- Introduzione
Il libro di Charmaine Chua, Spencer Cox e Marco Veruggio, con un’ottima introduzione di Sergio Fontegher Bologna, dal titolo Conflitto di classe e sindacato in Amazon è un formidabile lavoro di inchiesta sul funzionamento di questo gigante del capitalismo delle piattaforme e su come cerca la classe operaia di organizzarsi e reinventare il sindacato all’interno dei suoi magazzini. Bologna nella sua introduzione sostiene che Amazon sia molto di più di un’azienda ma un paradigma, come lo furono nel fordismo gli stabilimenti Ford. Non si tratta però di un nuovo modo di produrre e consumare, perciò non possiamo parlare di amazonismo, senza contare che Amazon è solo una delle molte imprese del capitalismo delle piattaforme come Google, Meta e Apple. Quello che a Bologna interessa di questa impresa è il suo modello di gestione della forza lavoro, aspetto in cui primeggia rispetto alle altre imprese di questa nuova fase del capitalismo.
L’autore ripercorre brevemente la storia dell’organizzazione del lavoro fino ad Amazon nella sua introduzione a partire da Henry Ford che inaugura una nuova fase della civilizzazione dal momento in cui considera i suoi dipendenti sia come produttori che come consumatori. In cambio, però, c’era l’accettazione di un modo di lavorare che prevedeva istruzioni molto dettagliate affidate ai controllori e ai cronometristi possessori di tutta la conoscenza sulle capacità, le potenzialità fisiche e mentali della classe sociale. Ford, inoltre, stabilì un certo grado di controllo anche sulle ore extralavorative perché interessato a non avere una forza lavoro troppo usurata, soprattutto in assenza di un’amministrazione pubblica capace di farsene carico. L’imprenditore non era in grado di sostituirsi al welfare e scelse di intraprendere un’opera di moral suasion per quantomeno debellare fenomeni come l’alcolismo. Per il resto funzionava bene ea pieno regime l’alto turnover delle sue aziende. Con la Prima guerra mondiale, la vittoria dei bolscevichi in Russia e la crisi del ‘29, il modello fordista “puro” viene superato da un sistema capace di ricorrere a forme di welfare state e di riconoscere al lavoro il diritto alla sua rappresentanza. Se vogliamo seguire la lezione operaista, viene preso atto che con la Rivoluzione d’Ottobre la classe operaia si era definitivamente costituita come soggetto politico e, soprattutto tramite il New Deal, veniva preso atto della necessità di trattare con essa. Tuttavia, sostiene Bologna, i padroni sono costretti a ricorrere sempre di più a dispositivi di emergenza per tenere sotto controllo la forza lavoro perché non ne vuole più sapere del potere del cronometrista e vuole riacquistare il potere del proprio tempo, come accadde nei conflitti sindacali degli anni ‘70 in Italia. Il riformismo che venne scelto dal capitale per imbrigliare la lotta di classe sembrava una strategia utile per evitare un cambiamento nei rapporti di potere in fabbrica e nella società a favore del proletariato e invece si passa, dopo gli anni ‘70, al ristabilimento del dominio assoluto del capitale attraverso la cooptazione dei sindacati nella governance in cambio di una distribuzione della ricchezza vincolata a parametri fissati dal capitale e un salario tornato ad essere una variabile dipendente. La classe operaia, che si oppone a questa svolta, viene attaccata frammentandola a livello di ciclo produttivo pur mantenendo i livelli elevati di produttività grazie al toyotismo. Il tutto è calato in un sistema che indirizza ingenti quantità di liquidità verso produttori di petrolio, sganciamento del dollaro dalla base aurea e alla debt economy capace di finanziare la spesa pubblica in un contesto di crescita della dinamica salariale diventando funzionale ad un modello sociale basato sul consumo che si deve dimostrare superiore al modello alternativo proposto dal socialismo reale. Qui, dice Bologna, si collocano due elementi centrali per la riuscita del modello Amazon, ovvero la precarizzazione del lavoro e la logistica. Per quanto riguarda il primo aspetto, Bologna descrive un modello Amazon dove regna l’ansia associata alla precarietà. Vengono introdotte tre categorie di lavoratori: la categoria A, ovvero coloro che possiedono un contratto a tempo indeterminato, la categoria B, coloro che possiedono un contratto a termine e infine i licenziati per scarso rendimento, la categoria C. La vicinanza delle prime due categorie crea stati ansiogeni in entrambe perché la categoria B ha paura di non aver fatto abbastanza per diventare categoria A che a sua volta teme di non lavorare abbastanza per evitare di retrocedere nella categoria C. Bologna distingue questa precarietà da quella della gig economy dove non esiste alcuna possibilità di una stabilizzazione, seppur precaria e facile da mettere in discussione per l’azienda ma che riesce a spingere i lavoratori a migliorare le loro prestazioni costantemente sotto la pressione di dispositivi di controllo capaci di monitorare e segnalare ogni rallentamento. L’ansia viene prodotta anche dai metodi poco oggettivi, dice Bologna, con cui viene scelto chi licenziare e assumere tra un fannullone e una persona che si impegna molto nel lavoro. Può benissimo essere premiato il primo con l’intento di produrre più ansia, facendo passare il messaggio che sputare sangue per il lavoro non è sufficiente per essere premiati perché a comandare, ripete l’autore, è l’arbitrio dell’azienda.
“Lavorare per Amazon consente di fare un progetto di vita su un terreno di permanente instabilità e insicurezza, consente di acquistare a rate, ma con l’ansia che a un certo punto non si possa più pagarle. L’insicurezza deve esser iniettata in tutti, in quello in prova, in quello con contratto a termine, in quello assunto. Dove c’è insicurezza c’è ansia e questa scatta quando sullo stesso piatto vengono offerte sia la promessa e sia la certezza che non esiste sistema sicuro per farla mantenere”1.
Per quanto riguarda la logistica, negli anni ‘70 diventa una tecnica di management aziendale per contrastare la svalutazione delle scorte causata dall’inflazione e si combina al toyotismo per eliminare gli sprechi. La logistica agisce sul flusso, condizionando la sequenza di passaggi spaziali delle supply chain. Fino agli anni 2000 era confinato al management industriale, al passaggio di millennio si espande anche nella distribuzione tramite società come UPS, FedEx o DHL che hanno perfezionato l’antico sistema postale di consegne a domicilio. Il postino, dice Bologna, è in questo schema sostituito dai rider in bicicletta e i driver in furgoncino. Un’altra innovazione che è intervenuta in questo ambito è quella del container marittimo con cui è possibile costruire una supply chain completa, un circuito produzione-distribuzione senza buchi utile per definire un processo che contempla la consegna all’utente finale. Il container interviene a risolvere un problema di tempo necessario a coprire determinate distanze dove non possono intervenire, per questioni di capienza, gli aerei e, per questioni di geografia, il treno o il camion. Tutto è ovviamente sospinto dai processi di globalizzazione.
- Amazon negli USA
La presidenza Biden, dice Bologna, è coincisa con un contesto di ripresa generale dell’iniziativa operaia a partire dalla base, dagli iscritti, contro le burocrazie sindacali. In questo modo va letto il processo di sindacalizzazione di JFK8 a Staten Island, con il sindacato tradizionale soppiantato dall’iniziativa di Chris Smalls e i suoi compagni. Oppure la lotta, nel 2023, dei driver di UPS che hanno sostituito la leadership corrotta della Teamster Union for Democracy. Un evento simile è accaduto alla UAW con Shawn Fain che ha vinto per pochi voti contro una dirigenza sindacale poi arrestata per corruzione. Anche tra gli insegnanti di Los Angeles è successo un evento simile. Il governo è intervenuto a sostegno di queste lotte e ha provato ad arginare la flessibilizzazione selvaggia della gig economy. Nel gennaio 2024 l’US Department of Labor ha emanato delle norme per i rapporti di lavoro tramite piattaforma. L’azione è volta a tutelare coloro che sono economicamente dipendenti da un unico committente, il quale definisce nei minimi dettagli l’organizzazione del lavoro. Questi lavoratori non devono più essere considerati contractors ma employees. Questa azione ha scatenato l’ira delle imprese che vogliono impugnare il provvedimento davanti alle corti e si inserisce nel generale contrattacco del padronato fatto di pratiche illegali, licenziamenti, contenziosi giudiziari e lunghe e logoranti trattative sindacali.
