Ddl Zan. Un passo nella giusta direzione

— Emanuele

Il disegno di legge che ha come primo firmatario il deputato Alessandro Zan, fusione di cinque disegni di legge precedenti, si propone di istituire delle tutele legali alle vittime di omotransfobia, misoginia, e discriminazione sulla base delle disabilità fisiche o mentali. In sostanza, tra le varie, modifica l’articolo 604 del codice penale aggiungendo i motivi di discriminazione sulla base del genere, orientamento sessuale o identità di genere al reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa; modifica la legge Mancino (205/1993) aggiungendo dai sei mesi a quattro anni di reclusione come pena circa l’incitamento a commettere o il commettere violenza per motivi di orientamento sessuale; istituisce la giornata nazionale contro l’omobitransfobia il 17 maggio. Il ddl Zan modifica inoltre il decreto 215/2003 aggiungendo misure di contrasto alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e all’identità di genere e incrementa il fondo per i diritti e le pari opportunità di quattro milioni annuali destinati all’educazione sessuale e al contrasto della violenza fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere.

A tal proposito, la gestazione molto lunga e travagliata di una legge ancora da approvare ha suscitato uno scandalo nazionale per il fatto che è rimasta bloccata nella commissione competente al Senato, che ne impedisce la messa nel calendario per evitare la definitiva approvazione. Alla Camera, aveva già incassato il voto contrario dell’estrema destra, Lega e Fratelli d’Italia, e l’astensione di Forza Italia, mentre ora sarebbe un nuovo ostacolo di divisione della maggioranza a sostegno del governo Draghi.

Al riguardo, sono interessanti le posizioni adottate in seno al variegato campo della sinistra extraparlamentare: da un lato chi si ostina a definire il ddl Zan non prioritario – intonato con quanto dice l’estrema destra, che invece preferisce anticipare una legge sulla tutela degli animali a quella di una sulle persone –, dall’altro chi applaude alla proposta, forse in modo troppo acritico, come se risolvesse in nove articoli una questione di lunga data e profondamente radicata nella società capitalistica contemporanea, ma non per questo irrisolvibile.

Chi si spende circa una presunta superiorità o impellenza dei diritti sociali su quelli civili, magari comparendo in programmi propagandistici sull’equivalente italiano di Fox News, la Mediaset, non dimostra di avere la minima concezione, o non riesce a immaginare nemmeno a grandi linee come sia angosciante dover vivere «nell’armadio» o col timore costante, trascinato in ogni momento, di ripercussioni fisiche e sociali per la propria semplice esistenza. Presupponendo che tali posizioni siano in buona fede, queste hanno come risultato il fatto di lacerare ancora di più il campo delle lotte correnti, arroccandosi su posizioni di “supremazia lavorista”, che, come abbiamo già avuto modo di descrivere in Nunc demum redit animus, sono la fotocopia di quelle che rivendicano la supremazia femminista, la supremazia antirazzista, la supremazia di ogni tessera del mosaico sull’intero, che quindi volendo rivendicarsi staccandosi, indebolisce in sostanza le altre tessere, e toglie senso, efficacia, potenza, al tutto. E ovviamente questa tessera da sola non descrive alcunché se non un irreale colore a tinta unita, visto che nessuno è puramente lavoratore, donna, nero, gay, etc, ma si è tutto allo stesso tempo.

Dall’altra parte, invece, ci si confronta contro l’idea debolissima di perseguire il proprio campo di lotta solo da un punto di vista unilateralmente legale e formale, e che quindi esulta e si esalta per il ddl Zan come la panacea a ogni male. Invece anche qui sorgono dei problemi forse più difficili da definire rispetto al tran tran della discussione politica. Degli spunti interessanti vengono dalla tradizione storica del femminismo italiano, diverso per natura, lotte e concezioni dal femminismo anglofono, dal quale invece provengono alcuni concetti evocati nel disegno di legge. Infatti, in Italia, si può trovare una concezione di massa, collettiva in quanto esaltatrice delle diversità di ognuno, che può confliggere con l’impostazione molto segmentata del ddl Zan: nel testo, che va ad aggiungere nella legge Mancino sull’aggravante dell’odio razziale, sono incise le parole «l’identità sessuale della vittima», ovvero «l’insieme, l’interazione o ciascuna delle seguenti componenti: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale». Che nel caso di una situazione teorico-politica variegata e in totale dipanamento, scolpisce in eterno sulla pietra fredda della norma giuridica quelli che sono punti di conflitto interni al campo che intendono difendere: da un lato il femminismo, e quindi la necessità di specificare il sesso biologico, dall’altro il campo degli studi di genere. Inoltre, non volendo approfondire in questa sede temi che necessiterebbero di ben maggiori sforzi, è da tener presente comunque che l’iper-frammentazione dell’identità individuale in una fabbrica di etichette rende talmente vaghi i confini dal punto di vista del linguaggio e delle idee, che la realtà concreta di lividi, occhi neri e pressioni a vivere “normalmente” viene distorta comprendendo tutto e il contrario di tutto in tali definizioni. Ad esempio, il parlamentare leghista che difende il suo ridicolo emendamento sulla sua tutela dalla famigliofobia e dall’eterofobia. L’antico principio filosofico della rettificazione dei nomi e far combaciare i nomi alle cose reali potrebbe diventare d’aiuto in questa situazione dove la reazione scivola strisciando attraverso maglie concettuali troppo larghe.

Il rischio che desta più preoccupazioni, ad ogni modo, è quello di stigmatizzare donne, gay, lesbiche, bisessuali, persone transgender e tutti coloro teoricamente tutelati dalla legge, come delle vittime bisognose di tutela e non di quel cambiamento radicale, profondo, alla struttura sociale che si fa minando con tutte le cose a disposizione per estrarre quel materiale ed esperienze da cui costruire la nuova società. Sfogliandolo, la concezione che potrebbe emergere è quella di un impotente, passivo, rassegnato legismo, con la fede posta tanto più sulla capacità legale che sull’organizzazione reale ed autonoma rispetto al mero piano formale. Serve innanzitutto far tesoro anche dei finanziamenti che questo disegno di legge pone per le organizzazioni che si occupano di tutela e informazione in tal senso, per continuare a crearle, a discuterle, ad attivarsi per il diritto all’esistenza senza nasi rotti, minacce di licenziamento, sangue sui vestiti, a urlare, emergendo dal fango del pregiudizio al freddo cielo, in un tuono: «IO ESISTO!». Serve educare alla libera espressione di sé stessi, all’osare mettere in discussione la norma e la normalità. E mettere in discussione i fondamenti più concreti del comportamento sociale esistente, per la costruzione di un ordine nuovo dove la libertà non sia quella incosciente di nutrire l’odio e la discordia, invece sia quella di tornare a respirare. Pertanto, si configura come una forza prorompente in seno alle forze del movimento socialista: per quanto costituiscano contraddizioni che potrebbero venir integrate nella formazione economico sociale capitalistica, al momento attuale assumono una capacità liberatrice che si può esprimere a pieno solo in uno stato di cose radicalmente differente.

Per questo il ddl Zan è solo un passo nella giusta direzione. Che poi sia calpestato anche dalla direzione legista e formale che vedono i liberali, non è un motivo per rimanere a fare stretching invece di incedere marciando.

 

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