Il fronte dell’opinione pubblica nella guerra popolare (1996-2006)
Introduzione
Quando la politica ha raggiunto un certo stadio di sviluppo oltre al quale non può più procedere con i mezzi consueti, ecco che scoppia la guerra per spazzare via gli ostacoli sul cammino della politica1.
La notizia della guerra giunse alla grande maggioranza del popolo tramite i bombardamenti aerei e le cannonate nemiche. Anche questo fu un sistema di mobilitazione, ma se ne incaricarono i nemici al posto nostro. La gente che abita nelle regioni lontane e non sente il rombo dei cannoni, vive oggi ancora tranquilla e beata. Bisogna mutare questa situazione, o la nostra lotta all’ultimo sangue non sarà vittoriosa2.
–Mao Zedong
La Guerra Popolare scatenata dal Partito Comunista Nepalese (Maoista) (CPNM) dalle colline di Rolpa nel 1996 evade ogni tentativo di analisi di stampo puramente militare. Si tratta di un conflitto che, a fronte di violenti scontri senza quartiere, nonostante l’uso di attacchi aerei, razzi, armi automatiche e mortai fino al cuore di densi centri urbani, non ha provocato più di 15mila morti in dieci anni, per la maggior parte vittime delle forze di sicurezza3. Sia le forze armate maoiste, sia la Nepali Royal Army (NRA) concluderanno la guerra senza aver essenzialmente raggiunto i loro obiettivi. Non ci sarà nessuna lunga marcia dell’Esercito di Liberazione Popolare verso la capitale Kathmandu, ma le campagne di accerchiamento delle forze governative falliranno offensiva dopo offensiva nello sradicare completamente l’insurrezione4. La vittoria del CPNM con buona pace di Mao non arriva dalla canna dei fucili ma dalla capacità dei ribelli di mobilitare a proprio favore l’opinione pubblica del paese5, soprattutto nelle città. Mentre l’RNA contava i corpi dei maoisti uccisi o correva al riparo dalle accuse delle organizzazioni per i diritti umani6, il CPNM costruiva dallo stallo militare una offensiva politica, e progettava offensive militari per rompere lo stallo politico, mobilitava supporto, costruiva alleanze con la società civile7.
Parlare di una opinione pubblica nel Nepal di inizi 2000 è qualcosa che deve essere problematizzato. Il regime di censura che domina la società nepalese fino agli inizi degli anni ’90 ha fine solo con la caduta della democrazia controllata -il Panchayat. Nei pochi anni attorno allo scoppio della guerra civile, si assiste a una esplosione di nuove radio, canali TV e giornali privati8. La fine della monarchia assoluta porta anche per la prima volta da almeno cinquant’anni la libertà di parola e associazione: i partiti di massa tornano allo scoperto e avviano dibattiti interni e con gruppi di interesse nuovi e arretrati, il paese si raduna a formare centinaia di associazioni politiche e civili9. La sfera pubblica, nelle parole di Aditya Adhikari, emerge negli anni ’90 “vibrant and raucous”10.
La prima caratteristica della società civile nepalese è la sua giovane età, a cui va ad aggiungersi la sua estrema frammentazione. Gli studi etnologici e antropologici portati avanti negli anni nelle aree rurali del Nepal hanno ampiamente testimoniato il complesso rapporto tra la popolazione dei villaggi più o meno remoti e la politica centrale. Nel corso della guerra, le singole comunità vivono i grandi movimenti delle forze armate e le campagne di mobilitazione attraverso gli occhi di una storia locale specifica di distretto in distretto e di villaggio in villaggio11. Alcuni diventeranno teatro di avvenimenti di cronaca, come la cittadina di Khara e la borgata di Holeri, o saranno mete di pellegrinaggio mediatico, come nel caso del villaggio modello maoista di Thabang. Ognuna di queste località, separata da ore di cammino dai centri maggiori, vive di una propria opinione pubblica locale. Un microcosmo che si orienta ora contro i ribelli dopo la violazione di qualche usanza locale, come nel caso delle vicende di Dailekh12, ora include il marxismo-leninismo-maoismo tra le percepite tradizioni del villaggio, come a Thabang13. È da considerare anche però un’altra cesura che spezza l’unità ideale dell’opinione pubblica nepalese: la controcultura, controsocietà creata dai maoisti, che in breve tempo si dotano di propri canali radio, giornali, pubblicazioni, che concorrono sia all’egemonia nel centro del paese, sia operano come egemonia nella periferia14. L’Esercito di Liberazione Popolare, in particolare, e le aree base maoiste, diventeranno un laboratorio per la costruzione di una nuova cultura -un mondo nuovo-15 che non è oggetto di questo studio ma che naturalmente opera come barriera e filtro per l’intercomunicabilità tra campo maoista e mainstream. È complesso stabilire quanto permeabile sia la frontiera che separa questa miriade di frazionamenti. Le migrazioni stagionali portano molti contadini nelle aree urbane, dove alcuni si stabiliscono stabilmente, pur mantenendo contatti con le famiglie16. Altri scelgono di emigrare nelle pianure indiane in pianta più stabile17. La radio e la televisione, correndo senza fili, hanno più o meno ampia diffusione in larghe aree del paese, ma i maoisti si lanciano in ampie campagne per screditare i media governativi, e viceversa18.
Un’ultima considerazione riguarda il peso effettivo che le città hanno nel quadro politico generale della nazione. Nonostante l’afflusso di sfollati verso le periferie delle grandi città durante la guerra19, il tasso di urbanizzazione del Nepal non supera il 15% per tutto il periodo trattato20. Valore industriale e commerciale21 a parte, la verità è che la natura estremamente urbanocentrica e Kathmandu-centrica22 dello stato nepalese ha schermato le élite governative, e sociali dalle vaste offensive maoiste sulle colline. Privo di “nervi” nella periferia, lo stato nepalese è stato in grado di ignorare o quasi l’insurrezione in corso per anni23, una realizzazione che porterà il CPNM a studiare una nuova via di attacco, il Prachandapath. La Guerra Popolare è anche assolutamente da leggersi come un grande movimento dalle colline alla città, e viene vista come tale da tanti tra gli abitanti dei villaggi: la prima volta nella storia del Nepal che le masse rurali hanno imposto la propria economia politica alle classi regnanti – la prima volta che le comunità indigene hanno imposto la propria autonomia al regno hindu – la prima volta che i dalit hanno imposto la propria liberazione alle caste dominanti24. Questo arcipelago di villaggi è la forza motrice della vittoria contro la monarchia nel 2006, ma anche parte di un movimento più vasto. Con le parole del CPNM:
Give priority to rural work, but do not leave urban work; give priority to illegal struggle, but do not leave legal struggle too; […] give priority to guerrilla actions, but do not leave political exposure and propaganda too; give priority to propaganda work within the country but do not leave worldwide propaganda too25.
Lo studio della battaglia per il cuore del Nepal, cioè l’opinione pubblica nei grandi centri urbani, non può che essere essenziale per comprendere le sorti finali della guerra civile. Non è particolarmente fonte di stupore che una insurrezione agraria e rurale vinca i cuori e le menti della popolazione agricola rurale. È più complesso comprendere il successo dei maoisti nel muovere l’opinione pubblica urbana, capire perché, nel 2006, sarà un grande blocco di Kathmandu ad abbattere la monarchia.