Questo scenario si sposa alla perfezione con le analisi contenute nel saggio, tradotto in italiano da Veruggio, di Charmaine Chua e Spencer Cox Battling the Behemoth: Amazon and the rise of America’s new working class uscito originariamente sul volume 59 di Socialist Register nel 2023. Il lavoro ripercorre le origini e l’affermazione di Amazon sul mercato americano. La sua genesi viene fatta risalire alla new economy, cioè la ristrutturazione politico-economica dell’economia statunitense avviata negli anni ‘70 che ha riorientato la struttura economica del paese dall’industria manifatturiera alla finanza, l’innovazione tecnologica e i servizi. Amazon nasce come impresa commerciale nel 1994 agganciandosi a tutta serie di trasformazioni promosse dalle politiche economiche neoliberiste che hanno aumentato la quota di lavoratori non sindacalizzati, rinvigorito il capitale finanziario, riaffermato la centralità del dollaro come mezzo di pagamento internazionale e degli asset finanziari denominati in dollari con l’intento di rafforzare la posizione degli USA nei settori della difesa, della comunicazione e dell’informatica tramite investimenti nell’industria high-tech. Amazon ha utilizzato tecnologie pensate per l’industria militare come strumenti commerciali capaci di attrarre capitali finanziari meno speculativi. Chua e Cox dipingono un’azienda, alle sue origini, simile ad altre imprese dot-com e legate ad internet di quel periodo, ovvero realtà che faticano a fare profitti. Nel caso in analisi il motivo è da ricondurre alla concorrenza nel mercato librario, in cui è inserita l’azienda fino ad inizio millennio quando inizierà una rapida espansione in altri settori, con i venditori storici che possono godere di vantaggi in termini di costi derivanti dai rapporti con i fornitori, dalle dimensioni di mercato e infine una rete commerciale consolidata. Davanti a questa situazione Amazon cerca di imitare il modello proposto da Walmart che è riuscito a costruire una storia di successo come capitale commerciale nel settore della vendita al dettaglio. Gli autori descrivono la strategia di Walmart come un tentativo di ottenere un surplus di rendimenti nella vendita al dettaglio e di assemblare, allo stesso tempo, reti produttive globalizzate per limitare la forza dei monopoli manifatturieri. In questo modo ha costretto le imprese manifatturiere a vendere le proprie merci a prezzi ridotti, spingendo verso il basso i loro margini di profitto mentre crescevano quelli dei rivenditori finali. La risposta a questa situazione di crisi fu, da parte di queste imprese, lo sfruttamento del costo del lavoro inferiore nei paesi dell’ex Terzo Mondo come il Messico che portò ad una ulteriore riduzione dei prezzi al consumo, contribuendo alla crescita delle quote di mercato di Walmart. Inoltre, l’azienda iniziò ad operare anche come capitalista industriale trovando degli accordi con alcune imprese cinesi per produrre merci destinate ai propri negozi, con il risultato di indebolire ulteriormente le aziende con minore risorse finanziarie ed operative che non potevano sfruttare l’arma della produzione all’estero. Erodendo la concorrenza Walmart è riuscita, dicono Cox e Chua, a conquistare una quota di mercato rilevante, aumentando la propria clientela e i margini di profitto per ogni articolo.
Amazon per raggiungere gli stessi scopi scelse di aumentare la propria clientela sfruttando le opportunità del commercio online con il sostegno di investitori di capitali di rischio che permisero all’azienda di fissare dei prezzi capaci di erodere la concorrenza e fargli guadagnare quote di mercato. Questo avvenne, nonostante fosse un’azienda in perdita, perché riuscì a fornire uno sbocco ai capitali in eccesso nel mercato finanziario intenzionati ad instaurare vantaggi competitivi attraverso iniziative tese ad aumentare le quote di mercato delle imprese. Amazon all’epoca non offriva attività così differenti da quelle di altre imprese e non adottò strategie di crescita così diverse. In cambio di perdite nel breve periodo, l’obiettivo era assicurarsi una posizione dominante sul mercato nel lungo periodo, il controllo dell’infrastruttura di internet e l’utilizzo dell’utente come un asset per ottenere una rendita. La differenza con le altre imprese risiede nell’ambizione di modificare radicalmente la distribuzione al dettaglio integrandola in catene di fornitura globali legate alla produzione, al trasporto e allo stoccaggio delle merci. Rispetto a Walmart, però, cambia l’utenza di riferimento. I primi vogliono vendere le proprie merci ai consumatori della classe operaia in mercati suburbani ed extraurbani mentre Amazon vuole vendere le sue merci ai lavoratori istruiti e qualificati dei centri urbani che utilizzano internet e sono lontani dai supermercati delle periferie. Si tratta di “una nicchia di mercato che Amazon poteva riempire, con prezzi e ampia selezione da supermercato. Per consegnare a domicilio Amazon processa gli ordini nei suoi fulfillment center da centinaia di migliaia di metri quadrati e più: enormi magazzini realizzati su misura in cui vengono stoccati, disposti su lunghe file di scaffali, milioni di esemplari di ogni articolo e dove picker muniti di scanner manuali individuano, processano e infine spediscono gli articoli ordinati”2.
Questo li differenzia dai magazzini di Walmart che sono impianti di cross-docking ad elevata efficienza, dove troviamo delle merci in entrata disaggregate in base al negozio di destinazione finale i cui scaffali svolgono contemporaneamente la funzione di stoccaggio ed esposizione. Per Amazon il magazzino, inoltre, non è solo un luogo in cui depositare la merce ma il cuore della rivoluzione logistica che punta ad avvicinare la merce il più possibile alla casa del cliente facilitando la consegna a domicilio just-in-time. Siamo davanti ad una fabbrica della vendita al dettaglio dove viene centralizzata e riorganizzata la forza lavoro del settore della distribuzione al dettaglio un tempo dispersa in una miriade di negozi dove svolgevano mansioni diverse come fattorino, magazziniere e personale addetto alla clientela. In questa nuova fabbrica, invece, il lavoro è organizzato in modo tale da costituire un unico processo centralizzato dove avvengono il prelievo, l’impacchettamento, lo smistamento e la consegna delle merci, in una combinazione, dicono Chua e Cox, di attività logistica e servizi. Tutto si basa sull’aumento del tasso di sfruttamento di una forza lavoro dequalificata che opera su un flusso di lavoro continuo. “Le sue grandi fabbriche della vendita al dettaglio, che impiegano migliaia di dipendenti, si basano su una complessa divisione tecnica del lavoro, su elevati livelli di routinizzazione, automazione, monitoraggio e intensiva gestione dei dati del processo lavorativo e una brutale intensità di lavoro al fine di aumentare il tasso di sfruttamento rispetto agli altri gruppi del settore”3 che consentono ad Amazon di offrire servizi aggiuntivi simili a quelli dei grandi magazzini. Con la Grande Recessione e la fine di un sistema fiscale favorevole all’e-commerce, Amazon sceglie di ridurre i tempi di consegna per i propri affiliati e inventa il servizio Amazon Prime, un abbonamento che consente di ricevere entro due giorni la merce desiderata. Questo servizio poteva essere espletato grazie alla concentrazione nei centri urbani dell’e-commerce, fatto che permette la realizzazione