reazione a questo movimento fu, sia in Occidente che nel campo socialista, all’insegna del conservatorismo sociale, ovvero incanalare le lotte lungo il corporativismo, reazione politica, ovvero il ricorso ai poteri dello Stato per ridare legittimità alle vecchie élite politiche, e infine segmentazione della soggettività collettiva attraverso mass-media, strutture collettive e welfare state. Il ‘68, in ogni caso, aveva colpito duramente le strutture istituzionali e costituzionali di tutti i paesi che furono minacciate dall’interno, per loro inadeguatezza, e dall’esterno, per le nuove forme proletarie di protesta. In questo, sostengono Guattari e Negri, ogni prospettiva di un capitalismo progressista basato sull’ampliamento della partecipazione delle masse popolari è esclusa. Tutto ciò è collegato all’emergere di nuove soggettività collettive che irrompono in queste trasformazioni sociali. A questo punto del discorso è stato dimostrato come esse siano figlie di cambiamenti nella produzione e nella qualificazione sociale e infine come siano irrecuperabili al vecchio sistema politico. Bisogna portare queste novità sul piano delle coscienze, dei desideri e dei comportamenti. Si tratta di un livello in cui i cambiamenti sono irreversibili.

“I nuovi modi della soggettività hanno spiazzato letteralmente i vecchi scenari della lotta di classe, installandosi alle radici immaginarie e cognitive delle nuove dimensioni del produrre, trasmutando la presa di coscienza che a loro corrisponde in un atto di volontà trasformatrice”4.

Nascono nuovi territori politici a seguito dei processi di singolarizzazione del desiderio e le pratiche politiche connesse ad essi, come per esempio una contestazione della proprietà privata che è anche negazione radicale di tutto il collettivismo cieco delle imprese capitaliste e socialiste. Oppure pensiamo al rifiuto del lavoro che è legato alla volontà di una produttività sociale maggiore.

“Si tratta di rompere ogni rapporto di necessità tra quest’ultima e la massificazione della soggettività sociale; si tratta di ridurre questo rapporto ad un paradosso in cui la miseria di questa massificazione sia costretta a confrontarsi con i processi più singolari della soggettività. Il comunismo non ha niente a che fare con la barbarie collettivista che ci hanno esibito! Il comunismo è la sperimentazione della soggettività più intensa, è la massimizzazione di processi di singolarizzazione suscettibili di nascere a partire dalle nostre matrici collettive. Nessuna universalità dell’uomo può essere estratta dalla nuda astrazione del valore sociale”5.

Abbiamo così la manifestazione del singolare come molteplicità ed è la base, il valore, dicono Negri e Guattari, su cui possiamo ricostruire un lavoro che non si cristalizza nella proprietà privata e non vede gli strumenti della produzione come dei fini in sé ma come mezzi per la felicità della singolarità e per l’espansione dei rizomi macchinistici astratti e/o concreti. Inoltre questo lavoro è capace di mettere in discussione il potere e rifiuta categoricamente ogni compromesso tra la propria esistenza e la produttività. Si tratta di un lavoro ripensato dentro le trasformazioni e dentro i dispositivi della produzione all’interno di pratiche di liberazione sviluppate da queste nuove soggettività collettive.

Con gli anni ‘70 si assiste ad una ripresa dell’accumulazione capitalistica che è affiancata da una ristrutturazione del potere, con il risultato di produrre una forte integrazione tra politico, economico, Stato e capitale secondo due direzioni. La prima è quella del Capitalismo Mondiale Integrato (CMI), ovvero un progetto policentrico e pianificato volto a subordinare le relazioni economiche ad esso. Il CMI, dicono Negri e Guattari, esaspera l’unità del mercato mondiale e la sottomette con gli strumenti della pianificazione produttiva, del controllo monetario, del suggerimento politico con caratteristiche statali. In questo processo nessun paese è escluso. Vi troviamo tanto i paesi metropolitani quanto quelli socialisti e del Terzo Mondo. Tutti sono sottomessi a questa vera e propria deterritorializzazione che finisce per produrre delle nuove funzioni statuali supplementari capaci di esprimersi attraverso organizzazioni internazionali oppure controllo del mercato e della tecnologia. L’espansione sul pianeta del CMI avviene sia per infiltrazione molecolare che attraverso meccanismi più morbidi definibili come contrattuali. La seconda direzione di sviluppo prevede la ristrutturazione dei modi produrre e della forza lavoro a partire dall’informatizzazione del sociale che ha consentito il dispiegarsi dei processi di integrazione e deterritorializzazione. In questo modo è possibile comprendere lo sfruttamento esteso a tutto il campo del sociale dove si sviluppano le catene della produzione industriale e commerciale, non solo formalmente ma anche materialmente. Non c’è più solamente la sussunzione della società al comando del capitale ma il suo assorbimento ad opera del modo di produzione integrato. In questo modo è possibile spiegare la presenza di diverse produttività e diversi gradi di sfruttamento all’interno di singoli segmenti geopolitici, tra regioni, tra paesi e continenti. Per Negri e Guattari con il CMI la concorrenza non riguarda più, in larga parte, la riqualificazione capitalista bensì la lotta tra lavoratori e diversi strati della classe operaia e del proletariato.

