Sul caso dell’omicidio di Charlie Kirk

Le ultime settimane si sono caratterizzate da una campagna di informazione massiva circa il fatto di sangue ai danni di Charlie Kirk. La condotta della società in riferimento a questa notizia ha aperto ad un’eterogeneità di posizioni su cui sono riusciti a cavalcarci tutti, dai politici scafati agli influencer di destra che già nella sfera del movimento MAGA banchettano sul cadavere ancora caldo del “ragazzo, padre, marito, cristiano” in quanto suoi competitors. E non si può notare come la sinistra manifesti sempre di più una schizofrenia politica tanto assurda quanto aliena a qualsiasi condotta raziocinante circa la pubblica esposizione sul fatto. La lista dei fenomeni antropologici ad essa confacenti sarebbe lunga, ci limitiamo a fare un lavoro di classificazione.

Andiamo dai liberali più di parte, quelli per cui la forma è tutto e pure Popper potrebbe da loro essere classificato come pericoloso bolscevico, ai più o meno filosofi politici “antisistema” che da bravi compagni utilizzano il mantra della libertà di parola come chiave di lettura del mondo – gli stessi che per un certo periodo hanno parlato di dittatura sanitaria o di aggressione della tecnica “sans frontières” al genere umano – per poi arrivare all’incredibile verità storica, considerare la scienza come parificata ad ogni ideologia.

Passiamo per quelli de “hanno ragione i primi, ma questo perché la scienza non è dialettica!”, portando poi in rassegna una sequela di citazioni tra Lenin e Trotsky sul perché il terrorismo sia tatticamente sbagliato – e fin qua non vi è nulla di eccepire, tranne il semplice e naturale dubbio circa il movente della catena di ipse dixit, manco in Italia vi fosse una base politica a sinistra di Arditi del Popolo in stadio larvale.

Finiamo in bellezza con gli insurrezionalisti che dalla loro camera o dal loro collettivo sognano la restaurazione della legge del taglione. Su questi ultimi lasciamo la storia commentare la loro tediosa inutilità, accingendoci a commentare invece le prime posizioni, in particolare andando a scovare cosa effettivamente realizza il loro cortocircuito e permette d’altra parte alle destre di fare il loro sporco lavoro più o meno indisturbate: pensare che un sistema democratico – per quanto possa esserlo – abdichi a qualsiasi valutazione epistemologica sulle asserzioni pubbliche, spingendo il dibattito ad uno sterile scambio di opinioni, accompagnato da un regime retorico completamente fine a se stesso.


Scrivo questo con fare agnostico, quasi noncurante, rispetto le opinioni politiche del giovane attentatore, analizzando questo nella sua funzione sociale, non nei suoi moventi, dedicando il lavoro a tutti coloro che, da bravi strilloni di regime, si chiedono dove stia la democraticità della “”sinistra”” di fronte a questi metodi e a tutti quelli di sinistra che da anime belle pensano che possa esistere un pacifismo unilaterale, non ricordandosi evidentemente che il nostro assetto costituzionale, per quanto imperfetto, non è nato dai girotondi. Si possono condannare i metodi, l’esecuzione sommaria non rientra ancora nell’egida del legittimo in uno stato come gli States, in cui si è sempre in risonanza tra una democrazia farraginosa e finanziarizzata e una democratura da corporate government: però non si può condannare il fine, mettere un blocco alle storture ed ai pericoli della stessa società democratica, per la stessa società democratica, per quanto di democrazia si possa parlarne. E di questo, più della valutazione morale sul fatto, vorremmo parlare. Kirk rappresentava un pericolo la cui intolleranza sistemica non poteva coesistere con il principio generale ed antiessenzialista di tolleranza che crea le basi per un assetto quantomeno apparentemente democratico.

In questo caso i difensori a destra e sinistra di una suddetta libertà di pensiero – sussunta tipicamente in qualche affermazione strana su sostituzioni etniche o dittature sanitarie di vario tipo – non vedono né vogliono accorgersi di quello che si profila come libero concorso morale alla destabilizzazione di qualsiasi decantanto assetto democratico in nome del peggiore relativismo. Goebbels non ammazzò direttamente nessuno né deteneva la responsabilità legale di aver firmato norme direttamente conseguenti alla strategia della Soluzione Finale. Quindi, di converso, la funzione sociale di Goebbels quale ministro della propaganda (e del terrorismo) non poteva essere sanzionabile né dalla legge né dalla storia. Come mai allora, appena pensiamo a Goebbels come il fedelissimo braccio destro di Hitler, l’uomo che di una dottrina retorica ha fatto dottrina epistemologica, il sensus communis lo vorrebbe condannato a morte se non se la si fosse giá pavidamente autoinflitta? Perché l’uomo soltanto storicamente razionalizza la responsabilità storica delle proprie istanze e perché la copertura culturale di pratiche disumane può essere sì pacifica ma d’altra parte risponde in pieno all’idea di concorrenza morale in ogni violenza razziale, ogni performance social-darwinistica delle istituzioni su studenti e lavoratori, ogni donna morta perché impossibilitata all’aborto, ogni esercizio oscurantista, antiscientifico e fondamentalista che vede nella nuova internazionale nera omogenei scetticismi contro le conquiste della civiltà moderna quali lo stato sociale e la lotta per un’interazione funzionale tra scienza ed istituzioni, per una comunicazione trasparente, diffusa e referenziata, non speciosa né surrettiziamente partigiana.


Kirk non ha solo diffuso la propria opinione, Kirk ha la responsabilità morale di aver diffuso teorie che veicolavano l’odio interessato verso parti attive e sane della società giustificandosi con teorie di dubbia se non nulla scientificità e legittimando ulteriormente il lobbismo dei grossi stakeholder evangelici, che dietro il verbo di un indimostrabile hanno operato a favore delle proprie corporazioni a scapito dell’utile collettivo, proiettando a livello internazionale una profonda eurofobia che ci dovrebbe mettere in guardia su chi siano davvero i nostri nemici. Chi ripudia le radici illuministiche dell’Europa moderna può portare solo il disordine, assoldando l’opinione comune al primo capopopolo: è una lotta di civiltà prima di tutto, in cui molti patriottardi farebbero a meno di impegnarsi. La morte di Kirk si chiama ricorso storico, seppur truculento: se semini falsità solo al fine di garantire la tua lobby, non vi possano essere stakeholders antagonisti o a te concorrenziali che vadano ad ampliare lo spazio di gioco deviante che tu stesso hai contribuito a fondare.
Per coloro che invocano la controcultura degli anni delle contestazioni come esempio del fatto che non si possa applicare una deontologia sul discorso, di come la produzione dei discorsi sociali sia solo ed esclusivamente appannaggio del potere, che ogni narrazione va indebolita, si vuole ricordare che in questo indebolimento vi era una maggiore legittimità nelle affermazioni pubbliche, e vi era un carico epistemico dietro quelle affermazioni che aveva spesso un potere giustificativo. Ciò che non si capisce è che il caso dell’omicidio Kirk è il sintomo naturale della manipolazione del consenso democratico fatto da lui e dalla lobby che rappresenta. Nel momento in cui uno stato non fa nulla per garantire quella che è una deontologia del discorso e legittima certi contenuti, la società all’odio reagisce, in maniera completamente incontrollabile. Aumentano i lupi solitari che si sentono attaccati, e se la cosa continua possono emergere anche elementi organizzati. Non li giustifico, ma nel momento in cui uno stato non garantisce un controllo minimo sul regime epistemico del discorso, chi agisce come capopopolo defraudando le masse e concorrendo moralmente alle violenze che giustifica necessita di essere marginalizzato.

E nonostante tutte le ipotesi da fare ed i capi da coprir di cenere nel momento in cui si uccide un uomo, non è come muori che ti redime da come hai vissuto, e non consta nell’ontologia familiare la giustificazione della funzione sociale di un agitprop, immesso nelle catene di causa ed effetto, norma, incitazione e devianza.

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