di tragitti brevi dai magazzini alla destinazione finale. Tuttavia, il costo della spedizione dei singoli articoli faceva aumentare in maniera sensibile i costi e farlo affidandosi a terzi riduceva ulteriormente i margini di profitto. La sostenibilità del sistema è garantita allora da Amazon Web Services, dicono Chua e Cox. Si tratta del ramo aziendale specializzato in cloud computing, un’attività estremamente redditizia. AWS ha consentito ad Amazon di incamerare utili, servizi web, infrastrutture tecnologiche da reinvestire nell’ampliamento dei magazzini e nella riduzione dei prezzi, sostenendo così l’e-commerce in perdita. Questo cambio di passo permise all’azienda di essere anche un investimento più sicuro nell’epoca del quantitative easing della FED, in questo modo si è assicurata crediti a bassi tassi d’interesse per i suoi investimenti strategici, soprattutto l’espansione nelle zone deindustrializzate nelle periferie suburbane ed extraurbane dei suoi magazzini sfruttando basso costo dei terreni e un’ampia disponibilità di una forza lavoro disoccupata o sottoccupata espulsa ai margini delle città dai processi di gentrificazione a cui offrire salari più alti di quelli disponibili nel settore dei servizi. Queste trasformazioni non hanno impedito al costo per pacco di crescere e per questo motivo tentò di integrare a valle la fase di consegna dell’ultimo miglio attraverso due processi distinti. Il primo fu la realizzazione di una rete regionale di smistamento, “un sistema di impianti posti nelle vicinanze dei centri di distribuzione che lavoravano e confezionavano in pallet gli articoli destinati alle Poste americane per la consegna finale al più vasto mercato metropolitano”4. Secondariamente ci fu un accordo tra le Poste degli USA, a corto di liquidità, e Amazon per delle tariffe sulle spedizioni più vantaggiose delle imprese su cui si appoggiava fino a quel momento ed estendendo la consegna dei pacchi alla domenica. Così Amazon ha cambiato il modo in cui vengono consegnati i pacchi nell’ultimo miglio in tutto il Nord America. Con i suoi centri di distribuzione, smistamento e consegna, l’azienda è ora in grado di collocare i propri articoli in centri di distribuzione sempre più vicini al consumatore finale ed è in grado di spostare i pacchi tramite i centri di smistamento regionale, suddividendoli per codice postale e consegnarli, con tracciamento, entro il giorno successivo. Questa strategia di espansione nella consegna dei pacchi prevedeva che Amazon tenesse per sé le consegne redditizie dell’ultimo miglio nelle aree urbane e lasciasse quelle nelle aree rurali meno redditizie alle altre società, tra cui le Poste USA. Nell’organizzazione dei magazzini ciò si riflette nella costruzione di fulfillment e sortation center nelle aree suburbane dove poteva reperire terreni e forza lavoro a basso costo mentre le delivery station, magazzini molto più piccoli, per smistare i pacchi erano collocati nei comprensori industriali vicino o dentro i quartieri urbani dove era maggiormente concentrata la povertà. Questi piccoli magazzini funzionano utilizzando fattorini in appalto e autisti loggati tramite Amazon Flex per la consegna a domicilio che danno un decisivo vantaggio in termini di costi ad Amazon nella consegna dell’ultimo miglio. Al termine di questa parabola, Amazon possiede quote significative di mercato nell’e-commerce e nella vendita al dettaglio, acquisendo un potere contrattuale monopsonistico capace di combinare la raccolta dati di piattaforme come Google e il potere negoziale di Walmart sui fornitori e un grande vantaggio competitivo nelle consegne dell’ultimo miglio. Per quanto riguarda i dati, Chua e Cox sostengono che la loro tracciabilità permette di sfruttarli per proporre linee di prodotti in aree ad alta intensità di domanda togliendo il terreno sotto ai piedi ai fornitori e “allo stesso tempo mantiene il controllo sulle funzioni di ricerca sul proprio sito, riuscendo ad aumentare la capacità di garantirsi elevati introiti pubblicitari per favorire i venditori pronti a pagare per esporvi i propri prodotti”5.
- Le condizioni della classe operaia in Amazon
Seguendo il saggio di Marco Veruggio Organizzazione del lavoro e conflitto in Amazon troviamo la descrizione del cosiddetto taylor-fordismo digitale quando parliamo dell’organizzazione del lavoro in Amazon. Il concetto serve all’autore per sottolineare gli elementi di continuità e innovazione rispetto al capitalismo novecentesco. Nel farlo Veruggio si rifà alle tesi di Bruno Cattero e Marta D’Onofrio i quali caratterizzano l’organizzazione del lavoro non tanto per la scomposizione di quest’ultimo in tante operazioni elementari ma per l’eliminazione di ogni autonomia nell’esecuzione del lavoro a seguito della sua sussunzione agli algoritmi rendendo il lavoratore praticamente un automa. Seguendo le riflessioni di Chua e Cox, la catena di montaggio fordista è stata potenziata dalle moderne tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale. A questo dobbiamo aggiungere quella che Veruggio chiama concezione della forza lavoro come commodity, cioè materia prima indistinta.
“Non contano le differenze qualitative tra i singoli lavoratori, ma soltanto la loro capacità di fornire all’azienda una prestazione lavorativa conforme agli standard aziendali, perfetta incarnazione di ciò che Marx chiamava ‘lavoro sociale medio’”6.
La combinazione di alienazione e ritmi elevati permettono all’azienda di ottenere alti livelli di produttività e di estrazione del plusvalore ma logorano velocemente i lavoratori.
“L’impegno ad applicare la job rotation, raccontano lavoratori e sindacalisti, è ampiamente disatteso. Negli enormi magazzini grandi anche decine di migliaia di metri quadrati su più piani un picker arriva a percorrere anche 20 chilometri al giorno”7.
Negli USA, afferma Chris Smalls, si arrivano a turni di 12 ore e fino a 50/60 ore alla settimana a questi ritmi e per essere sostenuti alcuni lavoratori fanno uno specifico allenamento fisico. La fatica è alleviata dall’introduzione di robot. Sostiene Veruggio che nonostante ciò non vengono richiesti particolari requisiti fisici al momento dell’assunzione. In Italia, ad esempio, viene richiesto di poter sollevare un peso analogo a quello dei pacchi da maneggiare in magazzino. Questo sistema si regge su un alto turnover della forza lavoro per garantire la condizione fisica necessaria a mantenere la produttività richiesta. Per questo motivo i lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato in Amazon, secondo uno studio di EconLab del 2021 riportato nel saggio, risultano in Italia corrispondere ad un valore medio del 30,3%, ovvero 13394 posti di lavoro su 30850 creati. La scelta su chi assumere e licenziare viene effettuata sulla base di big data accumulati a partire dai dati registrati durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Tuttavia Veruggio riporta molte testimonianze che criticano questa visione meritocratica proposta dall’azienda perché riportano di mancate assunzioni dei migliori dipendenti nelle gare di produttività lanciate durante i Black Friday mentre vengono confermati altri lavoratori meno produttivi. Questo conferma la tesi della forza lavoro come commodity, la quale rende superflue le differenze tra i lavoratori grazie agli algoritmi e la standardizzazione del lavoro. A comandare sui tempi del lavoro non sono i vecchi capi o cronometristi della fabbrica fordista ma gli algoritmi apparentemente neutrali e oggettivi ma che nella realtà rispondono agli interessi di chi li progetta, cioè la mission aziendale. La trasformazione della forza lavoro in commodity annienta la possibilità di maturare esperienza sul luogo di lavoro e la stessa idea di professionalità. Non ci sono più differenze tra mestieri, reparti e anzianità di servizio. Ogni socializzazione spontanea, sostiene l’autore, viene ostacolata dall’azienda. Durante il turno di lavoro è vietato parlare tra colleghi e le postazioni di lavoro sono costruite per raggiungere questo scopo. Ci sono maggiori opportunità di socializzazione in alcuni reparti, come quello dei nastri trasportatori o durante lo smistamento dei pacchi ma in linea di massima abbiamo una situazione in cui migliaia di dipendenti hanno la possibilità di incontrarsi solo all’inizio e alla fine del turno, oppure in mensa e nelle break room per il periodo limitato di vigenza del loro contratto di lavoro. Veruggio sostiene che le poche attività autorganizzate dai lavoratori riguardano lo scambio di informazioni di servizio o la creazione di chat per organizzare il trasporto sul luogo di lavoro, per trovare una casa in cui abitare vicino al magazzino o per gestire problemi burocratici con l’agenzia interinale o l’azienda. L’autore sostiene che questa situazione prefiguri la classe operaia del futuro, divisa tra un piccolo ceto tecnico specializzato e tutelato che farà funzionare un capitalismo ipertecnologico e una massa enorme di forza lavoro poco qualificata, poco pagata e molto precaria che alternerà momenti di occupazione e disoccupazione sostenuta dalla spesa pubblica, magari con un reddito di cittadinanza. Su quest’ultimo punto chi scrive è fortemente contrario essendo il reddito di base incondizionato uno strumento utile per cambiare la prospettiva con cui ci si relaziona al mercato del lavoro, consentendo la scelta del lavoro e non la sua imposizione perché si è costretti a procurarsi il denaro per vivere.
Tutte le informazione che abbiamo riportato in precedenza fanno capire le difficoltà che incontra un sindacato nello svolgimento del suo lavoro nei magazzini Amazon. L’azienda tende a conformarsi alle condizioni di lavoro che vigono nel paese. Gli hub tedeschi, ad esempio, sono fortemente sindacalizzati ma per neutralizzare gli scioperi dei lavoratori Amazon ha spostato i magazzini che si occupano della clientela tedesca in Polonia, garantendo la continuità del flusso di merci sul mercato tedesco. In Francia il livello di sindacalizzazione è estremamente basso e i sindacati sono costretti a rivolgersi ai tribunali per compensare le difficoltà che incontrano nel mobilitare i lavoratori. In Italia Amazon riconosce, grazie allo sciopero del 23 marzo 2021, la presenza del sindacato nei suoi hub e adotta il contratto della logistica per tutti i suoi dipendenti.
Chua e Cox nel loro saggio forniscono delle indicazioni su come organizzare la classe operaia dei magazzini Amazon e rendere efficaci gli scioperi in questa realtà. In primo luogo, scioperare in un singolo magazzino è inefficace con l’organizzazione del lavoro di Amazon. È necessario, come affermato nelle sue conclusioni da Veruggio, pensare questi magazzini come una rete a invarianza di scala in cui non serve bloccare una grande quantità di nodi per farla collassare ma scegliere quelli con un alto numero di connessioni con gli altri nodi. La seconda lezione che viene tratta dalle lotte in Amazon è la necessità di usare questo momento per superare le divisioni di razza e genere presenti nella classe operaia e aumentare la solidarietà al suo interno. La terza lezione è portare sul tavolo delle trattative anche alcuni problemi che incidono sulla condizione della classe operaia, come l’assenza di trasporti adeguati per raggiungere il posto di lavoro o di alloggi in cui vivere. Chua e Cox invitano a individuare le debolezze della produzione just-in-time per rovesciarle su tutta la rete della logistica facendo comprendere, quindi, la forza della classe operaia che lotta in maniera coesa e coordinata.