“Diventa così possibile per il CMI attivare dispositivi specifici di analisi e di controllo delle classi sociali facendo scoppiare le lotte o polverizzando la loro potenza laddove il loro grado di politicizzazione è importante o, al contrario, scatenarle in modo controllato, laddove i problemi di ‘decollo’ economico e di riforma politica si pongono in modo urgente”6.

Queste trasformazioni ovviamente ridefiniscono i modi di estrazione del plusvalore e sono anticipate dai movimenti di lotta di classe, seguendo la lezione di Operai e Capitale. In questo caso Negri e Guattari stanno facendo riferimento alle soggettività sociali emerse nel ‘68 che hanno generato lotte molecolari di liberazioni a partire da obiettivi immediati e di lunga durata.

Il CMI è l’esito delle iniziative di Nixon in materia monetaria e di politica internazionale. Tra il 1971 e il 1973 nasce una rete di sfruttamento globale a partire dalle multinazionali che operano sul mercato mondiale che si nutre di eventi come la crisi petrolifera, il dollaro che soppianta la parità-oro, ristrutturazioni del mercato del lavoro e della gerarchia produttiva a livello mondiale. A partire da ciò viene ridefinita quella che Negri e Guattari chiamano cartografia politica effettiva dello sfruttamento a livello mondiale. Essa determina la presenza di polarità intorno alle quali vivono dei sotto-sistemi dipendenti in parziale rottura con le gerarchie di potere che finiscono per sovracodificare le lotte di liberazione nazionale e le lotte di classe.

“All’interno di questo gioco complesso di sistemi multicentrici, che disarticolano i flussi delle lotte e operano destabilizzazioni e/o stabilizzazioni strategiche, si consolida un modo di produzione transnazionale. Lungo tutte le nervature di questi insieme sistemici si può ritrovare l’immensa impresa di produzione della soggettività informatizzata che regola i reticoli di dipendenza e i processi di marginalizzazione”7.

Il CMI, grazie alle destre al potere, è riuscito ad istituzionalizzare le nuove figure della lotta di classe e utilizzarle come motore di sviluppo. Questo è stato reso possibile dalla concorrenza transnazionale tra settori di classe, le politiche monetarie deflazioniste che hanno prodotto disoccupazione e la trasformazione del Welfare State per una crescita “controllata” della povertà. A ciò si aggiunge una politica di repressione polverizzata e molecolare nei confronti di chiunque opponga resistenza o esprima liberamente i propri bisogni. Il CMI punta anche alla separazione del proletariato, dividendo una quota di garantiti con cui negoziare la garanzia della produzione dalla massa più grande di esclusi e non garantiti.

  1. La lotta continua

Durante la ristrutturazione produttiva imposta dal CMI le nuove soggettività rivoluzionarie hanno iniziato ad individuare e analizzare le rotture imposte dal nemico e i loro effetti. Negri e Guattari sostengono che il CMI in questo modo produce un modello tripolare di soggettività capace di attraversare sincronicamente tutti i livelli collettivi inconsci, le coscienze personali e le soggettività dei gruppi di ogni scala, dai gruppi primari alle etnie. Questi poli sono: il polo elitario che include i tecnocrati dell’allora campo socialista e i dirigenti del capitalismo occidentale, il polo garantito che attraversa tutte le stratificazioni di classe e infine un polo non-garantito che attraverso tutte le classi allo stesso modo del precedente. Le nuove soggettività rivoluzionarie, in questo contesto, si scontrano con un desiderio di pace, sicurezza collettiva, salvaguardia di una riproduzione minima contro la disoccupazione e la miseria. Il terrore dell’assenza di garanzia è presente in tutti e tre i poli della soggettività e la base essenziale dell’odierna produzione diventa una massa fluttuante composta da un miscuglio composta da garantismo e non garantismo. Negri e Guattari sostengono che i non garantiti siano importanti per il capitalismo poiché su di essi si fonda l’instaurazione del potere capitalistico, le istituzioni della repressione e la marginalizzazione. Allo stesso tempo sono essenziali nella produzione a causa dei valori e del potenziale produttivo di cui sono portatori. Riescono anche a possedere linee di immaginazione e di lotte capaci di catalizzare i divenire singolari, di far nascere altre prassi, altri riferimenti che hanno la potenzialità di rottura con la macchina di controllo e disciplinarizzazione della forza collettiva del lavoro.

“La storia delle lotte degli anni ‘70 ha già delineato il processo di ricomposizione e di liberazione sociale. Numerose matrici di rottura furono allora avviate dalle nuove concatenazioni proletarie. Qualunque fosse la loro diversità, tutte traevano origine dai prodigiosi cambiamenti di una forza produttiva sociale sempre più complessa, superpotente e deterritorializzata, e che si affermava con una evidenza rinforzata contro la normalizzazione repressiva e la ristrutturazione per mezzo della segmentazione e della stratificazione sociale. Queste fasi di lotta furono soprattutto significative come esperienza di scoperta e di comprensione operaia delle cesure e delle supercodificazioni corporativiste imposte al socius proletario, e come esperienza di lotta interna contro la violenza per mezzo della quale il CMI ha tentato costantemente di interdire i processi di innovazione sui diversi terreni. La segmentazione tripolare, propria del CMI, si è trovata così ricoperta da lotte, interne a quelle di ciascuna componente soggettiva”8.

Tutte le lotte contro la ristrutturazione reazionaria, dal movimento del ‘77 a Solidarnosc, si muovono contro il tessuto repressivo, sia dentro i processi di soggettivazione che come tensioni unificatrici verso una prospettiva di autoliberazione e di conseguenza si arriva alla liquidazione di ogni ideologia dell’avanguardia esterna. I nuovi modi di soggettivazione, inoltre, hanno superato il movimento operaio con l’allargamento delle competenze e delle “performances” delle concatenazioni di soggettivazione implicate. Negri e Guattari sostengono che attraverso un movimento multicefalo e un’organizzazione proliferante, esse siano in grado di estendere le loro istanze di liberazione a tutto lo spettro della produzione e della riproduzione. Allora ogni rivoluzione molecolare, ogni autonomia e ogni movimento minoritario sarà in grado di rompere con lo schema dello sfruttamento imposto dal capitale come realtà dominante. Questo proletariato moderno, deterritorializzato e fluttuante, sarà in grado di prendere in considerazione le segmentazioni capitalistiche e le loro rotture senza tenere conto di parole d’ordine o programmi ma solo le proposizioni diagrammatiche del comunismo e della liberazione.

Questo ci porta all’interrogativo dell’organizzazione di queste nuove soggettività rivoluzionarie. Occorre scartare ogni nostalgia per le tradizionali ideologie del movimento operaio come il leninismo e l’anarchismo. I movimenti dovranno dotarsi di nuove macchine di lotta per vincere e avranno molteplici funzioni. Il carattere originale e specifico dell’articolazione delle singolarità porta a scartare ogni ipotesi centralista, la quale è solo un calco di quello Stato da sfidare e battere. Negri e Guattari rifiutano tutti i modelli capaci di ripetere modelli pregni di alienazione rappresentativa e che replicano la frattura tra i livelli in cui prende forma la volontà politica e quelli dove troviamo la sua esecuzione e la sua amministrazione. La nuova domanda di organizzazione nasce dalla nuova essenza della forza produttiva sociale.

“E questa essenza è giustamente la sua fluidità, la multivalenza dei suoi riferimenti concettuali, la sua capacità permanente di astrazione, la sua efficienza pragmatica, la sua potenza di deterritorializzazione, che rendono vano ogni tentativo di divisione e di gerarchizzazione dei poteri all’interno del processo organizzativo. La formazione della direzione politica, la sua esecuzione e la sua amministrazione non devono più essere separate, perché questa separazione significa la repressione delle qualità specifiche nuove della forza lavoro collettiva”9.

