La speculazione dietro l’inflazione. L’analisi di Alessandro Volpi

Alessandro Volpi nel libro Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione sostiene la tesi secondo cui l’inflazione che ha investito l’Italia dal 2021 non dipenda né da un calo della domanda né da un calo della produzione. Si tratta, invece, di un prodotto della finanziarizzazione dell’economia sviluppatasi negli ultimi 40 anni. Infatti, diversamente dalla crisi petrolifera del 1973 dove il prezzo del petrolio aumentò di circa il 30/40 per cento, “il prezzo del megawattora di gas” è passato “dai 25 euro della primavera 2021 agli oltre 250 del marzo 2022 e con la tendenza a rimanere stabilmente sopra i 120 euro per scendere poi con una certa lentezza”1.

Questi prezzi dei beni energetici derivano dalle scommesse al rialzo successive alla ripresa post-pandemia e sono l’altra faccia della medaglia dei bassi prezzi delle materie prime che hanno contraddistinto gli ultimi 20 anni. Volpi sostiene che in questo lasso di tempo la finanza scommetteva al ribasso perché pensava che le economie emergenti, come quella cinese, potessero svolgere la funzione di raffreddamento dei prezzi sul mercato mondiale essendo in grado di produrre a prezzi vantaggiosi e competitivi. Quindi, nonostante la crescita del consumo delle materie prime, non si è verificato un aumento del loro prezzo.

Una conseguenza di questo schema di funzionamento delle dinamiche speculative è l’impossibilità dei prezzi di riflettere la situazione del mondo reale. La finanza opera una distorsione che produce un valore irreale. Questo punto viene collegato al grande spreco di materie prime, circa il 90% di quelle utilizzate. Se il valore della materia prima è determinato dalla speculazione non è un valore reale e di conseguenza questo spreco non viene contabilizzato.

Dietro le speculazioni si celano uno dei prodotti della finanziarizzazione dell’economia, ovvero i fondi speculativi. Attraverso la speculazione sui derivati e gli Eft riescono ad aumentare i prezzi, ottenere rendimenti crescenti e allo stesso tempo, detenendo quote in multinazionali come quelle del settore alimentare, ottengono dividendi che sono una conseguenze di queste dinamiche speculative. Per comprendere come questo processo sia possibile è utile spiegare cosa siano i derivati.

“I derivati erano strumenti assicurativi sulle oscillazioni di prezzo che potevano essere acquistati e creati fino alla conclusione del secolo scorso solo dai soggetti realmente interessati al processo produttivo: chi comprava e chi vendeva una merce (gas, petrolio, beni agricoli) aveva la possibilità di contrarre l’assicurazione con il derivato, mentre chi non comprava o non vendeva quella merce non poteva fare derivati né comprarli. Dal 1999 – che utilizziamo come anno simbolo di un percorso storico in realtà più lungo almeno di un decennio – si è assistito a un processo per cui i derivati sono stati sempre più prodotti, venduti e acquistati da soggetti finanziari che non c’entrano nulla con lo scambio reale delle merci; sono divenuti così delle vere e proprie scommesse sull’andamento dei prezzi dei beni, ma sono diventati tanto numerosi da generare di fatto il prezzo finale del bene; in pratica, si sono trasformati in scommesse che si autoavverano. Siamo arrivati così al paradosso per cui solo il 2 per cento dei contratti riguardano beni reali, mentre il resto sono costituiti da derivati”2.

Volpi prosegue le sue analisi affrontando la speculazione nel mercato energetico. Il prezzo del gas per metà deriva dagli “oneri di sistema”, cioè forme di prelievo fiscale, mentre l’altra metà deriva da dinamiche speculative che si dispiegano nel principale hub fisico dove viene contrattato, ovvero ad Amsterdam con l’ormai famoso Ttf. Qui nascono i contratti giornalieri favoriti dall’Europa ed esiste “un primo margine forte di speculazione, perché in alcuni casi il prezzo definito dai venditori, che, a loro volta, hanno comprato dalle grandi compagnie internazionali, è molto più alto di quello che hanno pagato; una circostanza favorita dal fatto che i contratti sono “segreti”. I prezzi sul mercato reale, pur oscuri, sono solo però una parte del prezzo finale del gas su cui insiste la speculazione finanziaria fatta da fondi hedge, banche e altri operatori che scommettono sul prezzo definito all’hub di Amsterdam o su altri listini. […] Quando parte una scommessa al rialzo – come in presenza di una guerra che significa possibili riduzioni di gas – tutti scommettono sul rialzo del prezzo del gas. Di conseguenza il prezzo della materia prima e, quindi, delle bollette si impenna: la finanza, e non il mercato reale, fa il prezzo”3.

Il professor Alessandro Volpi

Per quanto riguarda la benzina, il suo prezzo deriva per il 60% dai prelievi fiscali mentre il restante 40% è frutto del costo della materia prima e delle dinamiche speculative che circondano la sua determinazione. Ad un primo livello abbiamo le decisioni dei paesi Opec, cioè i grandi produttori di petrolio riuniti intorno ad un cartello monopolistico. Secondariamente “prende corpo la speculazione dei derivati finanziari che scommettono sulle aspettative: se si immaginano le sanzioni contro la Russia, si scommette al rialzo e il prezzo del barile di greggio sale subito, anche se le sanzioni poi non venissero approvate o è prevista la loro entrata in vigore otto mesi dopo. Se invece si prevede una più o meno vicina recessione, si punta sul ribasso e si fanno partire le micidiali vendite allo scoperto. Sul prezzo del petrolio, poi, vengono definiti quelli della benzina e del gasolio, in base ai dati forniti da un’agenzia privata, Platts, con sede a Londra, di proprietà di grandi fondi hedge come Barclays Global Investors, Goldman Sachs Asset Management, Vanguard Group, Deutsche Asset Management. Questa agenzia, ogni giorno, fornisce quotazioni che sommano alle speculazioni sul mercato del greggio le “valutazioni” espresse dalla stessa agenzia, certo non insensibile agli interessi dei propri azionisti, solerti a tener conto, di nuovo, delle aspettative in essere. Se c’è il rischio di sanzioni, o di possibili “colli di bottiglia”, le aspettative salgono subito, anticipando quanto potrebbe avvenire in futuro”4.

La speculazione non è circoscritta al solo mercato energetico ma riguarda anche il mercato dei cerali, con tutto ciò che comporta un maggiore costo di questa risorsa alimentare per i paesi del Sud Globale e il nostro carello della spesa. Volpi sostiene che queste dinamiche non siano da ricondurre ad una minore quantità di grano a disposizione perché la causa effettiva è nella finanziarizzazione del suo prezzo. Anche in questo mercato rientrano in gioco i derivati. Originariamente erano degli strumenti pensati per consentire agli agricoltori di vendere il proprio grano prima del raccolto per poter ottenere le risorse necessarie all’acquisto di sementi. Venivano pagati solamente a raccolto avvenuto. La loro successiva evoluzione li rese una scommessa sul futuro prezzo del grano, contribuendo alla crisi del 1929. Vennero banditi da Roosevelt e solo alla fine degli anni ’90 tornarono in gioco con il Commodity Futures Modernization Act, coinvolgendo anche soggetti estranei alla produzione del grano nella scommessa del suo futuro prezzo. Questa è la reale causa dell’impennata del prezzo di questa risorsa a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e spiega come sia possibile un simile aumento nonostante l’ampia disponibilità a livello globale del grano. La finanziarizzazione dell’economia ha reso possibili le scommesse sui derivati che non tengono minimamente conto del reale andamento del mercato. Infine, Volpi fa notare che esistono meccanismi simili anche per quanto riguarda il clima. Dagli anni ’90 esistono i derivati meteorologici che erano inizialmente pensati come un’assicurazione contro il maltempo e gli eventi climatici avversi per gli agricoltori. Con il nuovo millennio anche questi strumenti sono stati aperti a soggetti totalmente estranei alla produzione o alla vendita dei beni agricoli e in questo momento le dinamiche speculative hanno fatto aumentare il loro costo costringendo i piccoli e medi produttori a comprare questi derivati a costi maggiorati che si scaricheranno sul nostro carello della spesa.

Volpi nella parte finale del libro si sforza di offrire della soluzioni per contrastare l’inflazione, consapevole del suo maggiore impatto sulle fasce più deboli della popolazione. Ad esempio, le aliquote del nostro sistema fiscale restano invariate anche se l’inflazione erode il potere d’acquisto dei lavoratori. Di conseguenza, anche se il mio stipendio in termini reali si è ridotto, il prelievo fiscale non muta. Inoltre in Italia non esiste un meccanismo di indicizzazione dei salari rispetto all’inflazione come la scala mobile. Evidentemente bisogna cambiare registro sul fronte della politica dei salari. Per contrastare l’impoverimento dei lavoratori Volpi difende misure come il salario minimo e il reddito di cittadinanza. A chi si oppone ad un aumento dei salari, l’autore risponde in questo modo:

“Se l’inflazione cresce, come sta avvenendo in questa fase, solo per l’aumento dei prezzi di energia e materie prime importate che si trasferisce poi nel carrello della spesa, si determina un effetto sul Pil nominale sostanzialmente contenuto. In altre parole, si genera solo in parte quell’effetto “benefico” dell’inflazione che è la maggiore sostenibilità del debito perché, appunto, nel suo rapporto con il Pil vede quest’ultimo crescere. Se si produrrà un aumento salariale indicizzato in termini reali, tale dato farà salire il Pil nominale in maniera decisamente più pronunciata, e dunque un simile effetto potrà rendere il rapporto debito Pil assai più sostenibile, come del resto è avvenuto in parte nel corso del 2022, allorché l’aumento del Pil nominale trascinato dall’inflazione – e sostenuto dalla spesa pubblica con interventi a favore dei redditi – ha “liberato” gli spazi sul bilancio pubblico per coprire una parte della legge di bilancio in deficit; una possibilità utilizzata anche dalla legge di bilancio del 2023, dove su 35 miliardi complessivi circa 20 provengono dallo spazio di maggior deficit reso più sostenibile dalla crescita nominale del Pil. Bloccare le retribuzioni in piena inflazione comporta invece un impoverimento diffuso difficile da accettare, e genera al contempo un peggioramento dei saldi di finanza pubblica”5.

L’inflazione, infine, impatta anche sui progetti del PNRR facendone aumentare i costi. Volpi critica anche la politica di aumento dei tassi d’interesse della BCE. Se l’inflazione deriva dalla speculazione è chiaro come siano deleterie le strette monetarie suggerite dalla Teoria Quantitativa della Moneta. L’autore sostiene che l’aumento dei tassi è una risposta ad una decisione analoga della FED con l’obiettivo di preservare la competitività del debito europeo rispetto al dollaro americano e ai titoli di stato americani. Inoltre occorre ricordare che “la Bce è prima di tutto la banca delle banche, e quindi se alza i tassi le banche hanno maggiori margini di rendimento e stanno meglio; ne consegue che le azioni delle banche salgono, con grande soddisfazione di quei fondi che possiedono importanti pacchetti di quelle stesse banche e che, magari, sono i protagonisti della speculazione su gas e cibo”6. Siamo davanti ad una “scala mobile per i padroni” come sostenuto recentemente da Emiliano Brancaccio sul Manifesto: “L’aumento dei tassi, infatti, compensa l’erosione di valore del capitale che i creditori e le banche subiscono a causa dell’aumento dei prezzi. In sostanza, la banca centrale agisce come una sorta di “scala mobile per i capitalisti” in posizione di credito”7. Queste politiche, quindi, non hanno lo scopo di contrastare l’inflazione che andrebbe, per Volpi, combattuta aggredendo la finanziarizzazione dell’economia proibendo l’uso dei derivati per determinare il prezzo di materie prime, energia, beni agricoli e alimentari e facendo rientrare lo Stato nel settore dell’energia. Una decisione, invece, che potrebbe essere presa immediatamente dall’UE è lo sganciamento del prezzo dell’energia da quello del gas che subisce le dinamiche speculative che abbiamo precedentemente analizzato. Questo favorirebbe l’utilizzo di fonti energetiche meno costose del gas, come l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Abbiamo elencato degli obiettivi di cui un governo pallidamente riformista dovrebbe farsi portavoce in Europa ma chiaramente non è il caso di quello della presidente Meloni. Siamo sicuri che continuerà a prendere in giro i lavoratori con inutili misure spot come l’obbligo per i benzinai di esporre il prezzo medio del carburante facendo passare l’idea che la causa degli aumenti della benzina sia da ricercare nell’anello finale della catena e non all’origine.

  1. Alessandro Volpi, Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione, Laterza, Bari 2023, p. 4 ↩︎
  2. Ivi, pp. 34-35 ↩︎
  3. Ivi, pp. 42-43 ↩︎
  4. Ivi, pp. 46-47 ↩︎
  5. Ivi, p. 84 ↩︎
  6. Ivi, p. 96 ↩︎
  7. Emiliano Brancaccio, I due padroni del governo e l’opposizione, https://ilmanifesto.it/i-due-padroni-del-governo-e-lopposizione ↩︎

1 Reply to “La speculazione dietro l’inflazione. L’analisi di Alessandro Volpi”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *