Lenin tra Negri e Quadrelli

Introduzione

Per molti autori e filosofi contemporanei che si definiscono “hegelomarxisti” ed esaltano questa tradizione contro le “degenerazioni del postmoderno” pongono i pensatori del “Marxismo classico” (Marx, Engels, Lenin e Mao) come inconciliabili rispetto alla teoresi del “pensiero postmoderno” e della sua filosofia: un percorso che parte dalla disputa tra Badiou e D&G1 e continua con le critiche di Preve e Fusaro come anche con scritti polemici come quello di “organi senza corpi” di Žižek2). Rispetto ai poststrutturalisti, la rottura sembra inevitabile, inconciliabile. La differenza, secondo questi pensatori, resta uno specifico riferimento concettuale e teorico nonché dialettico che viene rifiutato nella teoresi anti-hegeliana:

“decostruzione della realtà“ e del concetto di “negativo” contro invece la tangibile e reale “realtà dialettica marxista.”

Eppure, in questa “teoresi postmoderna” sempre si è cercati di riavvicinarsi alle idee marxiane e ai suoi esponenti più illustri. Emblematici sono la pagina e il giudizio che si dà di Lenin nell’Antiedipo:


“Ma appunto, come definire la vera alternativa senza presupporre risolti tutti i problemi? L’opera immensa di Lenin e della rivoluzione russa fu di forgiare una coscienza di classe conforme all’essere o all’interesse oggettivo, e conseguentemente di imporre ai paesi capitalistici un riconoscimento della bipolarità di classe.”


Eppure avvertono esattamente nella frase dopo:


“Ma questo grande taglio leninista non impedì la resurrezione di un capitalismo di Stato nel socialismo stesso, cosi come non impedì al capitalismo classico di aggirarla continuando il suo vero e proprio lavoro sotterraneo, sempre tagli di tagli che gli consentivano di integrare nella sua assiomatica sezioni della classe riconosciuta, rigettando più lontano, alla periferia o in enclavi, gli elementi rivoluzionari non controllati (non maggiormente controllati dal socialismo ufficiale che dal capitalismo)”3.

Delusione della rivoluzione russa; ma anche esaltazione della grande coscienza e dal grande genio di Lenin. Grande lucidità e coscienza del fenomeno Lenin: il settarismo e il dogmatismo operaio che promuovono un’avanguardia non certamente autoreferenziale (e quanti partiti sedicenti comunisti al posto di leggere i testi del marxismo classico e basta dovrebbero iniziare a sfogliare il “libro della natura” che ha certamente studiato Lenin!) ma anzi organica e sistematica. Con un colpo di spugna tutte le deficienze nei confronti di questi pensatori spariscono: dalle accuse di anarchismo e “astrattività” del loro metodo, della loro “forschung” fino alle accuse più bieche di revisionismo e di “riformismo borghese”. Questo articolo vuole parlare del rapporto che hanno Negri e Quadrelli con Lenin; non si propone qui di trattare di Deleuze e Guattari. Ma certamente l’abbozzo di questi due pensatori è significativo: infatti, come “marxisti eterodossi ed eretici”, propongono una lettura e una ripresa di Lenin pienamente coerente con quello che era il marxismo di Lenin: eterodosso ed eretico. La “ritraduzione” contemporanea e non “farisea” di Lenin ha sempre lo stesso quantificatore e la stessa matrice: il “Cattivo maestro” Negri e lo “etnografo” dei banditi Quadrelli trovano in Lenin la figura a loro più consona, più adeguata; mai si sognerebbero di definirsi anarchici. Quanto la ripresa di Lenin sia essenziale in questi pensatori “contemporanei” ed eterodossi come lo era nei poststrutturalisti è evidente: Lenin è stato il “legislatore” del pensiero di Marx, rendendo capace la rivoluzione in un paese che era la coda del capitalismo di inizio Novecento ed è riuscito concretamente (contro ogni lettura “ortodossa” della Seconda Internazionale) a instaurare e a portare avanti la rivoluzione. Dando queste premesse, si può analizzare il rapporto tra Lenin e Negri e Quadrelli, ricordando una frase che Negri scrive nelle sue lezioni: “Non possiamo cioè immaginare un’ortodossia marxista che non sia questo: la capacità di cogliere il processo rivoluzionario e le leggi materiali del suo sviluppo a partire dal movimento, a partire dalla lotta, a partire immediatamente dell’organizzazione del rifiuto, dell’odio, della negazione dell’esistente”4.

Lenin, il rivoluzionario nell’illegalità

“Si tende a sottacere sovente limportanza degli studi militari nella formazione politica di Lenin. In realtà, egli aveva una profonda conoscenza delle opere dei grandi teorici militari e della teoria militare del passato. […] Per Lenin la politica rivoluzionaria era una guerra al capitale: una vera e propria guerra in piena regola; in cui, si, la fase guerreggiata è quella dell’assalto finale, ma in cui ogni fase precedente assume ugualmente, sia negli strumenti della lotta, che nella concezione strategica, cioè nell’utilizzazione dei vari combattimenti politici parziali in vista del risultato finale, le caratteristiche della condotta di una guerra”5.

“Per la rabbia del borghese bruceremo ogni paese
ed in fiamme andrà la terra:
Dio proteggi questa guerra!
— A. Blok, I dodici, III

La radice e il motore preminente nell’intera azione politica leninista è la rivoluzione. La rivoluzione qui assume tutta la sua complessità terminologica e filosofica: infatti, essa si attua nel più grande grado di conflittualità politica esistente. L’uomo di Kamo in Quadrelli esemplifica bene l’uomo Lenin (che diventa di Kamo!): fabbrica bombe, ordigni, pianifica attentati, sostiene il populismo e così via. È una vera e propria “fabbrica della strategia”. Quadrelli evidenzia la natura populista della teoria leninista: infatti la forza dirompente, sovversiva e popolare del Che fare? porta ad un confronto con quel populismo russo, in maniera critica, ma esaltandone il carattere spontaneo.
“Nel nesso intellettuali-popolo, che per molti versi è ripreso per intero dalla tradizione populista si evidenzia non solo la rottura con l’intera storia della socialdemocrazia europea, all’interno della quale il popolo viveva una condizione di obiettiva subordinazione nei confronti degli intellettuali ma, al contempo, anche una lettura di Marx radicalmente distante e diversa da quella che, pur con significative differenze al suo interno, aveva caratterizzato tutta la storia della Seconda internazionale. […] Lenin restituisce alla classe e alla sua soggettività il tempo storico. […] Il linguaggio interamente tra le mani della classe. Si tratta, per l’epoca, di una autentica rivoluzione copernicana ma anche, avendo a mente soprattutto gli scritti storici di Marx, di una sorta di restaurazione della teoria marxiana. […] Il verde albero della vita appartienealle masse e una organizzazione politica incapace di vivere in relazione dialettica con ciò non può fare altro che ghettizzarsi nel grigio mondo della teoria. Se la Seconda internazionale aveva trasformato il marxismo in “Scienza”, Lenin lo ritraduce in soggettività e lotta o ancor meglio, in “scienza operaia” la quale, per definizione, non ha nulla a che vedere e ancor meno a che fare con l’anodino mondo della scienza con la s maiuscola”6.
In Quadrelli Lenin è la figura perfetta dell’antagonismo borghese ed esalta più di chiunque altro la figura del “nemico”: è l’antagonista che meglio ha incarnato la dialettica hegeliana del marxismo e che l’ha portato ad una conflittualità di classe tale da aizzare la paura di tutte le borghesie europee e non solo (come dimostra Schmitt7).
Lenin si dimostra nella sua pratica e nella sua teoria quindi già carico di una sovversività sconosciuta a qualsiasi divisione tra sovrastruttura e struttura: la distruzione stessa dello stato zarista e della macchina statale zarista hanno per figure criminali, banditi, associazioni terroristiche che compiono rapine, attentati e vengono imprigionati o esiliati8.
Contro ogni teoria gradualista, lineare e opportunista del politico o, insomma, di qualsiasi “autonomia del politico”, Lenin si proclama avversario, irruente avversario di tutta la pacatezza convenzionale e dai toni reazionari di tutta la teoria della Seconda Internazionale. Su questo in Occidente c’erano davvero poche persone con lo stesso impeto pratico e teorico, corrisposto come unico carattere di processualità politica atta ad estinguere in tutto e per tutto lo stato borghese, a “bruciare le tappe”9 con la profonda coerenza della composizione di classe marxista.

Lenin è già figura futurista ed esplosiva prima ancora che sia messo in versi da Majakovskij.

“In tutto questo il volantino agitatorio, il giornale propagandistico, il pamphlet teorico sono del tutto complementari alle squadre proletarie che allargano, difendono, impongono il potere Operaio e i suoi decreti. Qui Lenin riprende per intero il terrorismo populista, in funzione del dualismo di potere in atto. Legalità illegalità, politica, guerra, lavoro teorico e combattimentolsono sempre un et-et. Non si dà l’uno senza l’altro.
Con la sola attività legale si scivola nel democraticismo opportunista, con la sola pratica illegale si approda inevitabilmente a un militarismo fine a sé stesso. un passaggio che sicuramente si lascia alle spalle i limiti della Narodnaja Volja ma non ne è certamente un ripudio. Un passaggio filosofico e non semplicemente politico poiché, proprio in ciò, vi è la precisa concettualizzazione del nemico e della inimicizia assoluta aspetto che il populismo aveva abbozzato ma non portato sino alle sue estreme conseguenze, un passaggio che apre sulla guerra civile internazionale e la borghesia ciò lo comprenderà appieno o, almeno, sicuramente meglio dei marxisti occidentali i quali, proprio su ciò, si rifiutarono di seguirlo”10.


Quanto poco indicativo e quanto è controintuitivo al marxismo anche nostrano questo Lenin, così apertamente esuberante e burbero nella sua lotta politica contro lo zarismo! D’altronde tutto questo è presente pure in tutto il “lavoro illegale” e tutto questo permane nel suo rapporto con Kamo.
Lavoro illegale che spesso viene rimosso nella storiografia leninista: infatti, troppo fraudolento spesso nelle immagini marxiste occidentali formatesi del proletariato, quel tipo di banditismo e si criminalità che però era anche un elemento e una componente base della rivoluzione comunista11. “Di Kamo e dei suoi consimili non vi è praticamente traccia[…]. Scarse o nulle, infatti, le notizie relative agli innumerevoli espropri e alle neppur troppo rare estorsioni, pressoché assenti gli assalti alle caserme della polizia, inesistenti i racconti relativi alle numerose evasioni dalle prigioni o gli assassini di poliziotti, spie, omini dell’apparato statale o nemici politici.
Del tutto ignorate, quasi si trattasse di un cattivo romanzo d’appendice, le frequenti e rocambolesche imprese di acquisizioni di armi all’estero e il loro contrabbando all’interno dell’impero zarista così come non vi è praticamente traccia delle fabbriche clandestine di armi ed esplosivi che i bolscevichi allestirono in continuazione. Infine, ma certamente non per ultimo, del tutto rimosso il costante, e anche contraddittorio, rapporto tra i bolscevichi e i banditi dell’epoca la non secondaria cooperazione tra bolscevichi, socialisti rivoluzionari, vecchi populisti e anarchici sul terreno dell’attività illegale”12.

Oblio e dimenticanza del lavoro leninista come apertamente illegale e bandito, davvero barbaro!

E bisogna ben sottolineare questo termine: “barbaro”. Non solo ricalca tutta la lotta contro l’imperialismo russo stesso guidato sempre dalla lotta anticoloniale presente nel comunismo leninista; ma significa anche che la figura del “barbaro” leninista è la figura dello sfruttato reale, della persona razzializzata in quanto tale emarginata e sfruttata e che viene contrapposta al romantico “selvaggio” della cultura europea (come ha ben delineato Said13).

Tutto questo in Lenin ha un carattere centrale.

“Lenin si fa barbaro e, nel definire le nuove linee di amicizia del proletariato, guarda senza remore alle popolazioni oppresse dal giogo colonialista e imperialista. Lenin porta i barbari, e su di un piano assolutamente paritario, dentro ľorizzonte della rivoluzione comunista. Questa, a conti fatti, la grande rottura epistemologica compiuta da Lenin. Lenin include i popoli non Occidentali dentro i perimetri della politica; cosa che, sino a quel momento, era rimasta sostanzialmente estranea a tutta la teoria politica marxista”14.

Ma ecco qui il problema sempre ben posto della composizione di classe e della capacità organizzativa: quello che distingue il marxismo da un ingenuo anarchismo. Organizzazione, saper condurre e praticare nelle masse operaie la lotta politica reale e centralizzata dell’estinzione dello stato e dei suoi modi di produzione, senza che avvenga tramite le politiche socialdemocratiche un puro compromesso tra le classi reiterando in altri modi i modi di produzione capitalisti (rischio che già si palesa nella critica al programma di Gotha o Erfurt). Avere una “logica del senso” dove l’Essere della realtà non è l’essenza ma il senso: la fabbrica concettuale di Lenin è un armamentario che si dispiega in un apparato militare del partito che è capace di porre una logica reale e un dualismo reale nella società capitalista15. A questi “barbari russi” (contro i bei “selvaggi” romantici come quelli della banda Bonnot, così lontani che l’Occidente li ha sussunti, inermi, nel suo immaginario!16) dà una voce e una capacità organizzativa, cosa che tutti i marxisti occidentali non si sarebbero mai aspettati di osservare.

“Nella determinazione del passaggio dalla teoria dell’organizzazione alla strategia rivoluzionaria (che abbiamo visto in qual maniera fosse impiantata sull’analisi della formazione sociale determinata, e della situazione russa in particolare), Lenin punta sull’indipendenza del proletariato come partito e sulla direzione operaia del partito, vedendo in ciò una garanzia sostanziale della continuità del disegno rivoluzionario. Ma ciò non basta: il progetto organizzativo si sviluppa in allusione determinata ai contenuti del comunismo e il tema dell’estinzione dello Stato diventa così la chiave che regge in maniera continua, permanente, tutto il processo rivoluzionario. I marxisti, dice Lenin, riconoscono l’attuale necessità dello Stato, quindi della dittatura nelle fasi particolari che attraversa la rivoluzione; in particolare la riconoscono laddove i contenuti della lotta, i bisogni e la forza delle masse non possono produrre che una determinazione democratico-borghese dei contenuti del processo rivoluzionario. Ma tutto ciò va continuamente bruciato, continuamente superato: la rivoluzione permanente è il fine dei comunisti. Il partito comunista si distingue dalle altre forze nella gestione delle forme intermedie del processo rivoluzionario del proletariato nella misura in cui riesce a imporre all’interno di ogni singolo passaggio il fine dell’estinzione dello Stato”17.

L’esaltazione della spontaneità, della conflittualità perenne date dalle dinamiche del capitale e dal suo essere incontrastabili da qualsiasi opportunismo socialdemocratico, vengono esaltate da Negri e Quadrelli nel passaggio dalla composizione di classe all’organizzazione politica: la strategia diventa il terreno dove l’organizzazione politica muove unitariamente contro la borghesia dello Stato (il più freddo di tutti i mostri).

Ecco il lavoro del “virologo” Lenin: lo sviluppo di virus e di corpi estranei all’interno dello Stato è finalizzato a organizzarli e a combattere la società borghese in qualunque modo, ostinatamente e radicalmente. La morte della società borghese e del suo corpo è il fine di qualunque pratica comunista che si ponga davvero come tale e come realmente antagonista.

“Contro il determinismo meccanicista e il volontarismo astorico e idealista si cristallizza la teologia politica leniniana. Esattamente in questa relazione dialettica tra potenzialità oggettiva e volontà soggettiva si evidenzia la differenza qualitativa tra I’argomentazione marxiana e tutte le teorie politiche borghesi. Questa è la relazione che Lenin tiene costantemente a mente nell’osservare con enorme attenzione i comportamenti più avanzati della classe. In ciò vi è la consapevolezza che la classe non è un corpo statico e pertanto non può essere osservata come se fosse una fotografla: pluttosto va colta in maniera cinematografica, in e nel movimento. La lotta, per prima cosa produce una mutazione antropologica, cioè un processo di soggettivazione che trasforma alla radice l’essere sociale.

Questo processo non è e non può essere immediatamente omogeneo e generalizzato, aspettare questa generalizzazione è solo un modo per giustificare la propria inazione e incapacità di cogliere le occasioni che tali processi offrono. Lenin, pertanto, non guarda le masse indistintamente ma focalizza, e fa proprie, le istanze radicali che provengono dagli strati avanzati della classe cogliendo per intero il mutamento antropologico che produce, come il 1905 è lì a ricordare, in un brevissimo lasso di tempo”18.

Bisogna pur sempre ricordare la pratica specifica della composizione di classe: ecco che si dà la dittatura del proletariato rispetto all’evoluzione dell’operaio specializzato a fine 800. Ma è importante evidenziarlo, perché evidenzia bene la necessità storica della dittatura del proletariato e non solo un riferimento filologico alla teoria marxiana ed engelsiana come spesso accade nell’attuale marxismo.

“Nella misura in cui gli operai attaccano, come accade fin dagli anni 70, in maniera diretta e di massa le basi della produzione capitalistica, e l’attaccano utilizzando quella loro particolare figura sociale di proletariato misero e massificato che è la prima composizione tecnica che il capitale produce per la produzione manifatturiera, – ecco, nella misura in cui questo avviene fra il ’48 e il 70, il capitale innalza enormemente il grado di composizione organica, e cioè innalza enormemente la proporzione tra macchinario e lavoro erogato, tra capitale costante e variabile. A che scopo? Allo scopo di dividere nuovamente la classe operaia unificata dalla lotta, e cioè di costruire la figura dell’operaio professionale, come operaio dotato di un altissimo grado di produttività rispetto al passato, che conquista nella dignità del lavoro, in una più alta coscienza del lavoro, una posizione separata dal proletariato nel suo complesso.

La possibilità di questo salto capitalistico in avanti è creata da un gigantesco processo di concentrazione e dall’assicurazione di condizioni di monopolio (capacità di determinare in maniera unilaterale il prezzo della merce). Ma, d’altra parte, a ciò segue la necessità di sviluppare sul terreno imperialistico la costruzione di un mercato che corrisponda alla capacità produttiva che questo più alto livello di composizione organica determina”19.

Fraintendimento davvero importante, quello di molta attuale sinistra sedicente marxista! Infatti, assumendo il carattere della composizione di classe leninista, leggono Lenin, ma come se non lo leggessero! Infatti, mentre la dittatura del proletariato nella specifica espressione leninista si dà per la necessità dell’evoluzione del capitalismo dopo l’esperienza comunarda, costoro si appigliano a questa definizione senza alcuna capacità di lettura epistemologica reale e concreta, come imporrebbe la stessi filologia marxiana! Come impone d’altronde pure Lukàcs (Lenin è lo spirito della storia; come ricorda Quadrelli, proprio perché sa applicare la dialettica tra partito formale e composizione di classe storica20).

“Ben diversamente da quanto pensano i riformisti, per i quali l’idea del salto è qualche cosa o di imprevisto o di puramente soggettivo, per Lenin la discontinuità del processo si impianta dentro una realtà, dentro una base materiale che bisogna saper vedere e analizzare; ed è cosa stabile e grande: questa base sono la grande industria, le fabbriche, l’infrastruttura sociale dell’industria, cioè – dal punto di vista rovesciato – l’operaio complessivo che questa produzione determina”21.

Eppure è proprio la composizione della classe russa che pone il problema della processualità della rivoluzione: l’esile presenza del proletariato russo rende sempre problematico pensare al settarismo operaio, all’avanguardia operaia, ad una rivoluzione guidata dagli operai (d’altronde nel Che fare? è evidente un confronto diretto proprio con il populismo russo e la critica ad esso per la sua appartenenza politica al ceto agrario, ancora centrale durante il conflitto russo- giapponese).

Questa però è la radicalità del fenomeno Lenin: ostinatamente portare un paese alla “coda del capitalismo” allo sviluppo industriale ed economico ad un livello tale da poter portare alla socializzazione del lavoro e quindi allo sviluppo alternativo e proletario della divisione del lavoro tale che rende possibile anche in un paese come la Russia zarista la rivoluzione causata dalla stessa insorgenza proletaria come sentimento fondamentale del massimalismo leninista. Lenin gioca su un filo sottilissimo tutta la sua rivoluzione: tra la composizione di classe, spontanea ma che non deve mai scadere nell’opportunismo borghese e il partito formale che deve indirizzare e guidare la rivoluzione nel “settarismo operaio”, centralizzando la rivoluzione e dandogli degli obiettivi politici; obiettivi politici però che mirano sempre a raggiungere il comunismo come obiettivo politico fondamentale e che quindi dev’essere sempre guidato dal proletariato, senza che degeneri mai in un “termidoro” com’è accaduto dopo la morte di Lenin.

Il filo è davvero sottilissimo e l’obiettivo resta sempre quello di sviluppare il “dualismo di potere” ma sempre per superarlo, sempre diffidando del potere dello stato e però misurando attentamente la “tendenza” di sviluppo capitalista con la “tendenza” rivoluzionaria e quindi prevedere lo sviluppo e la tendenza capitalisti per imporre quello comunista.

“Come risultante di queste condizioni, i Soviet costituiscono così un polo del cosiddetto «dualismo di potere» da cui si è voluta caratterizzata la prima fase della rivoluzione russa. C’è modo e modo, tuttavia, di considerare il «dualismo di potere»: lo si può considerare come un sistema di ripartizione del potere di una fase rivoluzionaria democratica, o come un primo risultato dello sviluppo della rivoluzione permanente verso obiettivi socialisti. Nel primo caso il Soviet verrà definito come «organo di controllo della democrazia rivoluzionaria», e perciò semplicemente tenuto a garante, negativamente, contro riflussi controrivoluzionari, positivamente, dello sviluppo democratico delle istituzioni e della politica dell’esecutivo. È questa la posizione menscevica e socialrivoluzionaria, fondata sulle note tesi circa la natura della rivoluzione in Russia: ma ad essa non sono estranei, limitatamente alla considerazione dei Soviet, neppure i vecchi bolscevichi che prima del ritorno di Lenin, pur con molte ambiguità, sembrano accettare queste formule. Solo l’aprirsi della crisi di aprile, il ritorno di Lenin e la lotta attorno alle «tesi» provoca una prima decantazione nella situazione.

[…] L’ambiguità del dualismo di potere va quindi, dal punto di vista operaio, affrontata e risolta: ne va proposta innanzitutto l’accentuazione, quindi l’esaltazione del momento proletario dell’antitesi fino alla fondazione della dittatura del proletariato nella sua forma sonettista”22.

Il gioco di tutta la dialettica leninista (e tutto il rapporto che si crea tra Lenin e Hegel nella sua lettura della scienza della logica a Zurigo23) è tra la tendenza e la continuità del processo capitalista che dalle sue discontinuità ne esce la rottura rivoluzionaria della classe proletaria che impone la sua progressiva e graduale affermazione(ma sempre discontinua nei suoi passaggi, come dal socialismo al comunismo) contro lo sviluppo del capitale.

Tutta la dialettica della tendenza si gioca secondo la formula di invertire il rapporto fra composizione e organizzazione, fra materialità e volontà rivoluzionaria e di far quindi prevalere la discontinuità come processo affermativo ma coerente della classe operaia.

“Lenin insiste sempre sulla discontinuità e questo va appunto sottolineato come carattere definitivo dell’analisi leninista. Dimenticare questa discontinuità significa cadere nel grande pasticcio delle teorie che vedono l’insorgere della spontaneità come continuità e l’estinzione come qualche cosa che è dovuto alla presa del potere da parte del proletariato. Dentro queste teorie della continuità sia della lotta, sia della presa del potere, la fase della dittatura e dell’estinzione dello Stato rappresenta un cammino ideale e utopico, nell’incapacità di comprendere il processo reale della costruzione del comunismo, il fatto cioè che l’estinzione dello Stato passa solamente attraverso la determinazione (e la lotta per la determinazione) di condizioni materiali favorevoli e mature”24.

Delineate qui le condizioni della dialettica leninista, si potrebbe concludere rimarcando il soggetto (il “personaggio concettuale”) di tutta la filosofia leninista: il soggetto rivoluzionario. Infatti, colui che adempie alla prassi e che rende concretamente la rivoluzione, è proprio il soggetto che nasce dalla composizione di classe e si afferma in quanto tale. Senza di esso non si dà prassi. Eppure è il delineare dirompente e forte di questo carattere che innalza la figura leninista a rappresentante della “autonomia operaia” piuttosto che a partiti dirigenzialisti e a realtà politiche che si pongono come verticali convinti così di star seguendo l’insegnamento leninista. L’attualità di Lenin permane in questa figura concepita, vissuta, organizzata ed espressa.

“L’astrazione si determina in una soggettività operante, in una soggettività che si dà dentro il movimento di massa e che di volta in volta si determina e si misura materialmente, praticamente, su tutti i passaggi del movimento”25.

Si può allora concludere che la teoria politica di Lenin ha come processo essenziale la spontaneità: non come spontaneità ingenua e astratta dalle condizioni materiali(“Anzi: il rifiuto della sottomissione alla spontaneità nasce, si afferma e si consolida quando la spontaneità è più alta. Il salto oltre la spontaneità vien fatto attraverso la spontaneità”), ma che trae dal senso della rivoluzione e dalla necessità organizzativa di essa stessa la sua proliferazione. Il proletariato è un virus, una “eruzione” che deve scagliarsi contro l’organismo stratificato e gerarchico della classe borghese, insediandosi e impiantandosi contro di esso per una lotta mortale e che porterà, nella perpetua lotta rivoluzionaria, all’estinzione dello stato.

Lenin e la dialettica

“Non è dunque un astratto e illusionistico rovesciamento della dimensione umana ciò che differenzia l’uso metodologico della dialettica in Hegel e in Marx, bensì la radicale storica differenza del soggetto cui ci si riferisce. La dialettica congiunge Hegel e Marx, il 1848 li separa.”

“Non si può comprendere perfettamente il Capitale di Marx e particolarmente il primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta la Logica di Hegel. Di conseguenza, mezzo secolo dopo, nessun marxista ha compreso Marx!!”

Un importante apporto al pensiero e alla prassi di Lenin diventa la lettura a Zurigo della scienza della logica di Hegel, di cui si occupa Negri nelle lezioni dalla 16 alla 18. Certamente è importante riconoscere il contributo che ha portato questa rilettura in Lenin nella riscoperta di Marx. Infatti:

“Non si può comprendere perfettamente Il Capitale di Marx senza aver studiato a fondo e compreso tutta la Logica di Hegel. Quindi nessun marxista ha compreso Marx da mezzo secolo a questa parte”.

La particolarità della scienza della logica nel pensiero leninista è che riesce a sfidare il gradualismo della Seconda Internazionale. Negri infatti scrive che è stata una benedizione la scienza della logica nel pensiero leninista, che può evolversi dopo le già acquisite nozioni della scienza del Capitale: “Abbiamo anche visto però come, prima del 1905, il rapporto che si poneva tra composizione, organizzazione e insurrezione fosse abbastanza rigido e come solo nel fuoco della lotta esso avesse ricevuto un primo scossone, aprendo con ciò l’altra via, opposta e tuttavia complementare, della considerazione teorica, la via che indicava un ordine diverso del processo: insurrezione, organizzazione, composizione”26.

Questo permette una particolare forma dialettica nella filosofia leninista che può “trasformare la stessa composizione di classe”27 di un proletariato dove l’organizzazione media l’immediato della soggettività operaia e permette la rivoluzione e la fondazione della transizione nel comunismo di guerra e nella dittatura proletaria, cosa che non era possibile nella prospettiva gradualista e socialdemocratica della Seconda Internazionale.

La sua idea che dalla lettura della scienza della logica traspare è infatti audace e molto significativa, “Una teoria che concatena determinate cause oggettive a determinati effetti soggettivi”28.

La scienza leninista, se si fermasse infatti ad un materialismo come “vecchio atteggiamento meccanicistico”29 scadrebbe nella scienza oggettivista della Seconda Internazionale.

“solo nella misura in cui l’uomo come prassi collettiva, come insieme delle forze produttive, continuamente questo mondo lo riplasma, lo trasforma, lo rivoluziona, in un rapporto pratico. La dialettica è la legge di questo rapporto, è quindi la regola fondamentale della scienza che indaga il rapporto tra collettività umana produttiva e trasformazione della natura e della società, e disvela i rapporti di potere come tentativo di bloccare (da parte del potere costituito, attraverso lo sfruttamento, attraverso tutte quelle che sono le regole del comando) questa creatività infinita, immensa, che risiede nella prassi collettiva”30.

Lenin parte quindi dal considerare Hegel nel suo essere un idealista dialettico, dove questo significa: “la realizzazione del pensiero fino a costituire la sua totalità reale”, “costruita attraverso il movimento” e lo fa in un meccanismo di affermazione e negazione: “Solo la Totalità è il Vero, ma la totalità va conquistata dentro il processo dialettico”31.

Non esiste cioè una logica astratta che possa essere applicata a contenuti diversi, in fasi storiche diverse. Importante diventa quindi lo studio di Lenin in relazione a Kant: infatti l’attacco alla teoria soggettivistica e formalistica (ovvero della distinzione tra soggetto e oggetto che si rispecchia nella filosofia di Kant secondo la lettura hegeliana che predilige invece l’Unità di oggettivo e soggettivo) diventa il riferimento ad una teoria immanentistica dell’analisi del reale: “L’astrazione della materia, della legge di natura, l’astrazione del valore ecc., in una parola tutte le astrazioni scientifiche (che siano corrette, da prendere sul serio e non insensate) riflettono la natura più profondamente, più fedelmente, più compiutamente32. Il materialista innalza la conoscenza della materia, della natura, e getta Dio insieme a tutta la canaglia filosofica che lo difende nel letamaio”33.

Da Hegel Lenin raccoglie l’indicazione che il cammino della conoscenza passa attraverso la negazione del semplice e dell’immediato per ricomporli nel processo che porta alla costruzione del reale mediato e intero.

Si scopre l’essenza come connessione reale, “riscoprendo l’astratta apprensione dei molti elementi connessi come unità della connessione e concretezza dell’essenza” e “universale tale che abbracci in sé la ricchezza del particolare”34.)

Allora diventa importante cogliere l’aspetto fondamentale del rapporto tra Hegel e Marx (“La prosecuzione dell’opera di Hegel e Marx deve consistere nella elaborazione dialettica della storia del pensiero umano, della scienza e della tecnica”35 che per Lenin costituisce un punto di approdo irrefutabile della comprensione del pensiero marxiano e di come l’analisi materialista derivi da una specifica concezione filosofico-teorerica del pensiero di Marx ed Engels che non si può assolutamente separare dalla scienza del Capitale (“il principio dell’astrazione determinata, applicato istintivamente da Lenin fin dai suoi scritti del ’90, viene qui scoperto nella sua struttura logica!”)36. Lenin coglie nei concetti di “connessione”, nei rapporti “essenza-legge” e pure nel concetto materialistico di relazione lo stesso rapporto di Hegel con Marx: il capitale come tendenza virtuale, dove Lenin, passando dalla “serie: essenza-connessione-movimento”, a “essenza-movimento- produzione”37 coglie la capacità sovversiva della soggettività proletaria e lo mette in relazione con la logica dell’intero del capitale e della composizione di classe al cui interno è possibile l’organizzazione proletaria. Qui viene radicata pure la critica allo strutturalismo di Althusser: mentre lui infatti esalta “la preconcetta autonomia e indipendenza del partito la considerazione politica” espugnando ogni soggetto, Lenin arriva tramite la lettura di Hegel a superare l’hegelismo e quel “panteismo astratto” (che all’epoca chiamava ancora “spinozismo”!). Nella virtualità della soggettività rivoluzionaria38.

“Le leggi della logica sono il rispecchiamento dell’oggettivo nella coscienza soggettiva dell’uomo39. soggettività e oggettività sono assolutamente dialettiche”40.

La prassi diventa “motore e verifica (mediazione) del processo dialettico”; dinamica produttiva e attività costitutiva del soggetto ed emergenza della realtà immediata. Scrive Lenin che:

“l’unificazione della conoscenza con la prassi”41. Ecco una teoria della conoscenza materialista: “Il concetto di prassi distrugge, nel quadro dialettico, la fissità oggettuale del rispecchiamento, la subordina alla verifica e alla tecnica, fino a determinarne la funzione costitutiva”42. Questa è un’importante critica a tutto l’idealismo, che viene tacciato di conoscenza astratta. Questo ha reso possibile la rivoluzione russa e la sua teorizzazione: l’evoluzione del partito e della sua funzione dal febbraio all’ottobre varia proprio rispetto alla riappropriazione di questi momenti nella “prassi collettiva” della soggettività rivoluzionaria e dirompente del proletariato. “Il concetto di organizzazione e il programma comunista vivono questa tensione e questa continuità di massa”43. Ecco che la teoria costituisce un tassello importante della prassi operaia e di come la tendenza oggettiva del capitale venga riportata al soggetto operaio e alla sua virtualità.

Futuro e prospettive dell’organizzazione dopo il superamento della legge
del valore

“Tutta la teoria di Marx è un’applicazione al capitalismo moderno della teoria dello sviluppo nella sua forma più conseguente, completa, approfondita e ricca di contenuto. È naturale che Marx si sia posto il problema di applicare questa teoria anche all’imminente crollo del capitalismo e al futuro sviluppo della futura società comunista. Su che dati ci si può basare per porre il problema dello sviluppo futuro della futura società comunista? Sulla base del fatto che il comunismo proviene dal capitalismo, si sviluppa storicamente dal capitalismo, è il risultato delle azioni di una forza sociale che è generata dal capitalismo”

Negri e Quadrelli hanno sottolineato però il distacco e la distanza storica che li lega (e distanzia) rispetto a Lenin. Ma perché? Questo perché il valore e la ricchezza, giunti allo “stato-crisi”, vengono inevitabilmente disgiunte.

Infatti, nell’analisi marxiana, il primo fa riferimento al valore di scambio della merce all’interno del modo di produzione capitalista, che viene contrapposto al valore d’uso, all’abbondanza e alla gratuità della ricchezza. Tuttavia nel capitalismo industriale, si trovava una sorta di intreccio dei due termini, dove vengono prodotte sempre più merci con meno lavoro, dunque con prezzi unitari sempre più bassi, consentendo di soddisfare una massa crescente di bisogni. Nel capitalismo cognitivo, questo rapporto positivo fra produzione di ricchezza e soddisfazione dei bisogni viene sciolto, togliendo la forza progressiva della forza del valore44.

Nel suo commento a stato e rivoluzione, infatti, Negri ricorda il problema dell’evoluzione del capitale:

“D’altra parte non possiamo neppure dimenticare che, nella misura in cui il capitale si sviluppa, gli elementi organizzati assumono più peso degli elementi di partecipazione coatta, e la funzione di mistificazione dell’interesse generale diventa sempre più ampia.” E ci ritroviamo in una fase, scrive Negri, in cui: “La società diventa fabbrica, si dice, le complesse interrelazioni del sociale vengono tutte giocate in termini produttivi”45.

Ricordiamoci lo studio della dialettica hegeliana in Lenin innanzitutto: infatti, come mostra lo scritto dello sviluppo del capitalismo in Russia, si riscontra il problema dell’analisi delle condizioni materiali come problema preminentemente pratico: lo studio scientifico dell’evoluzione dei rapporti dialettici tra operai e capitale permette di sviluppare lo studio dell’imperialismo, ovvero come le attuali condizioni economiche di accumulazione e di riproduzione del capitale portano gli oligopoli europei a rapportarsi e a scontrarsi; così da qui si sviluppa, nello studio della discontinuità dell’imperialismo tramite la guerra, lo spiraglio di possibilità dell’insorgenza operaia, che viene ampiamente studiato in Stato e rivoluzione.

La teoria e la scientificità presente nello studio dei rapporti di produzione capitalisti serve a dar forma al processo rivoluzionario, a rendere possibile la transizione socialista. Società socialista che non è più possibile: “Tutte le modificazioni che si sono avute con la grande riforma capitalistica dello Stato successiva al ‘29, sono state in particolare rivolte a legare il comando alla necessità della socializzazione della produzione.

Il movimento operaio ne ha modificato la realtà.“; “perché lo Stato della borghesia, lo Stato dell’organizzazione capitalistica del lavoro vive invece la sua vita nella sintesi continua di elementi di organizzazione o di comando”46.

Il Capitale tecnico-scientifico analizzati nei Grundrisse crea un altro antagonista: “la forma di cervello che gli uomini hanno dovuto forgiarsi a contatto della scienza capitalistica e delle necessità della riproduzione del modo di produrre capitalistico”47. E non permette più il rapporto positivo tra stato e proletariato.

Ormai lo stato si basa: “sull’organizzazione interna della necessità di riproduzione di questo comando, quindi semplicemente su una gerarchia razionale di funzioni intese alla perpetuazione del dominio”48. Il dominio dello stato diventa quindi solo antagonistico e arbitrario49.

Ma lo studio della discontinuità dei rapporti di produzione del capitale serve a creare la continuità dell’organizzazione e da questa conseguire lo sviluppo alternativo del partito rispetto a quello dello stato, nelle sue attuali condizioni storiche. Per questo l’ottimismo di Negri, in queste Lezione del ‘72/’73 è vuole ricordare il rapporto tra Lenin e noi. Quindi Negri vuole delineare una continuità con il problema dello stato e la teoria dello stato leninista: “Ben lungi dall’avvenire in forma continua, il processo dal socialismo al comunismo non potrà che prevedere una «rivoluzione culturale ininterrotta» al suo interno, la distruzione continua di quelli che sono i criteri oggettivi di orientamento e di conoscenza”50. E comunque: “Quand’egli affronta la tematica del dualismo di potere non definisce, non vuole definire un modello di Stato: di Stato ce n’è uno solo, ed è comunque monopolio di potere e dittatura”51. La continuità sulla fine dello stato è evidente: “questo ci distingue da Lenin, la diffusione del comando da distruggere, non la volontà o la necessità di distruggerlo”52. Questo è detto giustamente, perché: “l’orizzonte storico di Marx e di Lenin è completamente legato a una situazione che prevede un lungo periodo di sviluppo del capitalismo e di affermazione del socialismo come egemonia sullo sviluppo e democrazia del lavoro. Ma se questo orizzonte storico non è mai superato in Marx e in Lenin dal punto di vista della proposta politica, è superato tuttavia dal punto di vista della previsione teorica di una ulteriore fase nella quale il comunismo possa svilupparsi in maniera consona a quelli che sono i tempi e le forme della lotta, adeguata alla struttura dei bisogni operai che emerge dalla lotta, e rappresentare il definitivo rivoluzionamento delle condizioni della produzione”53. La discontinuità è ciò che caratterizza Lenin, anche e sempre contro lo stato e non in ottica gradualista: “E allora nei confronti del leninismo si portò un attacco, che era positivamente rivolto a distruggere la feticistica definizione della forza attuale del capitale come capitalismo monopolistico di Stato, definizione che veniva emergendo ed era imposta come immagine dottrinale da parte dei riformisti”54. Lenin sa bene che “«il passaggio al comunismo» è «un salto» a partire dal trampolino che lo stesso sviluppo capitalistico determina”55 e che “fatti avrebbero posto il problema della distruzione della macchina dello stato borghese”56.

Se quello che c’interessa è il rapporto tra “lotte e presa di potere”, allora il rapporto determinato fra “appropriazione, distruzione e liberazione della forza invenzione di massa”57 e quindi resta sempre il problema del rapporto tra composizione di classe e organizzazione rivoluzionaria: “È chiaro anche che l’insurrezione come discontinuità, come esplosione di una volontà soggettiva concentrata, nasce all’interno di una struttura complessiva che vede continuamente crearsi degli spazi che possono essere più o meno utilizzati dal cervello rivoluzionario.

In quella composizione di classe il partito non fabbrica la rivoluzione se non nella misura in cui gioca la sua iniziativa sugli squilibri complessivi del processo di accumulazione e di ristrutturazione istituzionale dell’accumulazione dello Stato borghese.

L’insurrezione è un’arte, ed il partito come portatore dell’arte dell’insurrezione è un momento essenziale alla tematica leninista: è fuori dubbio che la concezione dello «spezzare», come è proposta nelle pagine di Stato e rivoluzione, rappresenta il ricalco di quella concezione del processo rivoluzionario”58. Nella critica al gradualismo, al ritorno dal processo storico dentro la “classe rivoluzionaria” contro lo strutturalismo althusseriano, unito inoltre allo studio scientifico dei processi di continuità e di discontinuità della tendenza del modo di produzione capitalistico capace di sviluppare la crisi di “spezzare” la macchina del capitale (e con essa lo stato), Lenin resta una figura attuale, capace ancora di vivere (in quei ‘70) nel riferimento a Mao. E allora “Lenin è di nuovo il nostro maestro, sempre vivo e sempre adeguato. Perché il leninismo, come strumento, come metodo, non nasce solamente dal suo collocarsi interiormente alla composizione della classe operaia, non nasce solamente dalla sua capacità di descrivere e di analizzare le esperienze di classe e generalizzarle per fame un’arma, non nasce appunto semplicemente dal passaggio dalle armi della critica alla critica delle armi condotto all’interno della composizione di classe determinata; ma soprattutto esso riesce continuamente a misurarsi, a riverificarsi su quelli che sono i «salti» che di volta in volta il processo rivoluzionario determina”59. Ma se questo ci dice Negri, nei suoi anni ‘70, falliti, Quadrelli pure vuole una “ri-traduzione”60 di Lenin, con la sua “inattualità attuale61 e la sua “eresia ortodossa”62. Come muoversi dopo nell’attuale movimento dello “stato-crisi”?La capacità di lettura dell’imperialismo di Lenin infatti coglie già tutta la nostra epoca per Quadrelli, dove il capitalismo si muove in un sistema-mondo che ha bisogno di un sostegno latifondista (come la Russia del 1905) e così critica quel “processo di civilizzazione”63 che è presente nei menscevichi e nel gradualismo colonialista della seconda internazionale: Lo “scissionista”64 Lenin, colui che sostiene il “settarismo operaio”65 sostiene l’”Unità“66 della lotta della lotta operaia, della “soggettività operaia” (nel “tempo storico”67 contro ogni tentativo riformista di allineamento delle borghesie nazionali dove la guerra forma nuove linee di amicizia e inimicizia a livello economico e sociale68 (la guerra russo-ucraina è, tanto per dire, come la prima guerra mondiale). “L’imperialismo è la forma storica concreta attraverso cui si realizza quanto Marx aveva prefigurato ne Il capitale: l’affermarsi del mercato mondiale e della guerra quale strumento attraverso cui il mercato mondiale si costruisce”69. E quindi la: “centralità della dimensione internazionale è la conseguenza dell’affermarsi della nuova fase imperialista che rende l’ambito politico ed economico nazionale via, via sempre più subordinato, per così dire inglobato, in quello internazionale”70. In questa “fase imperialista globale”71, l’ipotesi del recupero del settarismo leniniano guarda alla necessità della riformulazione di un internazionalismo dei subalterni in grado di rovesciare la crisi dell’imperialismo in progetto comunista72 contro ogni “patto socialdemocratico”73 che viene attualmente proposto e la cui proposta parla ancora di condizioni economiche che erano del secondo dopoguerra e che sono ormai morte.

Le proposte socialdemocratiche sono come quelle populiste in un mondo invece che deve vedere una prospettiva di una “intellettualità progressista”74 capace di promuovere un orizzonte politico nuovo capace di affrontare nell’analisi del reale le contraddizioni della tendenza capitalistica e come risolverle: “In poche parole, si può essere realmente contro soltanto se si è in grado di stare interamente dietro i processi storici”75, studiando la contraddizione interna a quello sviluppo. È il problema di un “nuovo popolo”76, contro le letture “idilliache”77 del neosovranismo come del globalismo. “Solo l’attualità dlla rivoluzione ha fatto sì che la borghesia imperialista si piegasse all’elargizione di “diritti” nel nostro ambito nazionale. Identificare il Welfare State con l’esercizio della “sovranità nazionale>” – addirittura considerare il primo come il presupposto del secondo, è qualcosa che non trova alcun riscontro storico. Si tratta di una narrazione frutto, per di più, di un sostanziale malinteso. Si sovrappone al modello di Welfare State quell’interesse del potere politico per la popolazione, la cui genealogia può farsi risalire alla messa in forma dello a Stato di polizia, che non ha nulla a che vedere con le cause che hanno portato alla costituzione del primo78. L’idea di cittadinanza occidentale, quindi non la semplice elargizione di alcune garanzie sociali, che il modello Welfare comporta è la risposta, pressoché obbligata, delle borghesie europee all’idea di cittadinanza posta in atto con l’Ottobre. È il rapporto di forza, maturato dentro un capitolo della guerra civile rivoluzionaria internazionale, che definisce i tratti sociali assunti dallo Stato capitalistico a partire dagli anni Venti del secolo scorso”79.

I rapporto di forza costituiscono la “costituzione materiale” dei rapporti giuridico-formali delle Costituzioni, non altro. Ritorna, trionfante, la frase del manifesto, secondo cui: “La storia è solo lotta di classe” nelle parole di Quadrelli, in questa inattualità attuale. Così alle sinistre populiste si ricorda il rapporto tra imperialismo italiano e terzo mondo e di come non si possa parlare di “sovranità nazionale” per un paese che è legato all’imperialismo capitalista e nei rapporti di potere del sistema- mondo globale. Bisogna quindi porre il problema della “questione di genere e la “questione coloniale”80 all’interno del proletariato, che spesso si è sviluppato nei paesi imperialisti con razzismo sprezzante o fortissimi misoginia e sessismo, argomenti sempre lasciati indietro ma che esprimono la diversità e la divisione di classe operata anche in questi campi.

Il “polo imperialista europeo”81 inoltre, si sta ricostituendo su tutt’altra base rispetto a quella della Guerra fredda, prospettando molti meno diritti e rappresentanza politica rispetto al Secondo dopoguerra (proprio perché non è più presente la pressione sovietica!), dove invece l’ascesa di Thatcher e Reagan è di tutt’altro avviso. Mondi e retoriche che sembrano tornare, pensando ad esempio al problema dell’immigrazione e dei confini:

“Cosa significa ratificare l’esistenza dell’extracomunitario se non continuare a pensare che esiste un “qua” e un “là” rigidamente separati. In fondo le retoriche dell’accoglienza del respingimento che tanto animano il dibattito politico europeo soggiacciono alla medesima logica: “gli immigrati sono altro da noi”, Ma gli immigrati sono veramente altro? I paesi dai quali provengono sono veramente qualcosa che non ha nulla che vedere con i nostri mondi?

In altre parole, siamo ancora dentro i confini della vecchia fase imperialista? Ecco che, se posta in questi termini, la domanda sull’esistenza o meno di una <questione immigrazione> appare meno ovvia e scontata di quanto, in prima battuta poteva apparire. La cosiddetta questione immigrazione a ben vedere, non è altro che lo specchio per nulla deformato di ciò che la fase imperialista globale ha prodotto”82. Sono bensì l’avanguardia sotto il profilo politico e sociale dell’attuale modello politico, economico e sociale capitalistico”83.

Xenofobia e razzismo servono quindi a preservare la “vecchia fase imperialista” e i rapporti di potere tra primo mondo e il resto, concependo quindi un “proletariato nazionale” e una “aristocrazia operaia”84 privilegiata contro il resto del mondo, colonizzato e saccheggiato.

Così si crea il terrore nella middle-class, che cerca di non “precipitare dentro le condizioni di vita del proletariato nazionale” alleandosi con l’aristocrazia operaia e che genera il continuo supporto ai governi degli ultimi decenni ampiamente schierati “contro la spesa sociale”85 in un Primo Mondo sempre più precario e vicino come sfruttamento al mondo extra-europeo. Anche il ruolo dei “poveri” come “emarginati” è un tema interessante per quanto è stato escluso dallo “ius publicum”86 del rapporto tra borghesia e proletariato: “Non a caso, il socialmente escluso, è per lo più estraneo all’ambito della produzione e la sua vita si dipana tra assistenza pubbliva e/o religiosa o attività legali di piccolo cabotaggio”87.

Anche questa classe sociale, spesso sconsiderata nella lotta rivoluzionaria, dev’essere ora presa in considerazione, ricordando il suo ruolo all’interno del capitale e quindi ricordando il suo antagonismo verso di esso: “Il socialmente escluso, in questo caso, è sempre frutto di un ordine discorsivo e di un effetto di potere dal duplice scopo: sperimentare in vitro tecniche di controllo e di disciplinamento il cui utilizzo, in un processo a cascata, può essere esteso ai più variati ambiti sociali; uniformare i comportamenti e i costumi della popolazione al fine di rendere la nazione più forte e più sana.

Per sua natura il termine “anormale”, è talmente polisemico da potersi, volta per volta, applicare a qualunque comportamento socialmente non convenzionale, in un preciso risvolto storico. Come esempio non secondario può essere assunto l’ordine discorsivo che è prodotto intorno allomosessualità”88. Ancora più esemplificativa è questa condizione nello “Stato-crisi”: infatti, la “esclusione sociale” (che si manifesta anche nelle divisioni asimmetriche delle città tra ricchi e “masse senza volto”89) dei ceti bassi data dalla precarietà sempre più lampante dei salari e quindi dall’antagonismo sempre più radicale tra capitale e masse, dove “l’espulsione delle masse dalla scena pubblica, dalla vita politica” è il fine principale di questo processo.

“Ri-traduzione” delle dinamiche di sfruttamento

Ma quindi, a fronte di questa condizione “leninista”, cosa si può fare? Ricordarsi del “partito d’avanguardia” leninista. La sua soggettività: “la dialettica storica, questo in fondo ci insegna Lenin, è sempre “ostaggio” della lotta di classe e della soggettivita di classe. Il partito, di tutto ciò, deve esserne l’interprete cosciente”90. e i suoi compiti: “il partito d’avanguardia è tale solo se è in grado di adempiere a tre funzioni: comprendere le rotture storiche che il modo di produzione capitalista ha imposto; leggere e interpretare le trasformazioni avvenute, in seguito a processi oggettivi, dentro la composizione di classe; infine, e non certo per ultimo, raccogliere, rendere cosciente e potenziare quanto il punto di vista più alto della soggettività di classe esprime”91. Si passa quindi dal “partito di Mirafiori” a quello “delle banlieues”92 dove quest’ultimo è tale poiché: “estta cristallizzazione della condizione proletaria attuale, una condizione frutto di quelle pratiche di governance coloniale che rappresentano il progetto strategico per eccellenza dell’attuale comando capitalistico. In tale ottica, allora, le banlieues sono le nostre officine Putilov”93. Il partito ancora assume quindi la necessità di dare comportamenti di progettualità tattica e forza organizzativa ai comportamenti di classe.

Il partito si costituisce per la stessa soggettività della soggettività rivoluzionaria, come mostra la storia: “Centrale diventano due aspetti: le fabbriche, ovvero il cuore del popolo rivoluzionario, si sono messe in movimento; i comportamenti soggettivi di questi operai vanno di gran lunga oltre le loro momentanee rappresentanze ideologiche.

Ciò che a Lenın realmente interessa è la radicalità che questa soggettività di classe mostra dentro la lotta. La classe combatte, si arma, è approdata all’insurrezione, senza averne coscienza è vero, ma la sta praticando e, aspetto non proprio irrisorio, sta spingendo la lotta oltre le stesse anticipazioni di partito. Le masse si organizzano per le battaglie di strada. Rispondono colpo su colpo a esercito e polizia.

L’esercito stesso inizia prima a disertare i combattimenti contro gli operai e poi a rivoltarsi verso gli ufficiali. Nella lotta le masse trasformano, anche ideologicamente, se stesse. Questo è quanto interessa a Lenin. L’insurrezione è in atto, questo è solo ciò che conta”94. Ecco quindi la speranza di una rinascita del “partito dell’insurrezione” e dello “intellettuale populista”95 com’era Lenin, rendendo possibile una nuova organizzazione politica capace di assaltare il cielo. Le proposte, estremamente diverse dei due ricordano il problema di confrontarsi con una figura estremamente concreta come quella di Lenin in un periodo storico che torna e ritorna ad essere dominato dal capitale, così come ritorna e ritorna la necessità dell’insurrezione. Si potrebbe allora concludere con questa coscienza insurrezionale dalle lezioni su Lenin, ricordando la spontaneità della classe rivoluzionaria di insorgere:

“Potremmo proporre fin d’ora un paradosso, salvo riconfrontarlo alla fine della lettura di Lenin:

diremo allora Lenin dalla spontaneità alla spontaneità. E infatti: Lenin parte, appunto negli anni ’90, analizzando fino in fondo i movimenti spontanei della classe dentro una concezione del tutto corretta della circolazione delle lotte, del loro consolidarsi, della formazione del proletariato in classe attraverso un meccanismo spontaneo; poi, da questo risale ad una concezione estremamente rigida dell’organizzazione esterna; infine, nell’ultima fase prerivoluzionaria, egli riconquista la formidabile concezione dell’estinzione dello Stato, cioè la figura di una comunità libera di uomini liberi che distruggono tutte le condizioni attraverso le quali il capitale sfruttandoli, legandoli al lavoro, li domina.

Dalla spontaneità alla spontaneità: se questo è Lenin, si capisce benissimo perché all’interno della Seconda Internazionale sia stata praticamente chiusa a questo barbaro marxista asiatico ogni possibilità di esprimere il suo pensiero”96.

  1. Vedasi tutto il dibattito generatosi a seguito dell’uscita de Rizoma. Un’introduzione e la risposta di Badiou Il
    fascismo della patata. ↩︎
  2. Ricordo qui principalmente Organi senza corpi che presenta le tesi principali di critica contemporanea alla filosofia di Deleuze e Guattari. ↩︎
  3. G. Deleuze e F. Guattari, Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia pp. 291-292. ↩︎
  4. A. Negri, Trentatré lezioni su Lenin, Lezione 4. ↩︎
  5. Gaja, Lenin marxismo e tattica pp. 2-2. ↩︎
  6. E. Quadrelli, L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, Pag. 39. ↩︎
  7. C. Schmitt, Teoria del partigiano. ↩︎
  8. Kamo e tutta l’organizzazione di Stalin dietro la rapina nel giugno del 1907 sono un esempio evidente o ancora
    tutto il riferimento al populismo russo; Lenin, Krausz, III, 2. ↩︎
  9. A. Negri, “, lezione 7. ↩︎
  10. E. Quadrelli, “, p. 19. ↩︎
  11. Liebman, Le leninisme, I, 4; A. Negri “, Lezione 6. ↩︎
  12. E. Quadrelli, “, p. 44. ↩︎
  13. Said, Orientalismo; E. Quadrelli, “, p. 45. ↩︎
  14. E. Quadrelli, “, p. 27. ↩︎
  15. G. Deleuze, Logique ed existence. ↩︎
  16. E. Quadrelli, “, p. 44-45. ↩︎
  17. A. Negri, “, lezione 7. ↩︎
  18. E. Quadrelli, “, p. 62. ↩︎
  19. A. Negri, “, Lezione 19. ↩︎
  20. Lukàcs, Lenin, I. ↩︎
  21. A. Negri, “, Lezione 29. ↩︎
  22. A. Negri, “, Lezione 12. ↩︎
  23. A. Negri, “, lezioni 17-18. ↩︎
  24. A. Negri, “, Lezione 23. ↩︎
  25. A. Negri, “, Lezione 6. ↩︎
  26. Lezione 16 ↩︎
  27. Lezione 16 ↩︎
  28. Ivi. ↩︎
  29. Ivi. ↩︎
  30. Ivi. ↩︎
  31. Lezione 17 ↩︎
  32. Ivi. ↩︎
  33. 161-162 SC ↩︎
  34. pag. 89 SC ↩︎
  35. pag. 136 SC ↩︎
  36. Ivi. ↩︎
  37. Ivi. ↩︎
  38. Lezione 18 ↩︎
  39. Ivi. ↩︎
  40. pag 175 SC ↩︎
  41. pag. 51 SC ↩︎
  42. Ivi. ↩︎
  43. Ivi. ↩︎
  44. Vercellone, https://uninomade.org/vercellone-legge-valore/#_ftn6 ↩︎
  45. Lezione 20 ↩︎
  46. Lezione 21 ↩︎
  47. Lezione 25 ↩︎
  48. Lezione 23 ↩︎
  49. Approfondimento utile è il testo di Negri ‘Crisi dello stato-piano’ ↩︎
  50. Lezione 25 ↩︎
  51. Lezione 20 ↩︎
  52. Lezione 23 ↩︎
  53. Lezione 23 ↩︎
  54. Lezione 29 ↩︎
  55. Lezione 28 ↩︎
  56. Lezione 28 ↩︎
  57. Lezione 27 ↩︎
  58. Lezione 26 ↩︎
  59. Lezione 29 ↩︎
  60. p. 147 ↩︎
  61. 147 ↩︎
  62. 148 ↩︎
  63. pag. 152 ↩︎
  64. 155 ↩︎
  65. 156 ↩︎
  66. Ivi. ↩︎
  67. 157 ↩︎
  68. 156 ↩︎
  69. 153 ↩︎
  70. 148 ↩︎
  71. 158; sarebbe interessante approfondire come questo termine comporti un ritorno a Lenin contro le tesi di Impero di Negri e Hardt; il testo di Mezzadra e di Neilson ‘the rest and the west’ credo sia la lettura più appropriata, poiché è indubbia quella governance globale di cui hanno parlato Hardt e Negri, ma ora questa governance si muove in fratture considerevoli e che necessitano di essere rilette considerando però il problema posto negli ultimi 30 anni di storia globale. ↩︎
  72. 159 ↩︎
  73. Ivi. ↩︎
  74. 160 ↩︎
  75. 162 ↩︎
  76. 163 ↩︎
  77. 164 ↩︎
  78. Ivi. ↩︎
  79. 165-166 ↩︎
  80. 170 ↩︎
  81. 173 ↩︎
  82. Ivi. ↩︎
  83. 181 ↩︎
  84. 182 ↩︎
  85. 183 ↩︎
  86. 200 ↩︎
  87. 196 ↩︎
  88. 194-195 ↩︎
  89. 203 ↩︎
  90. 185 ↩︎
  91. 186 ↩︎
  92. 187 ↩︎
  93. 189-190 ↩︎
  94. 204 ↩︎
  95. ↩︎
  96. Lezione 6 ↩︎

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