1. Introduzione
Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato è una raccolta di saggi di Jason W. Moore tradotta da Gennaro Avallone che prova a fornire un contributo innovativo all’analisi marxista della crisi ecologica a partire dalle connessioni con la crisi del 2007-2008 del neoliberismo che viene visto come una fase dello sviluppo del capitalismo e nel fare ciò Moore analizza due fenomeni strettamente legati tra loro che lo caratterizzano. Il primo è il principio del “prima prendere e in un secondo momento fare”. Il neoliberismo, seguendo le analisi di Harvey, Duménil e Lévy, come le precedenti fasi del capitalismo redistribuisce la ricchezza ma non riesce a generare le condizioni per la crescita economica e uno sviluppo sociale definito. L’innovazione tecnologica sotto il neoliberismo non è stato capace di aumentare la produttività per ridurre i costi e liberare il reddito per un’espansione globale. Questo è maggiormente evidente nell’agricoltura, dove gli OGM non sono stati capaci di aumentare la resa. Il secondo elemento è la finanziarizzazione nella vita quotidiana e nella riproduzione della natura extra-umana, in altre parole la transizione della sussunzione formale alla sussunzione reale della natura al capitale iniziata negli anni ‘70. Questi due elementi spiegano la nascita di un modello di sviluppo basato sulla redistribuzione e un’economia della bolla, come dimostrato dalla crisi del 2007-2008. Per Moore il neoliberismo ha raggiunto i limiti della possibilità di sviluppo e le sue crisi sono una “crisi spia” dell’ordine neoliberista dei rapporti tra umani e il resto della natura.
“Adattando l’efficace linguaggio di Arrighi, possiamo dire che una crisi spia di un regime ecologico si verifica quando le condizioni iniziali per una rapida espansione del surplus ecologico iniziano a erodersi e cibo, energia e fattori produttivi diventano più, e non meno, costosi. Una crisi terminale, invece, segna il passaggio definitivo da un modo di organizzare la natura globale a un altro, come nella transizione dall’egemonia mondiale olandese a quella inglese e la simultanea transizione dal carbone di legna a dalla torba al carbone come fonte di energia principale. La domanda centrale oggi è se l’attuale congiuntura rappresenta una crisi evolutiva del capitalismo, che può essere risolta stabilendo nuove condizioni a livello mondiale per l’accumulazione, o se stiamo assistendo a una crisi epocale del capitalismo”1.
2 La teoria dell’ecologia-mondo
Nel primo saggio che analizzeremo, Fine corsa? Rivoluzioni agricole nell’ecologia-mondo capitalistica 1450-2010,l’autore legge il capitalismo come ecologia-mondo, ovvero “l’unità differenziata della produzione della natura e dell’accumulazione incessante di capitale”. Per arrivare a questa tesi Moore trascende la narrazione cartesiana del capitalismo grazie alle fratture e alle interdipendenze delle nature sociale e biofisica. Utilizzando il termine Oikeios inquadra i rapporti e le combinazioni che danno origine alla dialettica natura-società e tutti i regimi, rivoluzioni e crisi ecologiche.
La conclusione a cui giunge è che il capitalismo è un regime ecologico, ovvero il processo e le condizioni storiche dell’accumulazione allargata con i suoi schemi alla struttura di classe, all’innovazione tecnologica, allo sviluppo delle forze produttive, alle forme organizzate e ai modelli di governance. I regimi ecologici emergono per mezzo di meccanismi istituzionali e di mercato con lo scopo di organizzare i flussi di cibo, energia, materie prime e surplus di lavoro verso i centri che gestiscono l’accumulazione mondiale. Moore allarga lo sguardo anche a chi consuma questo surplus e interpreta l’antagonismo città-campagna come il modo in cui il regime ecologico governa chi produce surplus e chi lo consuma. Quindi la frattura metabolica di Foster non è un prodotto del capitalismo ma la sua base e ogni sua fase emerge da nuove fratture che consentono i processi di accumulazione allargata del capitale tramite l’espansione del surplus ecologico composto da cibo, energia e fattori produttivi a buon mercato. A questo punto Moore indaga la relazione dialettica tra capacità del capitale di appropriarsi delle nature biofisica e sociale a costi bassi e la tendenza a capitalizzare la riproduzione della forza lavoro e delle nature extra-umane. Questo rapporto può essere compreso a partire dalla teoria della sottoproduzione in Marx.
“La teoria di Marx delle crisi di sottoproduzione – che individua come una ‘legge generale’ dell’accumulazione – sostiene che il ‘saggio del profitto sta in ragione inversa al valore della materia prima’. Il forte dinamismo della produzione capitalistica guida ‘l’aliquota di capitale costante costituita da capitale fisso, [e questo avviene] in modo notevolmente più rapido che non la produzione e l’aumento dell’aliquota costituita da materie prime. Ne consegue che la domanda di queste materie prime cresce più rapidamente dell’offerta, e quindi il loro prezzo sale’”2.
Il capitalismo è riuscito in questo modo a ridurre i costi dei fattori produttivi e ad espandere il volume materiale della produzione delle merci.
La tendenza alla sottoproduzione è stata controllata dall’innovazione tecnologica e dall’espansione geografica, cioè dal saccheggio e dall’aumento di produttività. Per esempio, il motore a vapore è impensabile senza il colonialismo e la possibilità di estrarre carbone che ha generato una temporanea caduta verso il basso della composizione organica del capitale, garantendo il rilancio della profittabilità. In questo modo Moore definisce meglio i concetti di surplus ecologico e capitalizzazione della natura. Il primo è una combinazione di rapporti socio-ecologici che esistono in quattro forme fondamentali: forza lavoro, cibo, energia e fattori produttivi non energetici come legno o metallo. Sono tutti a buon mercato perché avviene una revisione al ribasso della composizione organica complessiva del capitale. Altrettanto essenziale è il rapporto con la capitalizzazione complessiva, infatti il surplus ecologico è prodotto anche fuori il circuito del capitale come appropriazione della natura come bene gratuito. Questi concetti sono integrati da Moore per fornire una spiegazione della crisi del neoliberismo che bisogna valutare, in relazione al concetto di capitalismo come regime ecologico, come crisi da risolvere tramite l’aumento di produttività e nuove forme di saccheggio oppure non può essere risolta dentro la logica dell’accumulazione incessante.
3. La natura a buon mercato
Il capitalismo ha sempre organizzato, per mezzo delle rivoluzioni agricole, espansioni di surplus alimentari in controtendenza ai precedenti modi di produzione, dove l’agricoltura restava nelle mani dei contadini non soggetti alla disciplina del mercato. Per questo motivo l’espansione demografica finiva per erodere la produttività della terra, del lavoro e di conseguenze il surplus agricolo. Imponendo i rapporti di produzione capitalistici nelle campagne e disciplinando un contadino ormai agricoltore capitalista, viene attivato un processo di spoliazione e differenziazione che ha aumentato la produttività del lavoro nel settore agricolo e i surplus alimentari per sostenere la nascita e la sopravvivenza del proletariato industriale.
“Dalle rivoluzioni agricole olandese e inglese della prima età moderna all’azienda agricola familiare e alle Rivoluzioni Verdi dei secoli diciannovesimo e ventesimo, le sanguinarie espropriazioni di capitale hanno giustificato se stesse sulla base di questo importante risultato (la ‘modernizzazione’). La strada verso il mondo moderno, sembra, è stata lastricata dal cibo a buon mercato. […] Il prezzo del cibo è infatti cruciale perché esso condiziona il prezzo del lavoro. Le grandi epoche dello sviluppo capitalistico sono sempre state condizionate da un’imponente espansione demografica e da un’imponente proletarizzazione. Il notevole contributo delle rivoluzione agricole al percorso dello sviluppo capitalistico può essere trovato qui, nel fatto di fare abbassare il costo relativo degli alimenti mentre avanza la proletarizzazione”3.
Moore collega in questo modo l’accumulazione del capitale e la ricostituzione dell’ecologia-mondo tramite la rivoluzione agraria e si chiede: è possibile una nuova rivoluzione agraria nel neoliberismo o siamo ad un punto di svolta nel rapporto tra capitale, capitalismo e rivoluzione agricola?
Con la crisi del 2007-2008 sono saliti alle stelle i prezzi del cibo e sono rimasti alti nella periferia per un tempo maggiore facendo aumentare la fame nel mondo.
“Le rivoluzioni agricole nell’ecologia-mondo hanno raggiunto due grandi risultati. Primo: esse hanno prodotto un salto di qualità nel surplus alimentare – si tratta di un ‘surplus’ in quanto il corpo esteso dei valori di uso è sufficientemente ampio per ridurre i costi generali di riproduzione della forza lavoro. Questo surplus alimentare è un momento della più ampia rivoluzione ecologica che accompagna le transizioni da una fase del capitalismo a un’altra – rivoluzione che producono ciò che io chiamo il surplus ecologico relativo, il cui contributo degno di note è la significativa riduzione della composizione del valore delle merci primarie fondamentali quali il cibo e le materie prime. Secondo: le rivoluzioni agricole sono state essenziali per la successiva ascesa delle egemonie olandese, inglese e americana nel capitalismo. Le egemonie sono progetti ecologici e ogni grande potenza ha intrecciato insieme le rivoluzioni agricole interne ed esterne nella spinta al primato mondiale”4.
Tutto ciò manca al neoliberismo. Le potenze egemoniche hanno accompagnato la loro ascesa con una rivoluzione agricola che migliorato la fornitura di cibo a buon mercato per il proletariato. Ciò ha un ruolo nel determinare il livello del salario minimo e nel lavoro sociale astratto. In questa fase del capitalismo si assiste, a partire dagli anni ‘70, ad una determinazione politica dei prezzi delle materie prime agricole. L’Uruguay round produce un radicale disaccoppiamento tra i prezzi di mercato mondiali e i costi di produzione. I risultati sono un abbassamento dei prezzi del cibo, necessario per la ripresa del processo di accumulazione e per creare maggiori opportunità per la concentrazione e centralizzazione nel settore agro-alimentare. Il regime neoliberista del cibo a buon mercato, ma anche delle fonti energetiche e delle materie, insomma della natura a buon mercato, entra in crisi nel 2003 aggravandosi nel 2008 e assumendo i contorni di una crisi spia del neoliberismo come regime ecologico a seguito del raggiungimento di un punto di svolta nella produzione di surplus ecologico relativo, cioè che coinvolge la massa di valori d’uso relativi alla domande di produzione mondiale di valore.
Per risolvere questa crisi il capitalismo punta sulle biotecnologie che non sono, tuttavia, riuscite a rallentare il progressivo declino delle rese a livello mondiale. Moore collega ciò all’analisi di Marx che lega superproduzione di macchinari e la tendenza alla sottoproduzione di materie prime. L’aumento dei costi di energia e fattori produttivi rinforza la tendenza ad un saggio di profitto declinante.
“Siccome il capitale investito in macchinari supera quello speso in salari, i guadagni di produttività ottenuti dalla meccanizzazione e dalla standardizzazione attivano una domanda più ampia di capitale circolante (fattori produttivi). Ma la produzione di energia, legno, metalli, fibre e altri fattori è radicata nei processi socioecologici che non rispondono rapidamente o facilmente ai segnali del mercato”5.
Storicamente il capitalismo ha vissuto una fase dove bastava attivare poco capitale per produrre molto cibo e faceva ciò appropriandosi della natura invece di produrla attraverso il circuito del capitale. Le opportunità per mettere in campo questo meccanismo si stanno contraendo con la scarsità delle frontiere esterne al capitalismo, come quelle geografiche, da cui attingere.
4. La fine della natura a buon mercato
Il saggio La fine della natura a buon mercato. Come ho imparato a non preoccuparmi dell’ambiente e ad amare le crisi del capitalismo parte dalla constatazione della fine della fine della natura a buon mercato sorta in quello che Moore chiama lungo XVI secolo (1450-1648) dove si afferma un modello di civiltà basato sulla costruzione della natura come qualcosa di esterno all’uomo così da poter mobilitare il lavoro della natura umana ed extra-umana per aumentare la produzione delle merci e la produttività. Ciò fu reso possibile da una nuova legge del valore che sottomise alla produttività del lavoro e della merce la natura umana ed extra-umana non mercificata, come la terre e le foreste. Con essa si verifica lo spostamento dalla centralità della terra alla centralità del lavoro per determinare la ricchezza.
“La nuova legge del valore era alquanto peculiare. Mai prima una civiltà aveva negoziato questa transizione dalla produttività della terra alla produttività del lavoro come misura determinante della ricchezza. Questa strana misura – il valore – ha orientato l’intera Europa centro-occidentale verso una altrettanto strana conquista dello spazio. Questa strana conquista è stato ciò che Marx ha chiamato l’annullamento dello ‘spazio attraverso il tempo’ e attraverso il lungo XVI secolo possiamo vedere svilupparsi una nuova forma del tempo: il tempo astratto. Mentre tutte le civiltà in qualche modo si sono costruire per espandersi attraverso topografie differenti – esse ‘pulsano’ – nessuna ha rappresentato queste topografie come esterne e progressivamente astratte nella maniera in cui queste hanno dominato la praxis geografica del primo capitalismo. La genialità della strategia del capitalismo della natura a buon mercato è stata quella di rappresentare il tempo come lineare, lo spazio come liscio e la natura come esterna”6.
Per poter cristallizzare nella forma del lavoro socialmente astratto questa dinamica, accanto al tempo astratto è emerso anche lo spazio astratto.
La transizione dalla centralità della terra a quella del lavoro è stata possibile grazie ad una serie di processi co-prodotti dalle nature umane ed extra-umane. In altre parole il capitalismo si sviluppa dentro e attraverso l’oikeios. L’uomo è allo stesso tempo prodotto e produttore dell’ambiente e diversamente dagli altri esseri viventi, ci impegnano ad elaborare nozioni per determinare la nostra posizione in quella che Moore chiama rete della vita. In questo modo prendono forma le nostre idee sulla natura. Nell’analisi mooriana questa riflessione consente di assumere l’ecologia come significante del tutto nei suoi rapporti specie-ambiente ed è legato alla definizione di capitalismo come ecologia-mondo, unendo in un’unità dialettica ricerca del potere, accumulazione del capitale e co-produzione della natura. Essa è la matrice che contiene tutto, dalle fabbriche alle foreste e le miniere. Tuttavia questa teoria ha bisogno di strumenti analitici per analizzare i cambiamenti storici co-prodotti da uomo e natura e riflettere sul modo in cui agisce e viene pensata la natura esterna al capitale che, sebbene sia un’idea falsa, è stata essenziale per l’ascesa del capitalismo.
“La praxis-mondo del primo capitalismo, fondendo la codificazione simbolica con l’iscrizione materiale, ha sostenuto un’audace feticizzazione della natura. Questa si è manifestata, fortemente, nelle rivoluzioni cartografica, scientifica e quantificatrice del periodo. Queste ultime costituirono i momenti simbolici dell’accumulazione originaria, che crearono un nuovo sistema intellettuale la cui presunzione, impersonata da Cartesio, fu quella di separare gli umani dal resto della natura”7.
Il concetto di natura esterna è legato a quella di frontiera. Tutte le civiltà ne hanno avuta una mentre il capitalismo stesso è una frontiera che si alimenta con l’espansione verso nuovi spazi non mercificati. Moore evidenzia due questioni in merito a questo argomento:
“Primo: i movimenti della frontiera della merce non sono stati relativi semplicemente all’estensione dei rapporti di merce, sebbene questa sia stata un fatto centrale. I movimenti della frontiera della merce sono stati relativi anche, in maniera determinante, all’estensione delle forme territoriali e simboliche che si sono appropriate di lavoro non pagato al servizio della produzione di merci. Questo lavoro gratuito è stato erogato dagli umani – donne o schiavi, per esempio – o dalle nature extra-umane, come foreste, terre e fiumi. Secondo: questi movimenti della frontiera sono stati essenziali, dagli inizi del capitalismo, per la creazione delle forme di natura a buon mercato costituiti dalla forza-lavoro, dal cibo, dall’energia e dalle materie prime”8.
Per questo modo di produzione il problema emerge quando la domanda di natura a buon mercato cresce più velocemente della sua capacità di assicurarla. La soluzione è spostare le frontiere con il colonialismo o la mappatura delle nature esterne tramite il sapere borghese. In questo modo l’alleanza tra potere imperialista, sapere borghese, macchina statale e capitale riesce a superare ogni collo di bottiglia, reale o potenziale, per rilanciare l’accumulazione tramite la creazione della natura a buon mercato che però oggi è in via di esaurimento grazie al neoliberismo.
Con il 2003 entra in crisi il boom della natura a buon mercato e dei suoi quattro fattori principali: cibo, lavoro, energia e materie prime. I colli di bottiglia derivanti da simili crisi sono state superate tramite rivoluzioni agrarie che mettono in relazione cibo e lavoro a buon mercato, come abbiamo già in parte visto. Oggi potremmo essere davanti ad una crisi epocale che si manifesta nel cibo, nella finanza, nell’energia e nel clima che segnano la crisi dell’ecologia-mondo capitalista.
5. Valore, surplus ecologico e accumulazione in Moore
Moore si addentra nello studio del valore in relazione all’emergenza, lo sviluppo e la ristrutturazione ciclica di capitale e pensa in due modi ai rapporti di valore. Il primo come metodo.
“Questo approccio ricostruisce il capitalismo storico attraverso ‘la produzione e riproduzione della vita reale’ come ‘differenze […] in ogni insieme organico’. Questo permette una nuova fusione di ‘natura’ e ‘società’ nella prospettiva dell’ecologia-mondo, a favore dell’unità contraddittoria della ‘produzione e riproduzione della vita reale’. Si tratta di un’unità che attraversa e destabilizza ogni significativo confine storico tra l’attività umana e la restante parte della natura; la ‘riproduzione della vita reale’ include in ogni momento la vita extra-umana intrecciata con quella umana. L’assunzione della produzione e della riproduzione della vita come filo conduttore ci consente di dissolvere il divario ontologico e storico tra l’economico e l’ecologico in favore di definite configurazioni storiche delle nature umana ed extra-umana”9.
Superato il feticcio dell’economico Moore si sofferma sui rapporti di potere e riproduzione che riproducono il valore come lavoro astratto e natura sociale astratta. Di conseguenza il capitalismo storico è assunto come l’unità contraddittoria della mercificazione infinita e dell’appropriazione delle condizioni di riproduzione. Il secondo dispiegamento dei rapporti di valore riguarda il valore come proposizione storica.
“Possiamo pensare il valore come un processo storico che pone la realtà come qualcosa da ridurre a una parte intercambiabile. Queste riduzioni sono insieme simboliche e materiali e comprendono semplificazioni sia ‘economiche’ sia ‘non economiche’. Fondamentalmente, la generalizzazione dei rapporti di valore funziona attraverso una dialettica di produzione capitalizzante e riproduzione appropriativa. Il valore è codificato simultaneamente attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro nella produzione di merci e l’appropriazione delle capacità di produzione-della-vita della natura come lavoro non pagato. Questa duplice codificazione del valore è quindi una dialettica valore/non valore. Quest’ultimo, il non valore, è ‘prodotto’ attraverso l’area dell’appropriazione; la condizione per ottenere il valore dall’area dello sfruttamento. Esso include, in maniera determinante, il lavoro non pagato di tutti gli esseri umani, ma soprattutto il cosiddetto ‘lavoro delle donne’”10.
Il capitalismo prevale sui limiti naturali attraverso l’appropriazione della natura a buon mercato e ampliando l’area di questa appropriazione controllando, incanalando ma non capitalizzando la riproduzione della creazione della vita come lavoro non pagato. Moore sostiene che il valore funzioni solo in presenza di lavoro non pagato.
“In questo senso la modernità è un potente progetto di controllo, che realizza ogni tipo di procedura di quantificazione e categorizzazione orientata verso l’identificazione, la messa in sicurezza e la regolazione della nature umana ed extra-umana, è il terreno della natura sociale astratta”11.
La legge del valore, ovvero il funzionamento storico-effettivo della teoria del valore, è una tendenza storica che trasforma la ricchezza della natura in valore.
Moore si sofferma sulla dinamica storica fondamentale dell’accumulazione capitalistica e il suo schema, dove si intrecciano i rapporti della natura umana ed extra-umana governati dalla legge del valore. L’autore intende capitalizzazione e appropriazione come rapporti di produzione. Con il primo termine intende la riduzione del tempo di lavoro necessario attraverso la mercificazione mentre il secondo identifica la massimizzazione del lavoro non pagato al servizio della capitalizzazione. Insieme dettano le regole e gli schemi della riproduzione del valore e del potere nella rete della vita.
12Inizialmente descrive la capitalizzazione della riproduzione che assume molte forme ma si presenta il più delle volte sotto la forma della proletarizzazione capace di inserire nello schema la forza lavoro a cui dobbiamo aggiungere le nature extra-umane, come nel caso dell’agricoltura capitalista. L’accumulazione per appropriazione invece trascende lo schema binario cartesiano. “La distinzione realmente significativa non è tra l’umanità e il resto della natura, ma tra due sfere: l’attività vitale dentro il sistema della merce e l’attività-vitale esterna all’area della mercificazione, ma ancora intrappolata all’interno del potere capitalistico”.
Queste due sfere concorrono a determinare il tempo di lavoro socialmente necessario. Il primo movimento riguarda la produzione delle merci, includendo anche scambio e distribuzione. Il secondo movimento riguarda l’appropriazione del lavoro non pagato per aumentare la produttività del lavoro. Da ciò Moore conclude che il tasso di sfruttamento del lavoro non dipende solamente dalla lotta di classe ma anche dal contributo del lavoro non pagato, sia da parte della natura umana che da quella extra-umana.
Dal rapporto tra capitalizzazione e appropriazione deriva l’analisi del concetto di limite nel capitalismo. I limiti non sono esterni ma dipendono dalla civiltà capitalista in quanto civiltà esternalizzante. Ogni processo di accumulazione non attinge da una natura intesa come magazzino di risorse predeterminate ma crea e viene creato da una natura storica con specifiche opportunità e vincoli. Di conseguenza ogni fase storica è contraddistinta da determinate strategie di accumulazione che si vanno esaurendo in base alla capacità di fornitura della natura a buon mercato e nel momento in cui ciò avviene, i prezzi dei beni primari iniziano a salire. L’esaurimento della natura a buon mercato non riguarda solo il suo deterioramento fisico ma anche quello della natura umana ed extra-umana. È il rapporto tra lavoro pagato e non pagato nell’accumulazione mondiale. Questo esaurimento viene definito da Moore come l’erosione delle strategie di accumulazione storicamente specifiche. Esse influenzano le forme proprie del capitale, del potere e della natura nelle fasi storiche del capitalismo. Tuttavia non si sta parlando di un impoverimento delle sostanze ma di ritorno del capitale investito.
“Ciò che importa, nella storia capitalistica, è il rapporto tra la masse di lavoro non pagato e la massa di capitale in surplus. Formalmente, la massa di lavoro non pagato può crescere persino se la sua quota si riduce in relazione all’accumulazione per capitalizzazione. Questo è, probabilmente, ciò che è accaduto nell’ultimo decennio dall’arrivo del boom dei beni primi del 2003. Diversi esempi illustrano questa immagine teorica contro-intuitiva. La crescita della produttività del lavoro può continuare ma a un tasso molto più lento che in precedenza. Questo fenomeno si è verificato per l’agricoltura mondiale dagli anni Ottanta. La crescita della produttività è continuata, ma a un ritmo troppo lento per soddisfare la necessità del capitale di cibo a buon mercato. Un tasso di crescita che rallenta indica esaurimento, se la necessità di lavoro non pagato aumenta e il regime agro-alimentare non riesce a fornire cibo a buon mercato. Al tempo stesso, i crescenti prezzi degli alimenti non possono essere ridotti dalla produttività in una fase storica caratterizzata da una finanziarizzazione dei beni primari senza precedenti”13.
Un fenomeno simile si presenta per l’energia dove i picchi secondo alcuni sono sintomo del prossimo esaurimento di carbone e petrolio. Per Moore dipende dalla legge del valore e non solo dalla dimensione geologica. Il picco per il capitalismo è quello dell’appropriazione, cioè quando il contributo del lavoro non pago è più alto in relazione al lavoro sociale astratto dispiegato. Potrebbe verificarsi il caso in cui il surplus ecologico cala mentre la produzione cresce, come nella produzione del carbone. L’energia a buon mercato può essere ripristinata unicamente dalla crescita della quota del lavoro non pagato in rapporto al capitale impiegato nella produzione. La fase post-picco ci parla della difficoltà del capitalismo nella fase neoliberista di appropriarsi della natura a buon mercato.
Per quanto riguarda la natura umana, l’esaurimento si manifesta con l’aumento del lavoro non pagato al capitale, l’allungamento della settimana lavorativa o dei turni che generano un cedimento socio-fisico capace di far aumentare le malattie mentali e tumorali o addirittura il calo della fertilità.
Quando il processo di accumulazione dipende maggiormente dalla vita mercificata che da quella non mercificata si verifica la tendenza alla caduta del surplus ecologico con conseguente aumento del prezzo dei quattro grandi fattori: lavoro, cibo, energia e materie prime. Segnalano, essendo una crisi spia, la fine di un regime di accumulazione. Per il neoliberismo, a causa dell’esaurimento delle frontiere esterne e l’aumento della massa di capitale in surplus, questa crisi inizia nel 2003 con il calo del surplus ecologico. Non essendoci più frontiere esterne, il capitale migra verso le materie prime, facendo alzare i prezzi mentre il capitale avrebbe bisogno del contrario. Un’altra valvola di sfogo è la finanza. Moore usa queste riflessioni per aggiornare la teoria dell’accumulazione di Marx. Le crisi cicliche di sovraccumulazione possono essere risolte con la restaurazione dei quattro fattori a buon mercato mentre la caduta del surplus ecologico è una contrazione delle opportunità di appropriazione di lavoro non pagato e di conseguenza delle opportunità di investimento redditizio.
- Jason W. Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato, traduzione di Gennaro Avallone, Ombre Corte, Verona 2015, pp.29-30 ↩︎
- Ivi, p.32 ↩︎
- Ivi, p.36 ↩︎
- Ivi, p.38 ↩︎
- Ivi, pp.42-43 ↩︎
- Ivi, p.92 ↩︎
- Ivi, p.94 ↩︎
- Ivi, p.95 ↩︎
- Ivi, p.98 ↩︎
- Ivi, p.99 ↩︎
- Ivi, p.99 ↩︎
- Ivi, p.103 ↩︎
- Ivi, pp.106-107 ↩︎
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