La guerra sui media
La rivoluzione democratica del 1990 non ha sostanzialmente intaccato l’egemonia culturale delle caste dominanti in Nepal26. Dieci anni dopo Jana Andolan, l’80% degli editori, dei pubblicisti di prima categoria e dei proprietari di case di pubblicazione27 appartenevano alle caste collinari hindu d’élite –Bahun e Chhetri– che non superano il 30% della popolazione28. Il dato deve informare qualsiasi discussione sul ruolo dei media durante la guerra, ma non bisogna dimenticare che anche il CPNM e il movimento comunista nepalese in generale hanno reclutato dalle stesse caste dominanti la buona parte dei propri quadri superiori29. Gli indicatori di casta sono fortemente correlati a quelli di status economico30, ma come dimostra per esempio la storia personale31 dello stesso Prachanda -segretario del PCNM- esiste anche una classe mediana di Bahun e Chhetri con una buona formazione intellettuale ma possibilità economiche ridotte e altri, nonostante la prioria casta, sono ridotti allo status di contadini semi-nullatenenti32. Membri di caste d’élite, quindi, possono assolutamente essere intercettati dalla propaganda maoista33. Molto più rilevante è un altro dato: chi legge i giornali? Nel 1996, il 58% dei Bahun e il 42% dei Chhetri era in grado di leggere e scrivere, contro il 24% dei Dalit34. Nel 1998, solo il 15% dei Chepang, una nazionalità minoritaria, era alfabetizzata35. Nel 2000, in generale, circa il 30% dei nepalesi, e solo poco più del 15% della popolazione femminile, sarebbe stato in grado di leggere un giornale36. Come Thapa e Sijapati fanno notare, però, quasi mezzo milione giovani, la maggior parte dei quali alfabetizzati e con buoni titoli di istruzione, andava a ingrossare ogni anno le fila degli emigrati, dei disoccupati, dei sottoccupati37. Questa massa, fortemente politicizzata, era assolutamente in grado di leggere i giornali e discutere gli sviluppi politici nel corso della guerra38.
I maoisti hanno immediatamente compreso il potenziale dei giornali. Lo stesso lancio della Guerra Popolare è una grande operazione mediatica. La maggior parte della popolazione nel 1996 non era a conoscenza dell’esistenza del CPNM39, che aveva di fatto cessato le sue attività allo scoperto almeno due anni prima, quando operava con un diverso nome (CPN – Centro Unitario)40. Gli attacchi iniziali colgono il pubblico generale, ma anche il governo, completamente di sorpresa. Nonostante i maoisti abbiano depositato una serie di 40 domande e posto un ultimatum all’allora amministrazione di Sher Bahadur Deuba, il primo ministro non si trovava nemmeno in Nepal, ma in India in visita ufficiale41. La serata del 13 febbraio, si diffondono nella capitale notizie confuse che collegano diversi attacchi in cinque aree distinte del paese42. Gli obiettivi sono esemplari, un palcoscenico che permette ai maoisti di vendersi alla popolazione più che di acquisire un qualsiasi tipo di vantaggio militare43. Sono colpite stazioni della polizia nei distretti di Rolpa, Rukum, Sindhuli e la Banca per lo Sviluppo Agricolo di Gorkha, mentre una serie di ordigni danneggiano una distilleria nello stesso distretto, uno stabilimento Pepsi nella capitale Kathmandu, e demoliscono l’abitazione di un proprietario terriero a Kavre nell’Est del paese44. Il simbolismo è naturalmente ovvio, sono i nemici della guerra popolare, rispettivamente: le forze di sicurezza dello stato, il capitale finanziario, la borghesia compradora, il capitale internazionale, i proprietari terrieri45. Gli attacchi non lasciano vittime: le istruzioni, per il primo giorno dell’insurrezioni, sono di evitare a tutti i costi morti e feriti46. In un evento che si fa subito spazio nell’immaginario popolare, dopo aver catturato alcuni agenti della polizia a Sindhuli e averli legati, i maoisti si assicurano di fornire ai prigionieri coperte abbastanza calde per superare la notte47. Prachanda si vanterà in seguito della portata mediatica degli attacchi:
Dopo solo un mese dall’inizio [della guerra] ci fu un grande dibattito nazionale sulla questione della Guerra Popolare. Ogni giornale, ogni radio, tutti nel paese si chiedevano: cos’è la guerra popolare? Cos’è il partito maoista? In un colpo, il partito in pompa magna e in maniera nazionale si era stabilito al centro del dibattito -dopo solo un mese48.
Un’altra azione che resterà per lungo tempo al centro dei riflettori è, nel dicembre dello stesso anno, il rogo, ad opera dei maoisti, della casa del primo ministro nepalese49.
Tra il 1996 e il 2001, i media iniziano progressivamente a mutare la loro narrazione dell’insurrezione in corso. I primi anni sono caratterizzati da una copertura spesso insufficiente degli eventi: notizie della brutale campagna di contro-insurrezione lanciata dal governo, Kilo-Sierra 2, raggiungono a stento la capitale e non esiste una presenza consistente di giornalisti sul campo. Come fa notare P. Onta, i media concentrano i loro attacchi soprattutto sull’incapacità del governo in questi primi anni di far fronte all’insurrezione. Non entrano mai nel dettaglio, per esempio, nella discussione delle richieste del CPNM e la loro eventuale connessione con legittime questioni di tipo socioeconomico50. Eppure, i giornali iniziano a mostrare i maoisti in modo sempre più positivo, sotto la spinta della brutalità e inefficienza dei governi che si susseguono negli anni e degli appelli ai media di cui si fanno protagonisti in prima persona i dirigenti del CPNM51. Il reportage degli eventi di Holeri illustra molto bene il ruolo dei giornalisti in questa prima fase. L’11 luglio 2001, un distaccamento di 800 guerriglieri cattura la stazione di Holeri, nel distretto di Rolpa, prendendo ostaggio 69 agenti52. Il governo di Girija Prasad Koirala giudica di avere sufficienti giustificazioni per mobilitare una forza di soccorso dell’esercito reale, per la prima volta in un ruolo offensivo. Lontano dagli occhi delle telecamere, la situazione sul campo diventa confusa, e nella capitale emergono narrative contrastanti. Per le forze armate, i maoisti sono stati circondati, ma l’esercito sarebbe limitato dalle regole di ingaggio poste dal governo e non in grado di annientare la minaccia. Grazie ad Aditya Adhikari, che ha avuto modo di consultare il diario personale del segretario del palazzo per gli affari militari Vivek Shah, oggi sappiamo che era vero l’esatto contrario, cioè la versione comunicata ai media dai maoisti53. Le forze di soccorso erano circondate, ma una direttiva politica preveniva i guerriglieri dall’attaccare direttamente l’esercito per questioni politiche e d’immagine (!). Quando le forze armate si ritirano senza aver raggiunto l’obiettivo, Koirala, non informato della realtà sul campo, pensa a una insubordinazione dell’esercito, e presenta le sue dimissioni il 20 luglio sotto forte pressione da parte dei giornali e del pubblico54.
La dichiarazione dello stato di emergenza da parte del governo di Sher Bahadur Deuba il 26 novembre del 2001 è una importante svolta nella guerra, soprattutto per quanto riguarda i media. Il CPNM viene ufficialmente designato come una associazione terrorista, sull’onda della global war on terror lanciata poche settimane prima dagli Stati Uniti55. I giornali seguono a ruota, ma non si tratta sempre di una scelta editoriale libera: uno dei primi atti del governo è quello di arrestare giornalisti considerati vicini ai maoisti. Saranno quasi 100 nei primi sei mesi di emergenza, i più dei quali con scarsi o nessun collegamento con il CPNM56. Onesto riporta che sono rilasciate una serie di direttive che i media avrebbero dovuto seguire, autocensurandosi: non riportare notizie che possano mettere in cattiva luce il re e la famiglia reale, l’amministrazione, la polizia o l’esercito reale. I giornalisti vengono anche allontanati dalle zone di combattimento e ogni notizia legata alla guerra viene sottoposta al vaglio da parte del governo57. Nello stesso periodo, anche i maoisti arrestano un gruppo di giornalisti indipendenti nel distretto di Rolpa58. Se è vero che in poco tempo i giornali evadono la stretta governativa59, il reportage degli eventi vira bruscamente in senso negativo per i maoisti, almeno nel breve periodo. Il blocco dei combattimenti durante le prime trattative forza i maoisti a estendere le loro “tasse rivoluzionarie” alle zone urbane, cosa che porta contro di loro buona parte dell’opinione pubblica cittadina60. Le estorsioni diventano uno degli argomenti preferiti dei giornali nella seconda metà del 200161, insieme alle interviste dei familiari di persone morte nel conflitto. Il successo delle forze maoiste si ribalta contro di loro, ad esempio, quando la storia della vedova dell’agente Lokendra Giri che piange sul corpo del marito ucciso raggiunge portata nazionale dopo una fotografia che commuove il pubblico62. Non a caso, è questa immagine che apre il volume, edito nel 2003, di Thapa e Sijapati sul conflitto63. Lentamente, sono però la brutalità della repressione e le violenze governative a sovrastare l’autocensura e le estorsioni dei maoisti. Dal 2002 in poi, repressione dei giornali e l’incremento a dismisura dei morti civili, stupri, arresti extragiudiziari a opera delle forze di sicurezza64 riportano la narrazione a focalizzarsi su una trattazione se non pro-maoista, perlomeno antigovernativa65.
Per controbilanciare l’ondata di copertura negativa, i maoisti assumono un ruolo più attivo nell’arrogarsi i supporto della stampa, soprattutto internazionale. I media del mondo sono attirati nel paese da quello che Onesto definisce un regicidio “uscito dal King Lear, con un twist, armi automatiche, alla Columbine”, cioè il massacro reale del 1 giugno 200166. La stampa globale scopre improvvisamente, magari in un piè di pagina, che nel paese è in corso, da cinque anni, una insurrezione armata maoista, che nulla ha a che fare con la strage di palazzo, ma è in sé buon materiale per le proprie audiences nazionali. I maoisti iniziano presto a offrire veri e propri tour delle aree che controllano alla stampa, nazionale e non67. La meta più celebre è senza dubbio Thabang, la “capitale” della guerra popolare: un villaggio modello maoista, in cui il partito è radicato in un modo o nell’altro da anni68. All’ingresso del villaggio, ritratti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao – i muri delle case dipinti con slogan maobadi – una grande comune organizza il lavoro – la discriminazione tra uomo e donna, il pregiudizio tra caste sono stati eliminati69. Ma nel vuoto lasciato dalla ritirata della polizia dal 2000 i maoisti riescono a istituire molte altre aree base, da mostrare come cartoline ai giornalisti70. L’inaugurazione di uno di questi governi popolari (jan sarkar) locali, a Rankedanda, il 23 giugno del 2001, è invitato anche un reporter inglese. Come notano Schneidermann e Turin, mentre i venti e più giornalisti nepalesi non riportano la storia sui quotidiani in lingua inglese di Kathmandu, un servizio a colori appare pochi giorni dopo nell’edizione domenicale del quotidiano britannico the Independent71. La stessa visita di Li Onesto nel paese72, prima giornalista autorizzata dai maoisti a viaggiare nelle aree da loro controllate, fornisce un palcoscenico unico al CPNM per i lettori anglofoni, cosa che viene riconosciuta dallo stesso Prachanda73. Ancora oggi le sue interviste a vari dirigenti e militanti del partito sono vitali per la ricostruzione degli eventi, seppur dichiaratamente di parte.
Ultimo punto, caratteristica estremamente particolare della guerra civile in Nepal è che in ampi periodi del conflitto, i maoisti trovano spazio in prima persona su molti quotidiani non tanto come oggetto di reportage, ma come autori74. È con un articolo che Baburam Bhattarai, capo ideologo del CPNM, ha cercato, all’alba del massacro reale, di fomentare una insurrezione a Kathmandu. La ricostruzione della strage come un complotto dell’Ala Ricerca e Analisi (RAW) dell’esercito indiano, che paragona il regicidio al massacro di Kot e compara la situazione nepalese a quella che precedette l’annessione del Sikkim allo stato indiano nel 197575 è ampiamente rilanciata dai media nazionali. L’articolo non sortisce l’effetto desiderato, i nepalesi non insorgono contro un immaginato golpe indiano. È rilevante però constatare come, anche in un frangente così critico, fosse permesso ai maoisti -in aperta lotta armata contro lo stato, seppur nel corso di un cessate il fuoco – di intervenire su giornali a tiratura nazionale.
Intellettuali e ONG, tra report e agency obliqua
Le città non sono obiettivo di nessuna grande campagna di sabotaggio allo scoppio della guerra, e come abbiamo visto vengono risparmiate dal grosso dei combattimenti anche negli anni a venire. Il motivo è da ricercarsi nella contraddittoria e altalenante relazione tra il CPNM e uno dei gruppi che ha costituito, o avrebbe dovuto costituire, lo zoccolo duro del supporto al partito nelle zone urbane: gli intellettuali. È un termine abbastanza vago. Quando Prachanda si lamenta con Li Onesto delle difficoltà nell’intercettarli e lavorare con loro, scopriamo che uno degli ostacoli principali è che la maggior parte lavora per le ONG attive nel paese, e quindi a contatto con organizzazioni come il FMI76. Non è una invenzione del segretario del CPNM: le ONG, soprattutto quelle internazionali, attiravano migliaia di giovani nepalesi altamente istruiti sia per gli alti stipendi che garantivano77, sia perché costituivano un ponte verso carriere lontano dal paese o nella burocrazia, e quindi alti stipendi, in ogni caso78. Ma l’impatto delle ONG si spinge anche oltre, e ha concorso a plasmare l’ambiente intellettuale e il linguaggio politico del paese nel corso del tempo. L’economia del Nepal dipende, non c’è altro modo di porla, dalle donazioni estere: costituivano, nell’anno fiscale 2009-2010, il 19,16% delle spese governative, e un enorme 55,16% delle spese per lo sviluppo in particolare79. Tutte le forze politiche del paese sono forzate a rapportarsi con le ONG. Le influenze delle agenzie internazionali plasmano i programmi elettorali e le scelte dei ministeri80. Neupane parla dell’ONG-ismo (NGOism), un riformismo blando con caratteristiche internazionali, come piaga del movimento sindacale nepalese81. Nelle zone rurali, Pfaff-Czarnecka riporta che i potentati locali -più o meno gli ex pancha, i dirigenti al tempo del Panchayat– hanno imparato a usare termini come “partecipazione”, “comunità locale”, eccetera, per manipolare le ONG e ottenere fondi per progetti non partecipati, e assolutamente non a beneficio della comunità locale82.
Gli intellettuali, in genere, non hanno troppo da guadagnare dalla guerra popolare, molto da perdere, e sono visti dai maoisti come una stampella traballante, necessaria per l’egemonia culturale nel paese ma su cui non fare troppo affidamento. A Kathmandu le organizzazioni culturali maoiste non possono mettere in scena gli spettacoli83 che, nel resto del paese, stanno contribuendo a creare la nuova cultura maobadi e a cementare l’egemonia del CPNM nelle colline84. In compenso, la All Nepal People’s Cultural Organization, una organizzazione sorella del partito, è in grado di far circolare cassette di musica rivoluzionaria e di pubblicare un giornale, KALAM (penna)85. La situazione si aggrava con ogni ondata di repressione governativa86. Nonostante le precauzioni, i primi anni trovano il CPNM quasi completamente isolato nelle città, incapace di muoversi o di mantenere una presenza consistente87. Adhikari riporta un passo da un articolo dello studente maoista Khil Bahadur Bhandari, rifugiatosi in città per sfuggire ai rastrellamenti in una zona vicino. Illustra molto bene il sentimento comune di tanti militanti:
Le persone in città vivono una vita estremamente confinata. Sono statusquoisti e opportunisti. Mancano di empatia; non importa loro se le persone vivono o muoiono. Sono solo interessati alla loro contentezza […]. Ma le persone nei villaggi non sono statusquoisti e opportunisti. La sofferenza di una persona attira l’empatia di tutti. Una nuova ideologia e un nuovo potere hanno conquistato i villaggi, e sono molto più avanti delle città per quanto riguarda il movimento [politico]88.
Il primo grande banco di prova per i maoisti nella capitale è un anno dopo il lancio dell’insurrezione, nel giugno del 1997. Le elezioni locali del mese precedente sono state boicottate e sabotate dal CPNM, in un atto che minaccia in modo concreto e per la prima volta il funzionamento dello stato nepalese. In alcuni villaggi, per timore di rappresaglie non si è presentato per l’elezione nessun candidato, mentre altri sono di fatto sotto il controllo completo delle forze armate maoiste89. È un affronto diretto alla forza maggioritaria della sinistra del paese, il Partito Comunista del Nepal – Unito Marxista Leninista (UML): le roccaforti e le zone di influenza maoiste sono proprio, per questioni di affinità ideologica e storica, anche le basi di voto più radicate dell’UML90. Ora al governo, il partito decide di inasprire la sua posizione contro i maoisti, cercando di far approvare dal parlamento il Terrorist and Destructive Activities (Control and Punishment) Act. La legge si proporrebbe di incrementare i poteri della polizia e il controllo del governo sulla società civile, designare ufficialmente i maoisti come terroristi, e porre le basi per rendere possibile e legale l’intervento diretto dell’Esercito Reale Nepalese (RNA) per sedare l’insurrezione91. La misura trova forti opposizioni da parte dell’opinione pubblica, degli intellettuali, delle principali organizzazioni per i diritti umani e della comunità internazionale92. Ribattezzata dal pubblico e dai media una “legge nera”, echeggiando le omonime black laws che durante il Panchayat limitavano le libertà politiche e civili, la proposta è duramente criticata come draconica e regressiva93.
Tra i capifila della protesta è nato ad agosto, da una coalizione di nove partiti della sinistra il Movimento per Salvare i Diritti Democratici (MSDR), guidato da figure di spicco del parlamento e ancorato a forze parlamentari o comunque che operano entro la legalità. L’espansione a macchia d’olio delle forze maoiste nelle colline ha dato nuova forza al partito nella capitale, dove è in grado di supportare il MDSR94 con imponenti bandh, o chiusure, una forma di lotta semi-legale che unisce scioperi al blocco dei trasporti, dei servizi, degli esercizi commerciali95. Il nuovo governo, presieduto da Girija Prasad Koirala, è obbligato alla fine a trattare con il MDSR, e a rescindere il progetto di legge. A guidare i negoziati dalla parte del MDSR è Bhakta Bahadur Shrestha, portavoce del Comitato di Coordinazione Nazionale del Movimento di Massa, una delle componenti della coalizione. Mentre Prachanda tuona contro la decisione di scendere a patti con il governo, i maoisti esultano per l’enorme successo della loro organizzazione nella capitale. Clamorosamente, si verrà a sapere solo dopo, Shresta e il suo comitato non sono altro che un fantoccio del CPNM, che di fatto aveva di pilotato l’intero movimento di piazza96. Ma il sentimento comune, condiviso dai giornalisti come dagli intellettuali, cioè l’insofferenza verso le leggi che limitano la libertà di parola, era reale – e li aveva portati per la prima volta nelle strade, anche se inconsapevolmente, a fianco dei maoisti.
Il periodo dell’emergenza non porta gli effetti sperati per le forze governative. Nel 2002, si stima che un quarto del paese sia sotto il controllo diretto del PCNM97. Nei confronti delle ONG che operano nei loro territori, i maoisti non applicano le precauzioni utilizzate in città con gli intellettuali. L’analisi del partito riguardo l’intrusione delle agenzie internazionali per lo sviluppo le collegava a una più ampia penetrazione imperialista nel paese. Da un lato, i prestiti internazionali che le finanziavano andavano ad accrescere il debito pubblico esorbitante del Nepal, e quindi gli interessi dovuti ai paesi donatori. Dall’altro, la loro presenza avrebbe avuto il ruolo di disinnescare la lotta di classe tramite politiche di welfare locale, preservando allo stesso tempo relazioni di classe semifeudali98. I flussi di denaro che finanziavano le ONG erano invece assolutamente benvoluti dai maoisti, che potevano raccogliere liquidità tassando le agenzie per lo sviluppo direttamente o richiedendo donazioni dai loro impiegati locali99. La maggior parte delle ONG sono però via via costrette a chiudere, per l’intensità dei combattimenti o sotto pressioni dei maoisti. Il CPNM per la verità con ogni probabilità vaglia le loro operazioni caso per caso e negozia con le varie organizzazioni le condizioni per garantire o meno la loro presenza sul territorio100. Il partito si sostituisce alle agenzie internazionali nella costruzione di strade, canali, scuole e ponti, -in altre parole, espelle la competizione come ha già fatto con il potere statale- ma non intacca per esempio i progetti dell’UNICEF101.
Eppure, in un certo senso, le ONG vincono ai maoisti la guerra. Sono presenti sul campo, fin dall’inizio, organizzazioni come il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), Amnesty International, l’International Crisis Group (ICG), Human Rights Watch (HRW) e la Commissione Internazionale dei Giuristi (ICJ)102. Gli occhi del mondo sono puntati alle colline nepalesi quando ondata dopo ondata di repressione governativa lascia sul campo centinaia di morti civili. Anche le forze maoiste si macchiano di brutalità e violenze, ma il CPNM per tutta la durate del conflitto non ha nessuna nazione donatrice a cui rendere conto103. In quanto forza insorgente, la comunità internazionale non ha nessuna leva da esercitare, ma anche aspettative più basse, che sono però superate, incredibilmente, da una gestione molto oculata della dirigenza del PCNM della propria immagine internazionale. Al pari delle forze governative, i maoisti nel 2004 subiscono pressioni d parte dei Amnesty International perché le loro forze si attengano al diritto internazionale e alla convenzione di Ginevra104. Mentre l’Esercito Reale si scontra duramente con i report dell’ICG sulle violazioni dei diritti umani dell’Esercito Reale Nepalese105, l’Armata di Liberazione Popolare fa grande spettacolo della liberazione di fronte a un comitato dell’ICRC dei militari nemici catturati dopo la vittoria maoista nella battaglia di Beni106. Mentre il governo si oppone sistematicamente all’offerta di mediazione da parte di Unione Europea e Nazioni Unite, sono i maoisti a inondare di fax le ONG di Kathmandu nel 2001 per richiedere di facilitare i negoziati107 e a spingere nel 2003 per una “investigazione imparziale delle violazioni dei diritti umani nel corso della guerra civile”108. I maoisti, un gruppo designato come terrorista da Stati Uniti, India e regno Unito109, adottano a pieno il linguaggio del diritto internazionale, e arrivano a criticare il governo belga per la sua fornitura di armi all’Esercito Reale Nepalese non a partire da motivazioni retoriche, ma sulla base del Codice di Condotta dell’UE del 1998110. Gli effetti sono disastrosi per il governo. Nel contesto della global war on terror il governo statunitense ha stanziato decine di milioni di dollari al Nepal in aiuti militari111. Su pressione di HRW, tuttavia, il Congresso lega questi fondi al rispetto del diritto internazionale da parte delle forze governative112. Quattro stati donatori rendono noto, nel 2004, che i fondi per lo sviluppo che provvedono ogni anno al Nepal saranno anch’essi dipendenti dalla condotta dell’Esercito Reale113.
Il problema per le forze governative è che i due eserciti in campo stanno combattendo due guerre molto diverse. L’Armata di Liberazione Popolare, sulla base strategica della guerra popolare di lunga durata di Mao Zedong, operava per raggiungere obiettivi essenzialmente politici114. Nella massima “il potere politico nasce dalla canna del fucile”, il primato è del potere politico, la canna è il mezzo, buono come un altro a seconda della situazione115. Nel pratico, il braccio armato dei maoisti operava campagne di violenza brutale ma selettiva116, allo scopo di intimidire i settori ostili del pubblico, ispirare quelli alleati, conquistare e difendere aree base da usare come fondamenta per il potere politico maoista117. L’Esercito Reale del Nepal, operando secondo regimi di guerra convenzionale, spesso misurava il successo delle operazioni a seconda dei chilometri quadrati di territorio guadagnato o del numero dei morti118. Come è ormai chiaro, sulla base dei dati quantitativi e grazie a indagini etnografiche nelle zone rurali, l’operato dell’Esercito Reale nel corso della guerra si riduce a inefficaci, imprevedibili raid che lasciano sul campo, inesorabilmente, una sproporzione di vittime civili119. Nel lungo periodo, è un disastro per la credibilità nazionale e internazionale del governo120. Osserva Adhikari, da parte dell’Esercito questo è un effetto delle pressioni, spesso contraddittorie, cui erano soggetti nel corso della guerra. Da un lato le organizzazioni umanitarie, dall’altro la monarchia, la cui protezione era identificata come scopo esistenziale stesso delle forze armate e dai loro comandanti, soprattutto aristocratici Thakuri e Chhetri121. Privi di qualsiasi tipo di supporto internazionale di rilievo alle spalle, sono i maoisti a condurre la politica estera più di successo durante il conflitto, grazie alla gestione oculata dei propri rapporti e della propria condotta in relazione alla ONG nel paese. È, per del CPNM, un capolavoro di agency obliqua, che rientra nella grande tradizione maoista della creazione ex nihilo122.
Maoismo con caratteristiche himalayane
Verso la fine del 2000, sta diventando sempre più chiaro agli occhi del Comitato Centrale del CPNM che l’accerchiamento delle città dalle colline non è sufficiente per ottenere una leva di potere sufficiente e ribaltare lo stato nepalese123. A febbraio del 2001, un comunicato ufficiale rivela che nelle settimane precedenti si è conclusa la seconda Conferenza Nazionale del CPNM, e che il partito ha assunto una nuova linea: al marxismo-leninismo-maoismo si è aggiunta la dottrina del Prachandapath124. La via nepalese al socialismo prevede due sostanziali novità. La prima è il coordinamento tra la mobilitazione rurale -a imitazione della rivoluzione cinese- con l’insurrezione generale urbana -su modello leninista. La seconda è l’utilizzo congiunto di metodi violenti e non-violenti, legali e illegali per ottenere l’egemonia politica nelle città125. Per raggiungere questi scopi, la conferenza dispone il forte rilancio della pratica della Linea di Massa e la riorganizzazione, espansione e potenziamento della Fronte Unito. Il partito passa da un programma di rivoluzione rurale basata sull’insurrezione di un gruppo di classe, i contadini, a uno generale e multiplanare, nel senso che mira alla mobilitazione delle masse sulla base dei piani paralleli della classe, della casta, del genere, della collocazione geografica, dell’appartenenza a gruppi etnici e minoranze nazionali126.
Il concetto maoista di Linea di Massa è riassumibile nella massima: “dalle masse, alle masse”127, in un movimento dialettico e costante mediato dal partito e dalle associazioni sorelle. Nella pratica, il partito accoglie e reinterpreta le indicazioni ricevute dalla base riguardo l’implementazione delle proprie strategie, e corregge la rotta di conseguenza128. È una politica che, senza esagerazioni, salva l’immagine del partito e garantisce ai maoisti un esito positivo del conflitto. Dopo una serie di eccessi di brutalità e la impopolare politica delle estorsioni alla popolazione urbana per finanziare la lotta129, la dirigenza è in grado di evitare il collasso competo del supporto popolare grazie a una vigorosa campagna di rettifica – disciplinare quanto mediatica130. Ma la costruzione della Linea di Massa porta il partito a riconsiderare in modo più radicale anche la propria analisi delle condizioni nel paese. Le discussioni sulla validità di una mobilitazione puramente di classe alla situazione nepalese, e, nel merito, sulla correttezza o meno dell’approccio agrario del CPNM, iniziano da prima della guerra. Si segnalano a riguardo le prospettive contrapposte di Govinda Neupane131 (poi esponente del CPN-UML) e di Baburam Bhattarai132 sull’argomento. Sul campo, i maoisti si rendono presto conto dell’inefficacia di questo approccio. Rimandando all’analisi di Neupane ma anche alle osservazioni di Lecomte-Tiluine133, il CPNM trova nei villaggi da un lato sistemi produttivi arcaici, che non vedono grande uso dell’idea della redistribuzione dei terreni, e dall’altro, spesso in contemporanea, una economia locale che è già avanzata oltre l’agricoltura come fonte principale di ricchezza. Nelle città, parole d’ordine come “terra a chi la coltiva” hanno presa quasi nulla. Nei momenti più bui, il partito scopre però di avere tre alleati formidabili, più di ogni previsione: i dalit, le donne, le minoranze nazionali.
Per la verità, le 40 domande depositate sulla scrivania di Deuba prima dell’insurrezione e il programma disseminato per il paese la sera del 13 febbraio davano ampio spazio alle rivendicazioni degli oppressi di ogni categoria134. Per stessa ammissione di Prachanda, non erano però che note di forma, secondarie a quella che era vista come la contraddizione principale nel paese135. Il plenum del 1995 del CPNM aveva individuato sì una serie di possibili gruppi alleati, ma sulla base dell’esperienza cinese questi si riducevano a contadini medi e ricchi, lavoratori salariati, piccolo-borghesi e la borghesia nazionale136. Eppure, sono le donne, assieme ai sindacati vicini ai maoisti137, a salvare di fatto l’organizzazione del partito nella capitale nei primi difficili anni di conflitto e a dimostrare rapidamente maggiore sensibilità alle domande di laicizzazione e riforma egualitaria dello stato138. La “doppia oppressione”139 delle donne è rapidamente riconosciuta dal CPNM e integrata nel cuore dei programmi del partito. L’organizzazione sorella fondata dal partito, la All Nepal Women Association (Revolutionary) (ANWAR), diventa rapidamente una delle chiavi di volta del Fronte Unito maoista, appellandosi a donne di qualsiasi classe in virtù della loro comune oppressione patriarcale e religiosa.
Ma è la proposta maoista di riformare il Nepal in uno stato federale che tenga conto dell’autonomia delle nazionalità indigene e delle esigenze specifiche delle regioni del Terai e dell’estremo occidente la chiave del successo del nuovo programma di mobilitazione140. Il movimento che aveva portato all’abolizione del Panchayat era stato anche foriero di una ondata di mobilitazione tra i gruppi indigeni del paese, che aveva raggiunto il culmine in occasione, nel 1993, dell’Anno dei Popoli Indigeni proclamato dalle Nazioni Unite141. Lo stato nepalese, a tutti gli effetti, era in certi aspetti peggiorato nel suo trattamento delle comunità indigene142, ma così era stato anche per il movimento comunista nel paese. La maggior parte dei movimenti nazionali indigeni aveva disertato le organizzazioni comuniste, che non erano state in grado di incorporare adeguatamente le loro rivendicazioni nei propri programmi143. Nonostante alcune riserve e l’emersione di evidenti contraddizioni interne alla loro piattaforma144, i maoisti erano stati invece in grado di negoziare con successo il supporto di vari gruppi, organizzazioni, partiti e fronti di liberazione indigeni145. Gruppi come Tharu e Kham Magar si sono notoriamente schierati in blocco con i maoisti sulle colline146, ma la cooptazione delle istanze Madhesh e Newar è stata indispensabile per la costruzione del potere politico maoista nelle città. Li Onesto ha modo di assistere a un bandh organizzato nel 1999 da una associazione legata al Fronte Unito del CPNM, Newa Khala, che mobilita la grande popolazione indigena Newar nella valle di Kathmandu147. Pur essendo essenzialmente controllata dai maoisti, NK opera in quel momento in una situazione di grigio legale piuttosto che nella piena illegalità.
I Newar sono un unicum: pur essendo un gruppo indigeno, hanno beneficiato della vicinanza alla capitale e sono parte integrante della classe media di Kathmandu148. Al loro interno, sono divisi da un complesso sistema di caste, al contrario di molte delle altre minoranze nazionali149. Trovando in questo non una debolezza, ma forse una leva aggiuntiva per penetrare nella società Newar, Newa Khala, non ha mobilitato la popolazione indigena solo sulla base della propria identità etnica, ma sottolineando la divisione tra oppressi e oppressori entro la comunità150. Più in generale, l’approccio maoista ha funzionato proprio nella sua capacità di mobilitare, contemporaneamente su più livelli, gli attori sociali non sulla base di un singolo aspetto identitario, ma su una complementarità di elementi come classe, genere, casta, lingua, nazionalità, inclusione ed esclusione da gruppi clientelari151. La buona riuscita della linea di massa sviluppata dal CPNM sta poi non solo nell’incorporazione delle istanze, ma anche nella sua capacità ricollegarle con successo a una più ampia lotta contro lo stato nepalese152.
Ad affiancare le organizzazioni nazionali, va formandosi nel corso della guerra la All Nepal National Independent Student Federation (Revolutionary) (ANNISUR), che sarà finalmente in grado di fare breccia nell’ambiente intellettuale urbano153. Trovando ampio supporto nell’ecosistema estremamente politicizzato delle organizzazioni studentesche nepalesi, la ANNISUR è la longa manus maoista all’interno dei campus universitari della capitale, raccogliendo, stime interne, circa 600mila tra aderenti e simpatizzanti154. Se da un lato conduce una linea indipendente di mobilitazione sui temi del diritto allo studio e della modernizzazione dei curricula, opera anche con successo una campagna di chiusure forzate degli edifici scolastici in supporto a operazioni militari e ai bandh proclamati dal partito155. Una volta ottenuti i titoli di studio, le nuove coorti di intellettuali aderenti all’ANNISUR influenzeranno in modo anche più diretto l’opinione pubblica del paese lavorando come analisti e giornalisti o contribuiranno alla guerra entrando nell’Esercito di Liberazione Popolare156.
Il CPNM inizia però a valutare un altro tipo di alleanza. Ancora prima dell’emergenza, risulta chiaro che nel paese sono attive tre forze politiche. I maoisti hanno preso rapidamente il controllo delle campagne, influenzano le città e sono in grado di dispiegare una forza militare, ma non ancora di conquistare i centri urbani, con le armi o con la propaganda. I partiti politici democratici hanno progressivamente perso ogni base di supporto al di fuori delle città, ma conservano l’appoggio delle classi medie urbane e un certo grado di rispettabilità di fronte alla comunità internazionale. La monarchia ha il controllo dell’Esercito Reale, ma Re Gyanendra è una figura estremamente impopolare in patria e le forze armate hanno subito gravi accuse per le loro violazioni dei diritti umani. I maoisti si rendono progressivamente conto di avere necessità del supporto di una delle altre forze politiche per raggiungere l’egemonia. Tra il 2001 e il 2003, la linea pro-democratica, guidata da Baburam Bhattarai, utilizza i cessate il fuoco per organizzare incontri con le forze parlamentari e accrescere la credibilità internazionale del CPNM, soprattutto di fronte all’India157. Questa apertura si dimostrerà essenziale, anche se non incontrerà immediatamente il consenso delle controparti o della totalità del partito maoista158. La questione, messa semplicemente, è che prima del 2005 le forze parlamentari si sentivano relativamente sicure nelle zone urbane, ma soprattutto avevano troppo da perdere (le libertà democratiche ottenute nella costituzione del 1990) per aprire alle richieste di riforma dei maoisti159. Eppure, la gestione inefficace delle offensive politiche maoiste tramite repressione e censura forza progressivamente una grande spinta verso sinistra dei partiti politici. Le forze parlamentari sono fortemente schierate contro le ingerenze reali già da due anni, quando nel pieno delle dimostrazioni di piazza del 2003 elaborano un programma unitario in 18 punti160. Dello stesso anno, non a caso, è la risoluzione del CPNM Lo Sviluppo della democrazia nel Ventunesimo Secolo, che solidifica la posizione pro-democratica dei maoisti161. Il CPNM, però, dopo il fallimento delle prime tornate di trattative con i partiti, si riserva di valutare altre vie, tentando di lanciare a più riprese grandi offensive militari, e aprendo canali segreti di comunicazione con il Re162.
Conclusioni
Come per il grande progetto della Guerra Popolare di Lunga Durata di Mao, interrotto e fatto saltare dalle atomiche sul Giappone, non sappiamo quali sarebbero state le estreme conclusioni delle strategie messe in atto dai maoisti nepalesi per vincere l’opinione pubblica. Anche in questo caso, un evento estemporaneo fa precipitare rapidamente il corso degli eventi: il colpo di stato di re Gyanendra, il 1° febbraio 2001, spazza via ogni piano e spinge le forze politiche in campo a un frettoloso riallineamento. Procediamo con alcune considerazioni su quello che passerà alla storia come Jana andolan 2, cioè il secondo movimento popolare (dopo quello del 1990).
Il golpe non è un evento programmato, indotto o nemmeno previsto dalla dirigenza maoista, che in verità è completamente colta alla sprovvista dalla proclamazione di Gyanendra163. Si tratta però di un atto forzato dal successo delle operazioni maoiste in ogni campo. L’Armata di Liberazione Popolare ha combattuto l’Esercito Reale fino a uno stallo164 – internamente, la monarchia è isolata e almeno dal 2003 ha perso ogni forma di supporto dei partiti parlamentari – all’estero, i maoisti e le forze democratiche hanno portato dalla loro parte con successo ONG e donatori internazionali. La comunità internazionale, non a caso immediatamente dopo il golpe sospende ogni forma di sostegno, militare o civile, alla monarchia, nonostante qualche reticenza da parte degli Stati Uniti165. Per il re, è chiaramente una mossa estrema, perché ogni altra via di uscita è chiusa: sospendere il diritto nazionale e internazionale, scatenare una ondata di repressione per porre fine una volta per tutte alla guerra popolare. La scommessa fallisce. In breve tempo, la società civile delle città si rivolta decisamente e in blocco contro la monarchia, giornalisti e attivisti – le sedi di media e ONG sbarrate dall’esercito – iniziano spontaneamente a manifestare166. È il segnale d’inizio per una nuova linea di collaborazione tra maoisti e forze parlamentari, ora riunite in una Seven Party Alliance (SPA): le controparti firmano a Nuova Delhi un programma unitario in 12 punti167. I maoisti fanno una serie di concessioni. Per agevolare il movimento democratico e non spaventare i ceti urbani, sono progressivamente sospese tutte le operazioni militari nella valle di Kathmandu168.
È un fatto che le classi medie cittadine non fossero ancora assolutamente convinte della genuinità dei maoisti, e che in parte li ritenessero equamente responsabili della guerra civile169. La discesa in campo di questo blocco civile è vincolata, nel 2006, dalla presenza nelle strade dei partiti democratici, e non dalle offensive maoiste. C’è però un punto da considerare. Chi sono le folle che animano jana andolan 2? Dalle colline, i maoisti organizzano convogli che portano 90mila persone in piazza, la capitale è inondata da quadri e dirigenti che con il favore delle tenebre dirigono attivamente cortei e tengono comizi170. Se è sicuro che sia stata la sigla del programma di 12 punti a convincere le classi medie a unirsi alle proteste, è vero anche il in opposto che è l’accordo con i maoisti che garantisce alla SPA una base e una credibilità sufficiente per mobilitare le masse dei lavoratori urbani, gli indigenti dei sobborghi, gli studenti171.
I maoisti non hanno l’egemonia della piazza a Kathmandu, ma resta da valutare il ruolo della strategia culturale e politica del CPNM nel plasmare le rivendicazioni del movimento. Quali slogan agitano la folla? L’abbattimento della monarchia, l’elezione di una Assemblea costituente, l’istituzione di una repubblica democratica (loktantrik ganatantra) sono domande che ricalcano le stesse avanzate come programma minimo dal PCNM durante le prime trattative con le forze governative, cinque anni prima172. Le assemblee costituenti elette dopo la deposizione del Re plasmeranno, sull’onda del movimento di piazza, il Nepal in uno stato repubblicano, laico, federale, che riconosce l’uguaglianza di genere e combatte il pregiudizio di casta. Per i maoisti, quella del 2006 è una rivoluzione incompleta e piena di contraddizioni. Ma a testamento della capacità del partito di smuovere l’opinione pubblica, leggendo la nuova costituzione del Nepal non si può fare altro che pensare che la moderna Repubblica Nepalese sia figlia delle 40 domande lasciate sulla scrivania di Deuba da Bhattarai pochi giorni prima lo scoppio della guerra civile.
Un lungo lavoro preparatorio è stato necessario prima che il popolo scendesse in piazza a chiedere a gran voce una Assemblea costituente e la creazione di una repubblica. Baburam Bhattarai e Prachanda avevano iniziato quelle preparazioni nel 2001. […] Quando esplose il movimento del 2006, quelle domande erano già state completamente integrate nel discorso comune173.
Note
- Mao Zedong, Sulla Guerra di Lunga Durata, da Schram, Stuart R. (a cura di), Il pensiero Politico di Mao Tse-Tung, Firenze, Mondadori 1974, p. 230. ↩︎
- Ivi, p. 231 ↩︎
- Lecomte-Tilouine, Marie (a cura di), Revolution in Nepal: an anthropological and historical approach to the People’s War, Oxford University Press, Nuova Delhi, 2013, p. 11. ↩︎
- Metha, Ashok K. e Lawoti, Mahendra, Military dimensions of the “People’s war”, Insurgency and counterinsurgency in Nepal, in Lawoti, Mahendra e Pahari, Anup K. (a cura di), The Maoist Insurgency in Nepal: Revolution in the twenty-first century, Routledge, 2010, p. 176. ↩︎
- Ivi, p. 191 ↩︎
- Subedi, D.B., From civilian to combatant: armed recruitment and participation in the Maoist conflict in Nepal, in Contemporary South Asia, Vol. 21, No. 4, Routledge 2013, p. 438, Thapa, Deepak con Sijapati Bandita – A Kingdom Under Siege: Nepal’s Maoist Insurgency, 1996 to 2004, Zed Books, 2005, p. 194, e Upreti, Bishnu Rai, External engagement in Nepal’s armed conflict, in Lawoti, Pahari, op. cit., pp. 230-231. ↩︎
- MAJ Kreuttner, Timothy R, The Maoist Insurgency in Nepal, 1996-2008: Implications for U.S. Counterinsurgency Doctrine, US Army School of Advanced Military Studies, United States Army Command and General Staff College, Fort Leavenworth, 2009, pp. 32-34 ↩︎
- Rai, Sanjeev, Conflict, Education and People’s War in Nepal, Routledge India, 2018, p. 39. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 61. ↩︎
- Ivi, p. 28. ↩︎
- Mi riferisco a studi condotti nei seguenti villaggi, che ho avuto modo di consultare e confrontare: il Villaggio di Thabang (Marie Lecomte-Tiluine, Political change and cultural revolution in a Maoist Model Village, mid-western Nepal, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 115 e De Sales, Anne, Thabang, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 164); Chintang (Gaenszle. I.P Rai, Pettigrew, M. Rai, Bickel, Banjade, Bhatta, Lieven, Paudyal, Stoll, Resisting the state in East Nepal, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 97); Pyuthan (Cailmail, Benoît, The CPN (Masal) Bastion, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 143); Deurali, (Lecomte-Tiluine, Maoists despite themselves, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 213); Jumla (Shresta-Schipper, Satya, The Political Context and the Influence of the People’s War in Jumla, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 258); il distretto di Khotang (Ghimire, Pustak, The Maoists in Eastern Nepal, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 114) ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 160 ↩︎
- De Sales, Anne, op. cit., p. 187 ↩︎
- Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 6 ↩︎
- Sharma, Sudheer, The Maoist Movement: an Evolutionary Perspective, in Hutt, Michael (a cura di), Himalayan People’s War: Nepal’s Maoist Rebellion, Bloomington, Indiana, Indiana University Press, 2004, pp. 46-47. Sula nuova cultura maoista: Subedi, op. cit.; Yami, Hisila (Com. Parvati), People’s War and women’s liberation, Purvaiya Prakashan.; Riley, Heidi, Male collective identity in the People’s Liberation Army of Nepal, in International Feminist Journal of Politics, Vol. 21, No. 4, Routledge 2019, pp. 544–565; Gayer, Laurent, “Love-Marriage-Sex” in the people’s liberation army, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 368; Eck, Kristine, Recruiting rebels: indoctrination and political education in Nepal, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 33; Snellinger, Amanda, The repertoire of scientific organization: ideology, identity and the Maoist Student Union Lawoti, Pahari, op. cit., p. 73. ↩︎
- Govinda Neupane, The Maoist Movemente in Nepal: a Class Perspective, Karki, Arjun e Seddon, David (a cura di), The Peoples War in Nepal, left perspectives, Delhi, Adroit Publishers, 2003, p. 294. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 44, Com. Parvati, Women’s Participation in the People’s War, in Karki, Seddon, op. cit., p. 167 ↩︎
- Lecomte Tiluine, op. cit. (2010), p. 116 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 154 ↩︎
- Baburam Bhattarai, The political economy of the People’s War, in Karki, Seddon, op. cit., p. 117 ↩︎
- Ivi., p. 150-153 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 74-75 ↩︎
- Hutt, op. cit., p. 17 ↩︎
- Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 6 ↩︎
- 1995 Plenum of the CPN M, citato in Thapa, Sijapati, op. cit., p. 98 ↩︎
- Lawoti, Pahari, op. cit., p. 8-10 ↩︎
- Ivi, p. 9 ↩︎
- Davis, Larson, Haldeman, Oguz e Rana, Public Support for the Maoists in Nepal, in Understanding and Influencing Public Support for Insurgency and Terrorism, RAND Corporation, 2012, p. 139 ↩︎
- Cailmail, op. cit., p. 148-149 ↩︎
- Karki, Arjun, A Radical Reform Agenda for Conflict Resolution in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 454, Baburam Bhattarai, op. cit., p. 117-118, Lawoti, Pahari, op. cit., p. 9 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 18 ↩︎
- Cailmail, op. cit., p. 145 ↩︎
- Un caso eclatante è quello rappresentato da uno dei pionieri del repubblicanesimo in Nepal, Ramraja Prasad Singh, e i suoi collegamenti con CPNM, UML e il movimento comunista nepalese in genere (C.K. Lal, Ramraja Prasad Singh, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 75). ↩︎
- Davis, Larson, Haldeman, Oguz, Rana, op. cit., p. 125. ↩︎
- Karki, op. cit., p. 454 ↩︎
- Rai, op. cit., p. 53 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 58 ↩︎
- Ivi, p. 80, Rai, op. cit., p. 42 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 85 ↩︎
- Ivi, p. 45, Karki, Seddon, op. cit., p. 17. ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 48 ↩︎
- Karki, op. cit., p. 441 ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), Inside the revolution in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 84 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 48, Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), One year of the people’s war in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 203-204 ↩︎
- Ibidem, Adhikari, op. cit., p. 52-53, De Sales, op. cit., p. 190. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 52-53 ↩︎
- De Sales, op. cit., p. 190 ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), Inside the revolution in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 88 ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), One year of the people’s war in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 206 ↩︎
- Onta, Pratyoush, Democracy and Duplicity: the Maoists and their Interlocutors in Nepal, in Hutt, op. cit., p. 145 ↩︎
- Ivi, p. 146 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 73 ↩︎
- Ivi, p. 75 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 118-119 ↩︎
- Ivi, p. 123 ↩︎
- Ivi, p. 125-126, Onesto, Li, Dispatches from the People’s War in Nepal, Pluto Press, Chicago, 2005, p. 61. ↩︎
- Onesto, op. cit., p. 61, Thapa, Sijapati, op. cit., p. 125 ↩︎
- Onta, op. cit., p. 146 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 125 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 188 e 119-120 ↩︎
- Ivi, p. 157 ↩︎
- Onta, op. cit., p. 147 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 2 ↩︎
- Ivi, p. 139, Davis, Larson, Haldeman, Oguz, Rana, op. cit., p. 124-130 ↩︎
- Parvati, op. cit (2003)., p. 179, Onesto, op. cit., p. 161-162 ↩︎
- Ivi, p. 1 ↩︎
- Schneidermann, Sara e Turin, Mark, The Path to Jan Sarkar in Dholaka District: towards an Ethnography of the Maoist Movement, in Hutt, op. cit., p. 101 ↩︎
- Lecomte Tiluine, op. cit. (2010), p. 115, De Sales, op. cit., p. 164 ↩︎
- Adhikari, op. cit., pp. 140-141 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 106-107 ↩︎
- Schneidermann e Turin, op. cit., p. 79-80 ↩︎
- Onesto, op. cit. ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), Inside the revolution in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 90 ↩︎
- Onta, op. cit., p. 146 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 116-117, Adhikari, op. cit., p. 88 ↩︎
- Onesto, op. cit., pp. 51-52 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 227 ↩︎
- Kattel, Mukunda, Introduction to “the People’s War” and its implications, in Karki, Seddon, op. cit., p. 63 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 227 ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Neupane, op. cit., p. 298 ↩︎
- Pfaff-Czarnecka, Joanna, High Expectations, Deep Disappointment: Politics, State and Society in Nepal after 1990, in Hutt, op. cit., p. 186-187 ↩︎
- Stirr, Anna, Tears for the Revolurion, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 355, Eck, op. cit., p. 33, Mottin, Monica, Catchy melodies and clenched fists: performance as politics in Maoist cultural programs, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 52 ↩︎
- Ivi, p. 64-65 ↩︎
- Onesto, op. cit., pp. 135-136 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 112 ↩︎
- Onesto, op. cit., pp. 51-52 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 113 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 89 ↩︎
- Hachhethu, Krishna, The Nepali State and the Maoist Emergency, 196-2001, in Hutt, op. cit., p. 76 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 89 ↩︎
- Karki, Seddon, op. cit., p. 25, Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), One year of the people’s war in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 205, Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), Two momentous years of revolutionary transformation, in Karki, Seddon, op. cit., p. 214, Adhikari, op. cit., p. 62 ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Ivi, p. 63 ↩︎
- Onesto, op. cit., pp. 56-60 ↩︎
- BBB 62-64 ↩︎
- Karki, Seddon, op. cit., p. 43 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 35-36, Bhattarai, op. cit., p. 149 ↩︎
- Lawoti, Pahari, op. cit., p. 23 ↩︎
- Karki, Seddon, op. cit., p. 43, Subedi, op. cit., p. 439 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 109 ↩︎
- Upreti, op. cit., p. 221, Thapa, Sijapati, op. cit., p. 194 ↩︎
- Upreti, op. cit., p. 231 ↩︎
- Ivi, p. 230 ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 130 ↩︎
- Karki, Seddon, op. cit., p. 40 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 226 ↩︎
- Kreuttner, op. cit., p. 39 ↩︎
- Baburam Bhattarai, A rejoinder on some current issues, datato 4 settembre 2002, in Karki, Seddon, op. cit., p. 279-280 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 86 Karki, Seddon, op. cit., p. 42 Kreuttner, op. cit., p. 39 ↩︎
- Upreti, op. cit., p. 231 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 193-194 ↩︎
- Marks, Thomas A. e Rich, Paul B., Back to the future – people’s war in the 21st century, in Small Wars & Insurgencies, Vol. 28, NO. 3, Routledge 2017, pp. 410-411 ↩︎
- Kreuttner, op. cit., p. 12-14, Bhattacharya, Srobana, Left-Wing Extremist Violence: A Comparative Study of the Maoist Rebellion in Nepal and India, August 27, 2010. SSRN: https://ssrn.com/abstract=1666902, p. 24. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 105, Lawoti, Mahendra, Ethnic dimensions of the Maoist insurgencies: indigenous
groups’ participation and insurgency trajectories in Nepal, Peru, and India, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 142, Cowan, Sam, Inside the People’s Liberation Army, in Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 303-304, Bhattacharya, op. cit., p. 28 ↩︎ - Pahari, Anup K., Unequal rebellions: the continuum of “People’s War” in Nepal and India, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 198-199 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 101 ↩︎
- Ghimire, op. cit., p. 125, Davis, Larson, Haldeman, Oguz, Rana, op. cit., p. 127, Thapa, Sijapati, op. cit., p. 139, Pettigrew, Judith, Living Between the Maoists and the Army in Rural Nepal, in Hutt, op. cit., p. 261, Adhikari, op. cit., p. 105 ↩︎
- Bhattacharya, op. cit., p. 23-25 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 107 ↩︎
- Fuller, Francis F., Mao Tse-Tung: Military Thinker, in Military Affairs, Vol. 22, No. 3 (Autumn, 1958), pagina 143, Mao Zedong, Problemi strategici della guerra partigiana antigiapponese, in Opere di Mao Tse-Tung, Volume 6, pagine 140-172, ed. Rapporti Sociali, Milano 1991. ↩︎
- Lawoti, Pahari, op. cit., p. 14 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 113 ↩︎
- Subedi, op. cit., p. 433 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 113 e 169, Karki, Seddon, op. cit., p. 30, Subedi, op. cit., p. 434. ↩︎
- Mao Zedong, Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione, in Opere di Mao Tse-Tung, Volume 8, ed. Rapporti Sociali, Milano 1991, pagina 213. ↩︎
- Marks, Rich, op. cit., p. 412 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 59 e 163, Lawoti, op. cit., p. 142 ↩︎
- Onesto, op. cit., pp. 120-124, Lawoti, Pahari, op. cit., p. 14-15 ↩︎
- Neupane, op. cit., p. 291 ↩︎
- Bhattarai, op. cit., p. 117 ↩︎
- Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 251-252 ↩︎
- In particolare, i punti 18, 19, 20, 21, 22. Ho consultato la versione delle 40 domande presente in Karki, Seddon, op. cit., pp. 183-187.; il volantino, March Along the Path of People’s War to Smash the Reactionary State and Establish a New Democratic State! è trascritto in Karki, Seddon, op. cit., pp. 187-193. ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal “Prachanda”, Inside the Revolution in Nepal, p. 109-110 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 97-98 ↩︎
- Onesto, op. cit., p. 51 ↩︎
- Ivi, p. 54 ↩︎
- Parvati, op. cit. (2003), p. 172 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 136-138, Subedi, op. cit., p.439 ↩︎
- Hutt, op. cit., p. 113 ↩︎
- Lawoti, op. cit., p. 141-142, Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), One year of the people’s war in Nepal, in Karki, Seddon, op. cit., p. 201 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 135 ↩︎
- La spartizione delle regioni autonome (Adhikari, op. cit., p. 136-138), le ragioni della situazione di sottosviluppo del terai (Kantha, Pramod D., Maoist–Madhesi dynamics and Nepal’s peace process, in Lawoti, Pahari, op. cit., p. 160), i maoisti non garantiscono il diritto di secessione alle comunità indigene, in contrasto con i maoisti indiani (Lecomte-Tiluine, Marie, Ethnic Demands Within Maoism: questions of magar territorial autonomy, nationality and class, Hutt, op. cit., pp. 116-117), la contraddizione tra un programma che vorrebbe cancellare le tradizioni “retrograde” e la divisione tra comunità nazionali, e la difesa del diritto all’autonomia politica e culturale delle stesse comunità (Adhikari, op. cit., p. 155) ↩︎
- Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), Two momentous years of revolutionary transformation, in Karki, Seddon, op. cit., p. 221 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 142, Subedi, op. cit., p.443 ↩︎
- Onesto, op. cit., p. 56 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 74 ↩︎
- Davis, Larson, Haldeman, Oguz, Rana, op. cit., p. 125, Onesto, op. cit., p. 59 ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Lecomte-Tiluine, op. cit., p. 252, Acharya, Khagendra e Muldoon, Orla T., Why “I” became a combatant: A study of memoirs written by Nepali Maoist combatants, in Terrorism and Political Violence, Vol. 29, NO. 6, Routledge 2017, pp. 1018-1020, Adhikari, op. cit., p. 133-134 ↩︎
- Pahari, op. cit., p. 205 ↩︎
- Ivi, p. 78 ↩︎
- Rai, op. cit., p. 42 ↩︎
- Ivi, p. 97, Snellinger, op. cit., p. 78 ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Eck, op. cit., p. 33, Thapa, Sijapati, op. cit., p. 197-198, Adhikari, op. cit., p. 183 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 193-195 ↩︎
- Ivi, 91-92 ↩︎
- Thapa, Sijapati, op. cit., p. 195 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 183 ↩︎
- Ivi, 191-203 ↩︎
- I maoisti nello stesso periodo erano convinti di aver quasi raggiunto un accordo con il Re, Adhikari, op. cit., 201. ↩︎
- Kreuttner, op. cit., p. 28, Pahari, op. cit., p. 199 ↩︎
- Upreti, op. cit., p. 225-230. ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 204-205 e 228 ↩︎
- Ho consultato la versione in inglese riportata in Institute for defence analyses, The Anatomy of Terrorism and Political Violence in South Asia, Proceedings of the First Bi-Annual International Symposium of the Center for Asian Terrorism Research (CATR), October 19-21, Denpensar, Bali, Indonesia, 2005. pp. I-61-63 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 221-222 ↩︎
- Ivi, 235-236 ↩︎
- Ivi, 228-229 ↩︎
- Ivi, 235 ↩︎
- A rejoinder on some current issues, datato 4 settembre 2002, in Karki, Seddon, op. cit., p. 280-281, Thapa, Sijapati, op. cit., p. 120 ↩︎
- Adhikari, op. cit., p. 235-236 ↩︎
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