L’organizzazione delle nuove concatenazioni proletarie si riferisce ad una pluralità di rapporti all’interno di una molteplicità di singolarità-pluralità che si focalizzano su funzioni e obiettivi capaci di sfuggire alle sovracodificazioni burocratiche e ad ogni controllo grazie allo sviluppo di una ottimizzazione dei processi di singolarità coinvolti. La posta in gioco è un multicentrismo funzionale e capace di articolarsi su diverse dimensioni dell’intelligenza sociale e di neutralizzare la potenza distruttiva delle concatenazioni capitalistiche. I processi organizzativi a cui pensano Negri e Guattari sono dinamici, capaci di portare le singolarità su un terreno in cui non sono presenti solo obiettivi locali ma anche punti di incontro transettoriali, nazionali e internazionali. Inoltre, l’obiettivo non è trovare una sintesi ideologica, definita come un’operazione assurda e reazionaria, ma consentire ad ogni movimento di scatenere la sua rivoluzione molecolare irreversibile mentre ci si associa con altri movimenti sulla base di lotte molari limitate o illimitate sul terreno politico, sindacale, di difesa dei diritti generali della comunità nazionale oppure internazionale.

“L’invenzione e la formazione di questi nuovi schemi organizzativi implica l’attuazione di dispositivi di analisi permanenti delle finalità interne dei processi di autoproduzione della soggettività sociale. Questa è la conditio sine qua non per garantire una rimessa in discussione effettiva dei modi collettivi di funzionamento e per impedire l’emergere al loro interno di tentazioni ‘gruppuscolari’ e settarie”10.

Per quanto riguarda le alleanze, devono essere intessuti dialoghi tra il nuovo proletariato e i settori più dinamici della società produttiva, cercando di rompere ogni divisione corporativa della ristrutturazione in atto. L’obiettivo è connettere i settori della produzione terziaria, la classe operaia e tutti i non garantiti senza tentare inutili processi di unificazione ma promuovendo un coinvolgimento multivalente delle forze sociali capace di articolare le nuove forze soggettive e rompere i blocchi di potere capitalistici.

Il pamphlet di Negri e Guattari si chiude elencando cinque compiti essenziali per il movimento comunista rivoluzionario del futuro. Il primo è la ridefinizione concreta del salariato tramite lotte contro le derive corporative e l’implementazione di una radicale riforma del Welfare che abbia al suo centro un reddito egualitario garantito. Il secondo compito è l’assunzione del controllo e della liberazione del tempo della giornata di lavoro. Il terzo compito è una separazione radicale del movimento dallo Stato capitalistico e dalle sue varie filiazioni e una pesante critica ai suoi strumenti repressivi. Il quarto compito è la costruzione della pace, visto il contesto di Guerra Fredda e minaccia nucleare in cui il libro è stato scritto, e infine la definizione di macchine di lotta capaci di ottenere questo scopo. Per crearle i movimenti dovranno essere in grado di assumere fino in fondo il carattere contraddittorio del rapporto tra singolarità e società capitalistica, tra etica e politica. E da ciò deriva un radicale ripensamento del concetto di militanza, ovvero un certo modo di cristallizzazione sociale del desiderio e della generosità che attraversa le singolarità. Tutti questi propositi sono diagrammatizzati da tre proposizioni: riorientare, sempre in base al contesto storico in cui è stato scritto il libro, l’asse dell’alleanza lungo il rapporto Nord-Sud del mondo alternativo a quello Est-Ovest, conquistare e inventare nuovi territori per il desiderio e l’azione politica alternativi allo Stato e al CMI e infine lottare per la pace e contro la guerra.

  1. Félix Guattari, Antonio Negri, Nuovi spazi di libertà, Orthotes, Napoli 2023, p.11 ↩︎
  2. Ivi, pp.13-14 ↩︎
  3. Ivi, p.20 ↩︎
  4. Ivi, p.29 ↩︎
  5. Ivi, pp.29-30 ↩︎
  6. Ivi, p.39 ↩︎
  7. Ivi, p.43 ↩︎
  8. Ivi, p.56 ↩︎
  9. Ivi, p.74 ↩︎
  10. Ivi, p.76 ↩︎

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *